Cosa può imparare Virginia Raggi dalle sindache di Madrid e Barcellona

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2016-06-08

La candidata alla carica di prima cittadina di Roma non sarebbe la prima esponente dei movimenti di protesta anti-casta a governare una grande città. Ecco i problemi che due sue illustri colleghe stanno affrontando (e in parte risolvendo) in Spagna

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«Il vento sta cambiando, signori, sta cambiando» parole e musica di Beppe Grillo, canta Virginia Raggi che se dovesse vincere al ballottaggio sarà la prima sindaco donna di Roma. E soprattutto la prima sindaco del Movimento Cinque Stelle in una grande città. In attesa di vedere la Raggi alla prova dei fatti andiamo a farci un giro in Spagna dove ci sono già due sindache che sono state elette proprio in virtù del loro essere anti-casta. Si tratta di Manuela Carmena, Sindaco di Madrid e Ada Colau, Sindaco di Barcellona.
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Manuela Carmena e la lotta ai privilegi dei ricchi madridisti

Ma cos’hanno in comune la Carmena, la Colau e la Raggi? Ovviamente non solo il fatto che sono tutte e tre donne ma quello – politicamente ben più rilevante – di essere esponenti di partiti (o coalizioni di partiti) che si propongono di rivoluzionare il sistema della gestione della cosa pubblica in decisa opposizione al vecchio sistema dei partiti. Elette entrambe alle amministrative del 24 maggio 2015 le due sindaco hanno parecchi punti in comune. La Carmena, ex giudice in pensione, è stata eletta a Madrid nel 2015 grazie ai voti di una coalizione di sinistra all’interno della quale c’era anche Podemos. La Colau invece viene da un ambiente totalmente estraneo ai partiti, era infatti una delle leader del movimento degli Indignados in Catalogna. Il successo elettorale della Carmena è dovuto anche al fatto che con la sua elezione a sindaco di Madrid è stata scritta la parola fine al dominio ventennale del Partito Popolare sulla città. Erano infatti ventiquattro anni che il sindaco della capitale spagnola veniva eletto tra le fila del PP. A sfidarla il PP aveva messo Esperanza Aguirre, che vanta il titolo nobiliare di contessa. A quanto pare però la Spagna della crisi le ha preferito una donna che dopo essere andata in pensione ha aperto un negozio dove vende vestiti per bambini realizzati da ex-detenuti. Non essendo una politica di professione la Carmena può permettersi di lanciare appelli a “ripensare la sinistra” in modo da includere al suo interno (oltre agli schieramenti tradizionali) anche quel nugolo di movimenti che rivendicano una maggiore uguaglianza tra i cittadini e una più equa ridistribuzione delle risorse. Eppure anche la Carmena si deve scontrare con alcune resistenze interne: appena eletta annunciò di voler cambiare nome alle strade madrilene che ancora facevano riferimento a Francisco Franco e al passato dittatoriale. A quanto pare questa piccola rivoluzione toponomastica ha incontrato più ostacoli del previsto e il progetto è ancora nel cassetto. Qualche problema gliel’ha poi dato il Gay Pride di Madrid, con una questione legata alle multe per lo sforamento dei limiti del rumore, ma allo stesso tempo la sindaco ha aumentato i fondi per la manifestazione, in vista del Gay Pride mondiale che si terrà nella capitale spagnola nel 2017. Le opposizioni denunciano che da quando la Carmena si è insediata la disoccupazione è in aumento (mentre sarebbe in calo nel resto della regione). La Carmena, che ha approvato alcune misure per limitare i privilegi dei maggiorenti della città è però impegnata anche sull’impegnativo fronte della riduzione del debito pubblico della città che ha portato al livello più basso da dieci anni a questa parte.
 

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Ada Colau (al centro) con dei No Tav a Barcellona

Le difficoltà di governare una città con il piglio movimentista

Ada Colau invece è stata definita dal Guardian il sindaco più radicale del mondo, e non solo perché è passata dall’occupare immobili in nome della lotta per la casa alle stanze del potere. La Colau, ha annunciato un drastico taglio del suo stipendio (da 140 mila a  28 mila euro) ma le forze d’opposizione le hanno impedito di abbassarlo al di sotto dei centomila euro così lei ha deciso di donare l’eccedente a dei gruppi locali. Il problema della Colau infatti è che mentre la Carmena a Madrid può contare di una maggioranza solida in consiglio comunale a Barcellona le cose sono più complicate perché la Alcadessa ha solo 11 consiglieri su 41 (in seguito però nella giunta sono entrati anche quattro consiglieri socialisti e i nazionalisti catalani di ERC). Tra le altre iniziali proposte di inizio mandato di Ada Colau ci sono state anche il taglio della sponsorizzazione da 4 milioni di euro per il GP di Barcellona e multe per 60mila euro agli istituti bancari che tengono sfitti gli appartamenti in città. Non sono mancate operazioni di propaganda come ad esempio la rimozione del busto del Re Juan Carlos dalla sala consiliare e le notti passate con i senza fissa dimora. Il movimento guidato dalla Colau ha fatto però anche cose concrete: ad esempio ha stanziato 100 milioni di euro per le politiche sociali in modo da far fronte alle emergenze abitative e alla povertà degli abitanti.

Come la Raggi (celebre per le sue interpretazioni a la “Gli Occhi del Cuore“) anche la Colau è incline a lasciar trasparire le sue emozioni e a mostrarsi umile e pronta a mettersi al servizio della cittadinanza. Il problema è che, come spesso accade in ogni città, i desideri della gente non sempre vanno nella stessa direzione. A Barcellona (ma in Italia è un problema molto sentito anche nelle nostre città d’arte, soprattutto a Venezia) gli abitanti hanno iniziato ad odiare i turisti, e la Colau si è trovata presa in mezzo tra l’assecondare il legittimo desiderio dei barcellonesi a vivere una città non assediata da orde di turisti maleducati. C’è però anche da dire che a trarre profitto del boom turistico della città non sono solo i proprietari di alberghi e appartamenti in affitto ma anche da tutti coloro che grazie all’industria turistica hanno trovato un posto di lavoro o semplicemente un modo per integrare le entrate economiche. La principale difficoltà della Colau a Barcellona è quella di trovare un compromesso tra le varie istanze sociali promosse dai suoi concittadini. In questo senso un piano amministrativo massimalista che guardi solo in un’unica direzione è destinato ad alienarle il consenso di quel popolo in nome del quale porta avanti la sua azione di governo. La sfida della Colau è simile a quella di tanti altri movimenti o attivisti che si trovano in una posizione di potere e si scontrano con la complessità del reale. Questo non significa che le idee della Colau siano sbagliate ma che le conflittualità sono inevitabili, anche quando chi grazie alla lotta senza quartiere va al potere. L’importante è trovare un modo – precario quanto si vuole – per far sì che i nuovi conflitti siano uno stimolo e finiscano per non paralizzare l’azione amministrativa e di governo.

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