Fatti
Ma Beppe si è scordato di decidere su Pizzarotti?
di Giovanni Drogo
Pubblicato il 2016-06-07
Lo staff della macchina dell’onestà e della trasparenza batte la fiacca e non ha ancora deciso se espellere Pizzarotti dal Movimento. Questioni di opportunità da campagna elettorale? Ma non erano quelli diversi?
L’ultima volta che il serafico Beppe Grillo è apparso ai suoi stava camminando sulle acque. Ma prima di vestire i panni di Gesù Cristo Beppe se ne andava in giro per l’Internet Robespierre qualsiasi minacciando di tagliare come unle teste di qualche amministratore locale a 5 Stelle. No, non stiamo parlando del Sindaco di Livorno Filippo Nogarin che assieme al suo assessore Gianni Lemmetti ha ricevuto un avviso di garanzia. Stiamo parlando del Sindaco di Parma Federico Pizzarotti. Anche lui ha ricevuto un avviso di garanzia ma il MoVimento per lui aveva abbandonato il ritrovato garantismo alla livornese e ne aveva annunciato – via email – la sospensione, anticamera di quelle espulsioni che hanno reso famoso il M5S.
A Beppe Grillo si è inceppata la ghigliottina o è solo contento di vedere la Raggi?
All’annuncio della sospensione – decisa da Davide Casaleggio – Pizzarotti aveva risposto pubblicando screenshot di numerosi messaggi (su Facebook e WhatsApp) indirizzati ai vari componenti del Direttorio. Messaggi ai quali – a suo dire – non ha mai ricevuto risposta. Quello che è certo è che la questione in essere tra il Sindaco di Parma e i vertici del Movimento va ben oltre l’avviso di garanzia e la sua mancata comunicazione allo Staff. Tutto questo succedeva quasi un mese fa, poi le acque si sono improvvisamente calmate ed apparentemente nel Movimento è passata la voglia di fare pulizia. A fine maggio avevano preso a circolare voci sul fatto che tra Pizzarotti e il M5S fosse tornata la pace. Non più minacce e risposte piccate, semplicemente silenzio. Le ragioni per questo cambio di strategia possono essere solo due: la prima è che i vertici del Movimento hanno imparato la lezione di Napoli e Roma (in due occasioni) dove i giudici hanno sentenziato per il reintegro alcuni candidati e attivisti espulsi prima delle amministrative. La seconda – più probabile – riguarda l’opportunità di cacciare il sindaco di una grande città proprio alla vigilia delle elezioni amministrative. A quanto pare la moda dell’onestà ha dovuto quindi cedere il passo a quella della realpolitik. Sbattere fuori Pizzarotti prima del voto a Roma (dove la Raggi è la favorita) non è certo un buon biglietto da visita per il partito di Grillo. Anche perché avrebbe portato nuovamente alla luce il “caso Parma” e le varie promesse elettorali fatte da Grillo sull’inceneritore che sono state poi puntualmente disattese. Cosa avrebbero pensato gli elettori romani, al momento di votare sabato e domenica, se Grillo avesse cacciato il sindaco di Parma, provocando magari la caduta della giunta Pizzarotti? Sarebbe stato un comportamento poi così diverso da quello tenuto da Renzi e Orfini quando hanno pianificato la caduta di Ignazio Marino? È evidente quindi come – per una volta – il principio di realtà abbia prevalso sul fanatismo pentastellato, consentendo a Pizzarotti di rimanere ancora per qualche tempo formalmente all’interno del Movimento.
Chi decide le espulsioni? Beppe Grillo
Possibile che Grillo abbia messo da parte i principi cardine del Movimento solo per consentire a Virginia Raggi di diventare Sindaco di Roma? Andiamo a guardare come funziona la procedura d’espulsione dal M5S. A decidere di avviare il procedimento di espulsione, stando al regolamento pubblicato da Grillo a dicembre 2014, è il capo politico del Movimento. Ora a parte alcune dichiarazioni deliranti secondo le quali Grillo non sarebbe il capo politico del partito ma solo il “Garante” del regolamento è evidente come suddetto regolamento preveda l’esistenza di un capo, e in mancanza di altri questi non può che essere che Grillo stesso. Altrimenti non avrebbe molto senso quanto si legge nel regolamento:
il capo politico del MoVimento 5 Stelle, su segnalazione comunque ricevuta:
i) dispone la sospensione dell’iscritto, dandone comunicazione al gestore del sito, il quale provvede alla disabilitazione dell’utenza di accesso;
ii) contesta all’interessato la violazione con comunicazione a mezzo e-mail, assegnandogli un termine di dieci giorni per la presentazione di eventuali controdeduzioni.
