Beppe Grillo: se le parole di un padre sdoganano la cultura dello stupro

di Lorenzo Tosa

Pubblicato il 2021-04-20

“Il concetto è spaventoso: che una donna che non denuncia immediatamente uno stupro sia meno vittima, come se esistesse una scadenza, un termine biologico per elaborare una violenza fisica e psicologica del genere. E, se anche esistesse, certo non toccherebbe a un uomo stabilirlo, e meno che mai a un consanguineo del presunto carnefice”

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Ci sono due passaggi nel minuto e mezzo di rabbia idrofoba con cui Beppe Grillo ha difeso suo figlio Ciro dall’accusa di stupro. Frasi che abbiamo sentito pronunciare cento volte in mille forme diverse ogni qual volta un uomo (o a volte anche le stesse donne) parla della vittima (in questo caso presunta) di violenza sessuale.

Primo: “È strano. È andata a fare kitesurf la mattina dopo, e ci ha messo otto giorni per denunciare.”

Due: “C’è il video, passaggio per passaggio, e si vede che c’è la consensualità” dice a un certo punto. “Si vede che c’è il gruppo che ride, che sono ragazzi di 19 anni, che si stanno divertendo, che sono in mutande e saltellano col pisello così (mimando il gesto con la mano) perché sono quattro cogl***, non quattro stupratori.”

Ora, io non so se Ciro Grillo sia colpevole o innocente (né ho visto – come nessuno di noi – il video in questione). E tocca solo ai giudici stabilirlo. Né a me, né a noi, né al tribunale dei social, e men che meno a un padre comprensibilmente scosso e inevitabilmente poco lucido. Quello che so, e considero non tollerabile, a prescindere dal caso specifico, è che una persona con questa visibilità faccia passare come se nulla fosse concetti di una gravità e di una violenza spaventosi:

1. Che una donna che non denuncia immediatamente uno stupro sia meno vittima, come se esistesse una scadenza, un termine biologico per elaborare una violenza fisica e psicologica del genere. E, se anche esistesse, certo non toccherebbe a un uomo stabilirlo, e meno che mai a un consanguineo del presunto carnefice. Per fortuna siamo (ancora) in uno stato di diritto. Esiste, invece, un termine processuale per denunciare, che non è otto giorni (ma sei mesi) e non conta nulla se nel frattempo fai kitesurf o ti chiudi in casa: non spetta a un giudice, figuriamoci a Beppe Grillo o a Mario Rossi, stabilire un’aspettativa del dolore.

DRAGHI GRILLINO VIDEO BEPPE GRILLO

2. In pochi lo hanno sottolineato, ma quel passaggio sui “ragazzi che si divertono saltellando col pisello in mano” è figlio, padre, fratello, parente stretto di una incultura maschilista talmente radicata nella nostra società da passare quasi inosservata, come rumore di fondo nella sterile faida politica tra pro e contro Grillo, tra garantisti e giustizialisti. A prescindere dalle responsabilità penali, non c’è nulla di divertente in quatto ventenni in mutande attorno a una coetanea sola, in posizione di estrema debolezza fisica e psicologica, ma solo la rappresentazione fallocentrica di una società che nel 2021 stiamo lottando per cancellare.

No, mi spiace, per quanto mi sforzi, forse da padre riesco vagamente a intuire, ma non riesco minimamente a capire o a condividere un padre che urla per difendere fino all’estremo un figlio a suo dire ingiustamente accusato di stupro. Non è sacrosanto – come scrivono alcuni – che un padre difenda sempre e comunque il proprio figlio, a prescindere. È sacrosanto che lo ascolti e lo supporti, e che sappia riconoscerne gli eventuali errori e a pretendere che se ne assuma sempre la responsabilità. E aiutarlo e supportarlo, in un caso così delicato, significa restare in silenzio e rispettare il lavoro degli inquirenti.

Se non lo riesce a fare come padre, lo faccia per il suo ruolo pubblico, per il rispetto della ragazza coinvolta e per tutte le donne vittime di violenza che non meritano di vedere banalizzato e offeso la propria storia, il proprio dolore.

 

 

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