Chi è Ahmad Massud, il simbolo della resistenza anti-talebana in Afghanistan

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2021-08-24

Il figlio di Ahmad Shah Massoud guida quella frangia che lotta contro il ritorno dei talebani

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Le manifestazioni di piazza sono solamente la punta dell’iceberg di una resistenza anti-talebana che si sta organizzando. Le coraggiose donne di Kabul rappresentano solamente uno dei tanti tentativi di ribellarsi al ritorno di quei dogmi che si sperava fossero stati rimossi dall’attualità afgana. E lontano dalla capitale, nella valle del Panjshir, prosegue l’organizzazione di quella fronda pronta a scendere in campo contro quelle immagini di pura violenza che rimbalzano ogni giorni da quella terra tornata a essere al centro degli estremismi. Ed è lì che Ahmad Massud sta tentando di non disperdere il lavoro iniziato da suo padre.

Ahmad Massud, il simbolo della resistenza anti-talebana in Afghanistan

Aveva compiuto 12 anni da poco quando suo padre, Ahmad Shah Massoud, venne ucciso in un attentato per mano dei talebani e di al-Qaeda. Era il 9 settembre del 2001, due giorni prima dell’attacco alle Torri Gemelle, e l’uomo venne ingannato con una “finta intervista” a un’emittente televisiva che poi si rivelò falsa. Il papà era considerato, ancor prima della sua morte, un vero e proprio eroe nazionale: era, infatti, il leader dell’Alleanza del Nord che collaborava con gli Stati Uniti contro l’avanzata della 40esima Armata sovietica, la Grande Unità dell’Armata Rossa, tra la fine degli anni Settanta e tutti gli anni Ottanta. Il suo assassinio lasciò una ferita profondo in tutto il popolo afgano e ora il 32enne sta tentando si seguire le orme paterne.

Lo sta facendo partendo dalla valle del Panjshir, unica zona dell’Afghanistan ancora libera dal controllo dei talebani. Ed è lì che anche il padre, tra la fine e l’inizio del nuovo Millennio, aveva organizzato la sua fronda di resistenza anti-talebana. Stesso luogo, stesso cognome e stesso obiettivo. Ahmad Massud nei giorni scorsi ha parlato a La Repubblica, confermando il suo impegno nella lotta:

“I talebani sono pericolosi. Hanno fatto man bassa nei depositi d’armi degli americani. E non posso certo dimenticare l’errore clamoroso, che rimarrà nella storia, di coloro a cui, fino a otto giorni fa, a Kabul, ho chiesto armi e me le hanno negate. E quelle armi, quell’artiglieria, gli elicotteri, i carri armati di fabbricazione americana, oggi sono finiti proprio nelle mani dei talebani! Le montagne del Panshir, però, hanno una lunga tradizione di resistenza. Né i talebani, prima del 2001, né i sovietici, prima di loro, sono riusciti a violare questo santuario. Credo che anche per oggi continuerà a essere così”.

Perché le evidenze parlano di un ritorno ciclico di una storia destinata a tornare, con gli stessi mantra e le stesse etichette di prima. Lo si evince dalle notizie arrivate da Kabul a Ferragosto, con le donne tornate a essere vittime di una discriminazione che si basa su un’interpretazione volutamente errata dei dogmi del Corano.

(foto: da pagina Facebook)

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