È infatti sempre questo misterioso capo politico a disporre dell’espulsione dell’iscritto
Decorso tale termine, il capo politico del MoVimento 5 Stelle, se non sono pervenute controdeduzioni ovvero ritiene non accoglibili le controdeduzioni presentate, dispone l’espulsione dell’iscritto, dandone comunicazione all’interessato con comunicazione a mezzo e-mail.
Entro i dieci giorni successivi, l’interessato può proporre ricorso contro l’espulsione, a mezzo e-mail da inviare al link www.beppegrillo.it/movimento/regolamento/9.html. Il ricorso viene esaminato dal comitato d’appello entro il mese successivo.
C’è però un comitato dei garanti che, volendo, ha la possibilità di difendere l’iscritto colpito da scomunica e ad andare contro lo stesso volere del capo politico. Ma chi sono i componenti del comitato d’appello? Ce lo dice il Regolamento poco sotto:
Il comitato d’appello è composto di tre membri, due nominati dall’assemblea mediante votazione in rete tra una rosa di cinque nominativi proposti dal consiglio direttivo dell’associazione MoVimento 5 Stelle ed uno dal consiglio direttivo dell’associazione medesima.
I componenti del comitato d’appello sono nominati tra iscritti.
Il comitato d’appello dura in carica cinque anni.
A far parte del comitato d’appello non sono quindi i cinque fedelissimi nominati da Grillo a far parte del Direttorio ma altri tre due dei quali scelti dopo una votazione tra una lista di cinque decisa dal consiglio direttivo dell’associazione, quindi da Grillo stesso. E uno scelto direttamente dal consiglio direttivo dell’associazione, quindi da Grillo stesso. In sostanza l’organo di garanzia che secondo il Regolamento dovrebbe garantire gli iscritti colpiti da provvedimento di espulsione da parte di Grillo sono nominati da Grillo. I tre sono Roberta Lombardi, Vito Crimi e Giancarlo Cancelleri. Ma supponiamo per un attimo che, per errore, il comitato d’appello accolga il ricorso presentato da un iscritto colpito da scomunica, cosa succederebbe? Sarebbe salvo? Il Regolamento garantista stabilisce che:
Se il comitato d’appello ritiene sussistente la violazione contestata, conferma l’espulsione in via definitiva. Se il comitato d’appello ritiene insussistente la violazione contestata, esprime il proprio parere motivato al capo politico del MoVimento 5 Stelle, che se rimane in disaccordo rimette la decisione sull’espulsione all’assemblea mediante votazione in rete di tutti gli iscritti, la quale si pronuncia in via definitiva sull’espulsione.
Quindi il povero iscritto dovrà subire l’ordalia del giudizio dell’Assemblea. È evidente che l’unica cosa che un Regolamento congegnato in questo modo garantisce è il fatto che la decisione di Grillo prima o poi venga ratificata.
E c’è ancora chi nega che alla luce di un regolamento del genere Grillo non sia il capo politico del Movimento. È quindi abbastanza ovvio che se Pizzarotti non è ancora stato espulso la responsabilità è sostanzialmente del capo politico del movimento che evidentemente ha preferito attendere l’esito delle amministrative per non rovinare la festa alla Raggi. E visto che a pensare male si fa peccato ma spesso ci si azzecca, indovinate chi c’è nello staff di Virginia Raggi? Roberta Lombardi, ovvero uno dei tre componenti del comitato che sta temporeggiando a prendere in esame le controdeduzioni presentate da Pizzarotti contro la sua espulsione.