Cosa ci insegna il ricordo della strage degli evangelici di Barletta?

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2016-03-19

Un episodio poco noto della storia dell’Unità d’Italia, la strage dei fedeli evangelici di Barletta del 19 marzo del 1866, è lo spunto per riflettere sull’integrazione delle minoranze nella nostra società

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Ci sono eventi storici che rimangono impressi nella memoria collettiva, di altri meno noti e non meno importanti il ricordo viene preservato da quelle comunità che hanno raccolto l’eredità delle vittime. L’Italia intera ricorda – o dovrebbe ricordare – i martiri dell’eccidio di Barletta, la violenta e sanguinosa repressione operata dagli occupanti Nazisti il 12 settembre 1943 in pochi sanno che 150 anni fa Barletta fu protagonista, suo malgrado, di un’altra strage, si tratta di quella avvenuta il 19 marzo del 1866 quando una folla inferocita e aizzata da alcuni sacerdoti cattolici uccise cinque credenti evangelici e diede fuoco a numerose proprietà dei fedeli evangelici battisti nella città.

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La targa posta nel 1966 in ricordo delle cinque vittime della strage degli evangelici di Barletta

I fatti del 19 marzo 1866

Per capire le motivazioni che spinsero alcuni fedeli cattolici a scagliarsi contro i loro concittadini, spiega a Nextquotidiano il pastore e storico Martin Ibarra y Perez (autore di un volume sui fatti della strage), è necessario inquadrare il contesto storico degli eventi. Nel 1866 i Savoia avevano ormai portato a compimento il progetto di unificazione degli stati della Penisola in quello che nel 1861 era diventato il Regno D’Italia (nel 1866 mancava solo l’annessione di Roma). Grazie al processo di unificazione era stato esteso a tutto il Regno lo Statuto Albertino del 1848 che aveva reso possibile la libertà di culto (la religione cattolica rimaneva la religione dello stato ma gli altri culti erano “tollerati”). In quell’epoca quindi le forze conservatrici cattoliche erano pronte a cogliere ogni pretesto per mostrare quelli che consideravano aspetti negativi dell’Unità d’Italia. Fu infatti proprio grazie alle aperture dello Statuto Albertino che fu possibile per alcuni convertirsi alla fede evangelica. Gli evangelici presenti a Barletta non erano quindi “stranieri” ma cittadini che si erano liberamente avvicinati a questa professione di fede grazie alla predicazione di Gaetano Giannini che vi era giunto nel 1865 inviato dal pastore della Chiesa Evangelica libera di Ancona (a sua volta un ex-rabbino ebreo convertito). In Italia in quel tempo c’erano comunità evangeliche numericamente importanti: la congregazione di Milano, fondata nel 1859 contava all’epoca della strage di Barletta all’incirca 400 fedeli. La comunità di Barletta (che nel 1866 contava una sessantina di membri) non era quindi “un evento” isolato, negli anni precedenti erano state fondate nuove comunità in tutta la Puglia, ad esempio a Bari e a Corato. Ed è in questo contesto che alcuni sacerdoti e frati predicatori cattolici pianificarono la strage. Si è trattato infatti, prosegue Martin Ibarra, di un’azione premeditata e pianificata nel dettaglio: era stato stilato un elenco di coloro che assistevano alle riunioni a casa di Giannini (di fronte alla caserma della Guardia Nazionale) ed era stato stabilito che il tutto si sarebbe dovuto svolgere il giorno di Pasqua (seguendo in un certo senso una macabra tradizione) che quell’anno cadeva il primo aprile. Gli evangelici erano visti allora come un capro espiatorio per alcune sventure – carestie, epidemie di colera – abbattutesi sulla regione.La situazione era così tesa che il 19 marzo un ufficiale di pubblica sicurezza sentì alcune persone inveire “contro i protestanti” decidendo di portarle in caserma per interrogarle. Fu allora che scoppio la sollevazione popolare contro gli evangelici. La folla si scaglio quindi in direzione della sede della congregazione nel tentativo di catturare Giannini che però riuscì scappare e a trovare rifugio presso l’abitazione di un sacerdote cattolico. Prova del fatto che non tutti i cattolici di Barletta volevano sterminare gli evangelici. Durante le cinque ore di tumulti persero la vita cinque evangelici e un fedele cattolico (ucciso anch’egli dalla folla), furono feriti un ufficiale della Guardia e il sotto-prefetto e vennero date alle fiamme le abitazioni e le botteghe dei protestanti. Per sedare la rivolta vennero inviate anche delle truppe da Bari, dal momento che quelle acquartierate nella caserma di Barletta non erano sufficienti a ripristinare l’ordine pubblico. Diversi cittadini barlettani si schierarono all’epoca a difesa dei loro concittadini evangelici nel tentativo di porre un freno alla furia dei devastatori. Un anno dopo la strage si concluse il processo intentato dai giudici del tribunale di Trani nei confronti dei responsabili: la vicenda venne chiusa dalla giustizia civile con sessanta condanne (settanta gli imputati e novanta complessivamente gli indagati), furono identificati gli istigatori e gli esecutori materiali delle aggressioni. Le condanne furono esemplari, i reati più gravi furono puniti con pene fino ai dieci anni di lavori forzati. Il Primo Ministro Bettino Ricasoli aveva infatti promesso che le autorità del neonato Regno D’Italia avrebbero dato una risposta chiara e ferma.

