Fatti
La Consulta boccia il ricorso di Sgarbi contro i Dpcm di Conte
Giorgio Saracino 14/04/2021
Per lui erano incostituzionali perché privavano innanzitutto il parlamento della possibilità di legiferare. Ma, si legge, “emerge come non sia mancato il confronto parlamentare e come i deputati abbiano avuto la possibilità di esercitare le proprie funzioni costituzionali”.
La Consulta ha bocciato il ricorso di Vittorio Sgarbi (sostenuto anche da Umberto Carriera, leader del Movimento #ioapro) contro i Dpcm, e ha dato ragione all’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Ricorso “inammissibile”: la stessa sorte che era toccata già alla deputata negazionista Sara Cunial il 10 marzo scorso, che anche aveva fatto ricorso contro i decreti nel dicembre del 2020. Lo storico dell’arte (ma anche l’ex parlamentare grillina), sostanzialmente lamentava che i Dpcm del governo di Giuseppe Conte fossero incostituzionali, perché avrebbero espropriato (secondo lui) il Parlamento dalle sue funzioni.
Le accuse di Sgarbi a Conte
Per la precisione lamentava che il premier avesse agito “in via sostanzialmente autonoma con scarsi o pochissimi passaggi parlamentari, anche se limitati a semplici fini informativi delle proprie decisioni autocratiche”. Ma non solo questo, nel ricorso presentato dall’onorevole e storico dell’arte si parlava anche dell’obbligo di indossare la mascherina (prima solo all’aperto, poi anche nei luoghi al chiuso), che consisterebbe (secondo lui) in una “grave aggressione”, che comprometteva “finanche il diritto di respirare e di avere una propria immagine costituita dalla faccia, riconoscibile per tutti”.
E ancora: l’accusa verso Giuseppe Conte era anche quella di aver “riattivato la distruzione del tessuto economico e sociale del paese”, limitando, con il decreto 18 ottobre 2020 l’attività di ristoranti, palestre e centri termali, secondo un sistema di misure calibrate «mediante la progressiva colorazione delle diverse regioni in conseguenza del ritenuto aggravamento del contagio”, con dei tamponi non attendibili. E anche che i Dpcm avrebbero violato alcuni diritti fondamentali, “come il diritto al lavoro, la libertà personale, la libertà di movimento, i diritti di riunione, di culto, alla libera manifestazione del pensiero, alla tutela giurisdizionale, a non essere assoggettati a trattamenti sanitari obbligatori e, infine, allo studio”. Queste sono tutte le accuse di Sgarbi, che però sono state rispedite al mittente dalla Consulta.
Il ricorso di Sgarbi è “inammissibile”
Preso atto di tutte queste lamentele di Vittorio Sgarbi, la Corte Costituzionale ha dichiarato che il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sia “inammissibile”. Perché? Ecco: “Emerge come non sia mancato il confronto parlamentare (ordinanza n. 274 del 2019) e come i deputati abbiano avuto la possibilità di esercitare le proprie funzioni costituzionali (ordinanza n. 275 del 2019), nel corso dei «passaggi parlamentari», principalmente in sede di conversione in legge dei decreti-legge indicati in ricorso”.