Chi ha ragione tra Roberto Burioni e Maria Rita Gismondo su coronavirus e influenza stagionale?

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2020-02-24

Dove sta la verità tra chi dice che l’influenza uccide 217 persone al giorno e chi dice che il dato è stato letto e interpretato male? Ma soprattutto: perché non ha senso al momento fare certi paragoni visto che i dati sono ancora incompleti

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La dottoressa Maria Rita Gismondo è la Dirigente del reparto di Microbiologia, virologia e diagnostica bioemergenze del Sacco di Milano, l’ospedale dove sono stati ricoverati i pazienti affetti da COVID-19 in Lombardia. Ieri la dottoressa Gismondo è finita al centro di polemiche non scientifiche per un post – poi cancellato – pubblicato su Facebook in cui affermava che «durante la scorsa settimana la mortalità per influenza è stata di 217 decessi al giorno» e che quindi in rapporto a quei dati preoccuparsi in maniera eccessiva per il coronavirus era sbagliato.

La “signora” del Sacco e il “signore” del San Raffaele

In un altro post la dottoressa ribadiva «A me sembra una follia. Si è scambiata un’infezione appena più seria di un’influenza per una pandemia letale. Non è così». Per queste affermazione è stata duramente criticata via Twitter dal dottor Roberto Burioni, virologo del San Raffaele, che ha definito la collega “la signora del Sacco” dando il via ad una lunga scia di polemiche sul sessismo e bullismo dovuto al fatto che invece che trattare la dottoressa del Sacco alla pari o limitarsi a commentare i dati abbia preferito ricorrere ad uno dei suoi classici blast.

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Ma chi ha ragione? Davvero il nuovo coronavirus è meno grave di una banale influenza e davvero l’influenza stagionale fa così tante vittime ogni giorno, in Italia? Innanzitutto bisogna precisare una cosa: la “banale” influenza stagionale (per la quale a differenza di COVID-19 c’è un vaccino) non è poi così banale: dipende sempre dalle condizioni dei pazienti. Ad esempio negli anziani, nelle persone sopra i 65 anni e in generale per coloro che presentano un quadro clinico “complicato” (ad esempio soffrono di cardiopatie o insufficienze polmonari) l’influenza può essere letale. Ed infatti di influenza si può morire.

217 morti al giorno per l’influenza stagionale? No

Il punto è: si muore davvero così tanto? La risposta e il dato citato dalla dottoressa Gismondo, sembra trovarsi nell’ultimo rapporto sull’influenza stagionale a cura di FluNews pubblicato sul sito dell’Istituto Superiore di Sanità dove si legge – testualmente – che «durante la 6a settimana del 2020 la mortalità (totale) è stata lievemente inferiore al dato atteso, con una media giornaliera di 217 decessi rispetto ai 238 attesi». Ecco quindi da dove salta fuori il 217. Ma poco sopra lo stesso report dice: «Casi gravi: alla 7a settimana della sorveglianza sono stati segnalati 157 casi gravi di cui 30 deceduti».

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Fonte

Quindi sono 217 morti o 30 morti? Il report in effetti non è molto chiaro. Ma a qualche click di distanza si trovano tutte le spiegazioni del caso.  Ad esempio quelle metodologiche dove viene spiegato che il Sistema di sorveglianza della mortalità giornaliera  è la fonte di quel 217 e che si tratta di un sistema che «è attivo tutto l’anno in 34 città italiane e permette di identificare in maniera tempestiva eventuali variazioni della mortalità attribuibili a diversi fattori (epidemie, esposizioni ambientali, socio-demografici) che modificano i valori giornalieri o il trend stagionale» e che «vengono riportati i dati di mortalità, aggregati per settimana, per i soggetti di età maggiore o uguale ai 65 anni di età residenti e deceduti in 19 città». Quindi: se la media attesa era 238 morti giornalieri (totali) e il dato reale è 217 non significa che sono morte 217 persone di influenza ma 217 persone in totale in relazione alla modalità di raccolta dei dati e all’età presa in considerazione.

