Bardonecchia e la nuova battaglia per la sovranità

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2018-04-01

I doganieri armati nella ong dei migranti diventano un caso diplomatico. La mail che prova che i francesi sapevano di non poter utilizzare la sala. E le reazioni della politica italiana alla vigilia della formazione di un nuovo governo

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Il “blitz” di doganieri francesi in una sala della stazione di Bardonecchia, dove opera l’ong Rainbow4Africa, per effettuare un test delle urine a un nigeriano, immigrato regolare fermato sul treno Parigi-Milano e sospettato di traffico di stupefacenti diventa un caso. Venerdì sera intorno alle 21 sul Tgv Parigi-Milano, cinque agenti delle dogane francesi di Modane fermano un viaggiatore di nazionalità nigeriana e residente in Italia. È diretto a Napoli. Il sospetto degli agenti (rivelatosi poi sbagliato) è che abbia con sé sostanze stupefacenti.

Bardonecchia e la sovranità

Senza chiedere alcuna autorizzazione portano il nigeriano nella stanza della stazione di Bardonecchia costringendo l’uomo al test delle urine. Sono armati. Alla richiesta di spiegazioni da parte di un medico volontario, viene loro intimato di non intromettersi. A quel punto, il medico ha avvisato la polizia italiana. Ci ha poi pensato il personale del commissariato ad allontanare gli agenti francesi e ad avvertire il prefetto di Torino. Il ministro dell’Azione e dei Conti pubblici francese, Gerald Darmanin, ha sostenuto che “Le dogane francesi hanno effettuato un controllo transfrontaliero ieri alla stazione di Bardonecchia secondo le condizioni previste dall’accordo di cooperazione franco-italiano”, rifacendosi a un accordo che risale al 1990.

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Ma  i doganieri sapevano di non potere utilizzare il locale della stazione piemontese: lo prova una mail di un funzionario della Dogana francese scritta il 13 marzo scorso a Rfi nella quale lamenta l’impossibilità da parte degli agenti francesi di potere usare la sala della stazione di Bardonecchia “perché occupata da altra gente”. Per questo motivo è stata fissata per il 16 aprile prossimo una riunione tra i prefetti di Torino e di Chambéry con all’ordine del giorno anche l’uso dei locali della Stazione di Bardonecchia che nel 2017 sono stati affidati dal Comune alla Ong. Per quanto riguarda l’accordo di cooperazione transfrontaliera si stabilisce che le autorità coordinino azioni comuni delle zone di frontiera “in particolare per lottare contro la delinquenza frontaliera e prevenire le minacce all’Ordine e alla sicurezza pubblica”, ma non parla di analisi mediche o accertamenti sanitari.

L’accordo di Chambéry

L’accordo in effetti si concentra essenzialmente sullo scambio di informazioni tra le varie forze di polizia “per una più efficace lotta contro la criminalità, segnatamente del Campo dell’immigrazione clandestina e dei traffici illeciti”. Un passo fondamentale, a quanto si legge, è la creazione di due Centri di cooperazione, uno a Ventimiglia in territorio italiano e l’altro a Modane in Francia, dove gli agenti dei due paesi possono lavorare insieme. Ma se ci si limita al testo, senza collegarlo ad altri documenti accordi o trattati, le operazioni si devono limitare alla “consegna delle persone in situazione irregolare”, all'”assistenza del personale impegnato delle delle osservazioni di osservazione ed inseguimento oltre frontiera”, al “coordinamento delle misure congiunte di sorveglianza”. È previsto che gli agenti assegnati ai centri di cooperazione svolgano i servizi oltre frontiera anche armati a condizione che “indossino la divisa nazionale o un segno distintivo ben chiaro”.

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I fatti di Bardonecchia irrompono, nel sabato Santo, in un contesto politico che fatica a trovare una quadra dopo le urne del 4 marzo e che si prepara alla lunga partita di consultazioni. E la reazione dei partiti al blitz dei doganieri nel centro di accoglienza piemontese è veemente, dura, e riaccende quell’insofferenza sulla gestione Ue dei migranti che è stata tra i fattori chiave del risultato delle elezioni. Quello di Bardonecchia è il secondo caso di politica estera che coinvolge il premier Paolo Gentiloni dopo le sue dimissioni. Ma a dispetto dell’espulsione dei due diplomatici russi per il caso Skripal – che vide il premier avvertire comunque i principali leader politici – i fatti di Bardonecchia non vedono, al momento, alcuna reazione ufficiale di Palazzo Chigi. Il governo, anzi, finisce nel mirino per la sua mancata “autorevolezza” e viene esortato a riferire in Aula al più presto.

Il caso Bardonecchia, la Lega e il M5S

 

Ma il caso è anche una prima cartina di tornasole delle divergenze tra Lega e M5S in politica estera. La prima, lesta a guidare la reazione filo-sovranisti. Il secondo, sempre più impegnato a mantenere un aplomb istituzionale e a porsi al “centro”, tra centrodestra e Pd. “Allontaniamo i diplomatici francesi! Con noi al governo l’Italia rialzerà la testa in Europa, da Macron e Merkel non abbiamo lezioni da prendere, e i nostri confini ce li controlleremo noi”, tuona da Ischia Matteo Salvini laddove, da Roberto Calderoli a Massimiliano Fedriga, i “big” leghisti parlando dell’Italia come “zimbello” d’Europa, di “invasione alla luce del sole” e promettono che, con loro al governo, il Paese tornerà a “farsi rispettare”.

La reazione del M5S è più tardiva. Prima i due capigruppo Giulia Grillo e Danilo Toninelli parlano di “fatto grave”, sottolineano la necessità che la Francia “chiarisca” e osservano come “la collaborazione e la condivisione di informazioni tra partner Ue sia fondamentale”. Poi è il capo politico Luigi Di Maio a intervenire in un tweet in cui plaude la Farnesina per la convocazione dell’ambasciatore francese e ribadisce la necessità di “spiegare l’accaduto in ogni suo aspetto”. Ma la posizione di Di Maio tra le più moderate anche nel suo Movimento. Dove, ad esempio, il senatore Gregorio De Falco attacca senza mezzi termini il governo: “E’ deplorevole la reazione di Gentiloni rispetto a quanto accaduto a Bardonecchia: un’insignificante, moderato e controllato disappunto”. Dura anche Giorgia Meloni di Fdi (“così si è ridotta l’Italia dopo anni asserviti alle cancellerie straniere”) mentre FI, con la capogruppo alla Camera Anna Maria Bernini, definisce l’accaduto “conseguenza della debolezza e del lassismo con cui è stato gestito il dossier immigrazione dai governi di sinistra”. Non meno netta la condanna del Pd, che con Maurizio Martina ammonisce: “così di certo non si fa la nuova Europa”.

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