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Uno scatto della commemorazione del centenario della strage di Barletta del 1866

 

La comunità evangelica battista oggi

La comunità evangelica battista di Barletta nata dalle ceneri della chiesa libera evangelica del 1886  si accinge quindi a ricordare il 150° anniversario della strage, e lo fa non con lo spirito di chi vuole recriminare per i torti subiti in passato ma di chi è riuscito a superare quei tragici eventi lavorando sulla strada dell’integrazione. Ne abbiamo parlato con il Pastore Nunzio Loiudice che guida la comunità barlettana (oggi di circa 40 membri) dal 2007.

Il rapporto con i cattolici è ancora conflittuale?
Oggi come lei nota, per ragioni di spazio, la chiesa cattolica ci ha offerto un luogo dove si svolgeranno le iniziative, a dimostrazione che il clima è cambiato totalmente. Abbiamo rapporti ecumenici ed incontri di preghiera insieme. Certo si potrebbe fare di più ma già questo credo dimostri che il clima è cambiato
Come è vissuta dai vostri concittadini la ricorrenza di questa strage, con indifferenza o partecipazione?
In questi giorni ci siamo accorti che la cittadinanza non conosce questa storia ed è per questo molto curiosa. Le istituzioni si sono dimostrati molto disponibili ma sono assorbiti da altri impegni. C’è da dire che viviamo in un clima di piena secolarizzazione dove la gente preferisce andare ai Supermercati piuttosto che partecipare a delle conferenze sulla storia. Tuttavia non sono pessimista e spero che la gente decida di partecipare, almeno per curiosità.
Generalmente durante le occasioni “del ricordo” si lanciano spesso appelli a non dimenticare, cosa significa per lei e per la sua congregazione ricordare gli eventi del 1866 e non dimenticare quello che è successo e che insegnamenti possono trarre cattolici, battisti e la società civile da una vicenda drammatica come quella della strage di Barletta anche se di 150 anni fa?
Credo che il ricordo oggi sia necessario affinché “non accada agli altri ciò che 150 anni fa accadde a noi“. In questo momento di intolleranza religiosa verso l’Islam e altre religioni è necessario far conoscere alle nuove generazioni che il dialogo è possibile, che la diversità è una ricchezza e che la libertà di coscienza è stata pagata a caro prezzo. Quelle persone uccise 150 anni fa, hanno immolato le loro vite per la libertà. Esse non hanno cercato il loro interesse, ma l’interesse dell’altro e, sono morti per amore della libertà e della verità. Ci sono ancora oggi centinaia di migliaia di martiri cristiani nel mondo ogni anno. Alcuni ancora muoiono con una morte violenta, ma altri, per la loro fede sono in carcere, in campi di concentramento, espulsi dalla loro patria. In Italia sebbene non abbiamo più casi di morte fisica, abbiamo però un clima di intolleranza che si manifesta con la morte civile nella discriminazione sociale nei confronti di membri di altre religioni. Combattere questa morte civile è una sfida per il futuro.

Anche Martin Ibarra ritiene che la strage è parte della storia e deve essere ricordata ma che non sia l’elemento più importante della storia della comunità Barlettana, lo è invece il processo di integrazione che in questi cento-cinquant’anni ha saputo tessere relazioni di collaborazione ecumenica con le altre religioni prova ne è che le celebrazioni del 19 marzo si svolgeranno alla presenza del Vescovo e con la partecipazione del Prof. Leo Lestingi della Facoltà Teologica Pugliese. L’insegnamento che possiamo trarre, dice Ibarra, è che la pluralità e la democrazia sono un valore da coltivare e difendere: «il dialogo, la convivenza e la tolleranza sono portatori di ricchezza per tutta la società che favoriscono la crescita democratica di un Paese» e l’Unione Cristiana Evangelica Battista d’Italia è molto attiva nella difesa (e nell’estensione) dei diritti.

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