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Per quanto riguarda l’influenza stagionale l’ISS spiega qui che «dall’inizio della sorveglianza (ottobre 2019) sono stati segnalati 157 casi gravi di influenza confermata in soggetti con diagnosi di Sari (Severe Acute Respiratory Infection-gravi infezioni respiratorie acute) e/o Ards (Acute respiratory distress syndrome-sindromi da stress respiratorio acuto) ricoverati in terapia intensiva, 30 dei quali sono deceduti. I casi sono stati segnalati, da 16 Regioni e Province autonome». La risposta alla domanda “quante persone sono morte per influenza quest’anno?” è quindi trenta (per il momento). Ma bisogna fare attenzione perché in 128 casi (81%) di quei 157 gravi era presente almeno una condizione di rischio preesistente (diabete, tumori, malattie cardiovascolari, malattie respiratorie croniche, obesità, ecc.). Insomma l’influenza stagionale nella grande percentuale dei casi grave ha colpito pazienti già a rischio (ragione per cui è importante fare il vaccino anti-influenzale).

Ma è più pericoloso il coronavirus o l’influenza?

«In Italia i virus influenzali causano direttamente all’incirca 300-400 morti ogni anno, con circa 200 morti per polmonite virale primaria», ha spiegato a Pagella Politica Fabrizio Pregliasco, virologo e ricercatore all’Università degli Studi di Milano. Ma al momento non sappiamo quante persone moriranno per l’influenza stagionale 2019-2020 e non sappiamo nemmeno quanti saranno i contagiati e i morti in Italia a causa di COVID-19. Non è possibile quindi dire, limitatamente ai dati che sono oggi a disposizione, che in Italia l’influenza è più pericolosa del coronavirus o viceversa. Se si guarda i dati cinesi invece – ma non è detto che la situazione sia identica  – la mortalità del nuovo coronavirus è per ora del 2,5% (nella provincia di Hubei addirittura del 3,8%), 25 volte più alta di quella dell’influenza (in Italia). L’unica cosa che si può dire è al massimo che l’influenza è pericolosa ma per fortuna esiste il vaccino quindi si tratta di un’infezione prevenibile. Non è così per COVID-19. Ma non bisogna dimenticare che degli oltre 70mila contagiati già 25mila risultano essere guariti.


Ma non è così semplice. Perché come ricordava ieri Matteo Bassetti, Professore Ordinario di Malattie Infettive, Università di Genova e Direttore del San Martino «un soggetto può morire per coronavirus ( ovvero il virus ha contribuito direttamente alla sua morte) o con il coronavirus (il virus è presente ma il suo ruolo non primario nella morte). Degli attuali tre decessi italiani, 2 sembrano morti più con il virus, che per il virus». C’è stata, è vero, un’impennata di casi diagnosticati ma sembra essere dovuta ai criteri di rilevamento e di definizione. In buona sostanza più si effettueranno test più se ne scopriranno. Negli altri paesi europei di test, per ora, ne sono stati fatti meno: 400 al giorno in Francia (in teoria) contro i 4.000 solo a Vò Euganeo.

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Continua Bassetti: «resta il fatto che nell’85-90% dei casi l’infezione decorre in maniera blanda. Nel 10-15% dei casi in maniera più grave e solamente nel 5% in maniera critica ( articolo appena pubblicato dalla John Hopkins University). Il tasso di letalità ( numero di morti su numero di infetti) rimane al momento (al di fuori della Provincia di Hubei in Cina) inferiore all’1%». Della stessa opinione anche la virologa Ilaria Capua che su FanPage scrive: «questa infezione provoca nella stragrande maggioranza dei casi sintomi molto lievi e solo in pochi casi – con patologie intercorrenti e con situazioni particolari – provoca effetti gravi. Esattamente come ogni normale influenza». E se ricordate quanto detto poc’anzi sulla percentuale di casi gravi di influenza che presentavano altre patologie concomitanti il discorso ha senso. Un concetto ribadito anche a La Stampa dove la dottoressa Capua spiega che «troviamo tutti questi malati in questo momento, perché, semplicemente, abbiamo cominciato a cercarli. Cioè abbiamo iniziato a porci il problema se certe gravi forme respiratorie simil-influenzali fossero o meno provocate dal coronavirus». Tanto più che, come fa notare Michele Boldrin, i dati sono ancora parziali.

Cosa dobbiamo fare quindi? Mettere tutti in quarantena? Appare altamente improbabile che a questo punto la quarantena totale di ampie zone del Paese sia la soluzione realmente percorribile (non che non sia una soluzione, ma il punto è quanto è applicabile). Secondo la dottoressa Capua «la regola deve essere la seguente: proteggere gli altri per proteggere se stessi e lavorare con intelligenza (tutti insieme) per arginare il contagio» il che non significa necessariamente isolarsi ma essere prudenti, rispettare le basilari norme igieniche ed evitare i luoghi affollati. E per favore: niente panico.

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