Claudia Balotta e le scienziate precarie del Sacco che hanno isolato il Coronavirus

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2020-03-01

Sono intervenute a Mezz’ora in più: del team fanno anche parte Alessia Lai, Annalisa Bergna e Arianna Gabrieli: hanno tra i trenta e i quaranta anni e lavorano insieme al collega polacco Maciej Tarkowski, anche lui senza un posto fisso

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“Il virus italiano presenta differenze nel genoma” rispetto a quello cinese, ma “ci aspettiamo siano differenze minime. Ogni virus in ogni singola persona ha i suoi ‘tatuaggi’, ovvero è distinguibile. Ma non ci aspettiamo che sia più patogeno di quello cinese”. Lo ha detto Claudia Balotta, immunologa a capo del team di ricercatrici che all’ospedale Sacco di Milano ha isolato il ceppo italiano del nuovo coronavirus, intervenendo a ‘Mezz’ora in più’ in onda su Rai3.

Claudia Balotta e le scienziate precarie del Sacco che hanno isolato il Coronavirus

Balotta, l’immunologa a capo del team ‘rosa’ dell’ospedale Sacco di Milano, ospite su Rai 3 alla trasmissione ‘In mezz’ora’ insieme alle ricercatrici precarie che hanno lavorato giorno e notte allo studio, ha parlato del lavoro delle donne nel campo della ricerca: “Le donne sono molto intuitive, studiano tanto e hanno una forte dedizione al lavoro che fanno, anche se non trascurano gli altri aspetti della vita come la famiglia e fare figli. Tutto questo però non può continuare così. Vogliamo che il lavoro sia incentivato attraverso le stabilizzazioni”. E ancora: “Noi in questo lavoro ci abbiamo messo la nostra mente, le nostre conoscenze, e ci abbiamo messo anche tanto cuore – evidenzia Balotta – Perché abbiamo fatto un lavoro veramente molto pesante e nelle prossime settimane ci aspetterà qualcosa di molto simile. Abbiamo già raccolto il materiale dei pazienti e lo studio tassativamente andrà avanti a ritmi molto alti. Vorremmo che tutto questo domani non fosse dimenticato. Perché l’epidemia si chiuderà ma queste problematiche rimarranno”. Il precariato lungo e sostenuto “non è un evitare che i cervelli vadano via”, evidenzia Alessia Lai, una delle tre scienziate precarie del laboratorio del Sacco in prima linea nello studio sul nuovo coronavirus. “Il problema è proprio questo: si va all’estero per la precarietà, per cercare stabilità”. “Ci ricordiamo del precariato – ribadisce Balotta – solo quando abbiamo le emergenze internazionali o personali. Allora vorremmo essere più supportati dal lavoro di ricerca, ma tutto questo dovrà essere affrontato in ben altro modo in futuro e non sporadicamente”.

ricercatrici ospedale sacco milano

Del team fanno anche parte Alessia Lai, Annalisa Bergna e Arianna Gabrieli: hanno tra i trenta e i quaranta anni e lavorano insieme al collega polacco Maciej Tarkowski, anche lui senza un posto fisso.  Repubblica Milano ha pubblicato ieri un ritratto delle tre:

E allora ecco Alessia, quarant’anni, ex assegnista della Statale, ora collaboratrice del Sacco come libera professionista in attesa di fare un concorso. Per un altro posto da precaria. «Qualche giorno prima dell’emergenza avevamo scongelato una linea cellulare di reni di scimmia, per non farci trovare impreparati all’occorrenza». E così è stato. Quando al Sacco sono stati ricoverati i primi quattro casi gravi da coronavirus, in arrivo dall’area del focolaio di Codogno, il loro “lavaggio broncoalveolare” o l’escreato (per i comuni mortali non addetti ai lavori, un misto fra il muco e la saliva) è stato usato per infettare quelle cellule. La presenza del virus era già visibile al microscopio dopo le prime quattro ore.

Ce ne sono volute ventiquattro e poi altre quarantotto di attesa per avere una conferma definitiva. «Sono stanca morta, provata, non vedo il mio fidanzato da una settimana. Ma la soddisfazione di dare una mano per una cosa così importante ripaga di tutto». Annalisa Bergna di anni ne ha 29. Anche lei in questi giorni è come se vivesse al Sacco. Anche lei con lo stesso sorriso stravolto. Ma di chi sa di essere al centro di uno sforzo collettivo unico. «Nessuno di noi guadagna più di 1.200 euro al mese», racconta Arianna Gabrieli, originaria di Lecce. Lo dice perché glielo chiediamo. Non di certo per lamentarsi, nessuna di loro ce l’ha nel Dna. «Non avere certezze è complicato, le bollette, l’affitto da pagare senza alcuna stabilità. Ma in questo momento provo una gioia che fatico a descrivere».

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