Fatti
La vera storia del rimpasto di Tsipras
Faber Fabbris 06/11/2016
Il premier greco mischia le carte e nomina nuovi ministri. Tra essi c’è Papadimitriou, da alcuni già soprannominato “Varoufakis 2. Che aveva immaginato l’uscita dall’euro e la doppia moneta. E aveva criticato le misure del governo e ribadito la necessità di un piano di investimenti industriali. La carta giocata da Tsipras mira ad aprire uno spazio in questa direzione
La situazione nelle ultime settimane non è delle più facili per il governo Tsipras. Tensioni sempre più acute ai confini ellenici (al flusso incessante de profughi si aggiunge la svolta autoritaria in Turchia, con l’arresto della dirigenza del partito ‘fratello’ di Syriza, HDP); ritorni di fiamma da parte di Schäuble che attacca frontalmente la BCE e l’allentamento quantitativo; bocciatura della riforma del sistema radiotelevisivo (per 2 voti su 25) da parte della corte Costituzionale, non tanto nel merito ma a causa del perimetro delle competenze (la decisione delle aste non doveva essere presa dal governo, ma dal Consiglio delle Telecomunicazioni). A questo si sono aggiunti aspri contrasti tra il ministero della Pubblica Istruzione, Nìkos Fìlis, ed il patriarca di Atene, Geronimo. Il quale si è spinto a dichiarare che il ministro “è persona problematica ed incoerente nelle dichiarazioni e nelle relazioni”. Lo stupore del lettore si attenuerà ricordando che il ministro Fìlis ha proposto una riforma del ciclo d’istruzione che prevede di istituire un corso di storia delle religioni, in luogo della tradizionale “ora di religione” (ovviamente ortodossa) finora in vigore.
Il rimpasto «moderato» di Tsipras
Ed è proprio Fìlis la ‘vittima illustre’ del rimpasto annunciato da Olga Gherovasìli, portavoce del governo, venerdì sera. Le voci di un rimaneggiamento del consiglio dei ministri si rincorrevano da giorni, ma la situazione della trattativa con i creditori (in particolare lo stallo sulla ‘seconda valutazione’, che dovrebbe riguardare il mercato del lavoro) hanno fatto maturare la decisione conclusiva. Altri ministri, la cui sorte era data per incerta, sono infine rimasti nel governo, ma con ruoli diversi. I riflettori erano puntati in particolare su Pànos Skourlètis, ministro dell’Energia e dell’Ambiente , che si era opposto con determinazione allo sfruttamento di nuovi filoni auriferi in Calcidica da parte di una multinazionale canadese; più recentemente, Skourlètis si era battuto per il mantenimento di una quota pubblica maggioritaria, al 51%, nell’ENEL greca (ΔΕΗ). Alcuni giornali hanno considerato la permanenza di Skourlètis al ministero dell’energia come un ostacolo alla conclusione della seconda valutazione (‘concessa’ in cambio di una privatizzazione più spinta): il ministro è però piuttosto popolare, e allontanarlo dal governo avrebbe dato un pessimo segnale. Infine Tsipras lo ha nominato al potente dicastero degli Interni, opzione che permette di ‘salvare’ Skourlètis, ma appare anche, inevitabilmente, come un promoveatur ut amoveatur. Le prossime settimane diranno quanto questa impressione sia fondata. Un ridimensionamento di funzione tocca invece a Giorgio Katroùngalos, ministro della Previdenza Sociale, artefice di una difficile e contestata riforma delle pensioni (che ha cercato di limitare al massimo i danni rispetto alle esigenze dei creditori, resistendo anche tenacemente ad alcune pretese più estreme). Katroùngalos recupera , da viceministro, gli affari europei. Restano al loro posto i ministri della difesa (Panos Kammenos, dei “Greci Indipendenti”) e degli esteri (Nikos Kotziàs, indipendente di sinistra), e naturalmente alle finanze Euclide Tsakalotos, in prima linea nelle trattative con l’Eurogruppo. Più sorprendente l’avvicendamento al ministero dell’Economia, dove Giorgio Stathàkis, fedele di Tsipras e ‘sponda nazionale’ delle trattative con i creditori, fa le valigie per il rimpiazzare Skourlètis. È presto per dire se Stathàkis, dal profilo particolarmente istituzionale, sarà più morbido del suo predecessore sui temi delle privatizzazioni e sul fronte ambientale, ma la sua recente presa di posizione in favore del CETA depone piuttosto in favore di questa ipotesi.
Il secondo Varoufakis?
Al posto di Stathakis, Tsipras ha nominato Demetrio Papadimitrìou, che prende le redini del “ministero più cruciale”, secondo lo stesso Tsipras. Il neoministro è professore di Economia al Bard College di New York, membro del Bretton Woods Committee, ma soprattutto presidente del Levy Economics Institute, una delle fucine del pensiero economico keynesiano e post-keynesiano. Sua l’espressione “la Grecia ha bisogno di un nuovo piano Marshall”, ripresa in campagna elettorale da Syriza già nel 2012. C’è da dire che il neoministro ha sostenuto in passato posizioni abbastanza vigorose sull’Euro ed una possibile doppia circolazione monetaria. Per esempio dichiarando al quotidiano ‘Ethnos’, nel 2013: “le scelte possibili riguardo Cipro e la Grecia sono terribilmente limitate, e le prospettive future sono preoccupanti. L’opzione di una uscita dall’euro non può essere più ignorata. Mi pare si delineino grandi incertezze, ed un “piano B” deve essere predisposto rapidamente. Dovrà contenere l’emissione di una moneta parallela o una rinegoziazione senza quartiere delle misure di austerità. Esistono seri dubbi sulla capacità del tessuto sociale – in Grecia o a Cipro- di resistere a condizioni ancor più dure di quelle già imposte. È certo però che la richieste della troika andranno in questo senso”. Non si può dire che le parole siano state smentite dai fatti.
Come interpretare questa nomina? Se alcuni giornali parlano già di “Varoufakis numero 2” (definizione rilanciata con riprovazione dal portavoce di Nuova Democrazia), pare poco probabile che il nuovo ministro dell’economia metta in cantiere un ritorno alla dracma. Le cose sono non poco cambiate dal 2013 (Papadimitriou ha bollato nel 2015 come “fantascientifiche” le ipotesi di ritorno ad una divisa nazionale), e certamente il punto è stato chiaramente discusso prima della nomina. Piuttosto, la presenza di Papadimitriou tende a rilegittimare il governo Tsipras in due direzioni: da una parte verso i circoli economico-finanziari internazionali (e soprattutto verso quelli statunitensi, de facto piloti degli orientamenti dell’FMI), presso i quali egli gode di credito e rispetto; dall’altra sul versante interno, soprattutto in direzione del blocco sociale che ha sostenuto Syriza negli ultimi anni. Solo due settimane fa, infatti, l’economista greco (assieme a Gennaro Zezza) dichiarava le misure adottate in estate dal governo Tsipras “ulteriormente recessive”, ribadendo la necessità di un ampio piano di investimenti industriali. Il consolidamento fiscale cui è stata costretta la Grecia non porterà frutti positivi “a meno che altre componenti della domanda aggregata crescano sufficientemente da controbilanciare l’impatto negativo dell’austerità sulla produzione e l’impiego”. Insomma una linea di politica economica -se non più ‘a sinistra’- certamente ed esplicitamente più orientata verso il sostegno alla domanda, sul quale il governo greco ha finora potuto fare ben poco. La carta giocata da Tsipras mira ad aprire uno spazio in questa direzione, la sola in grado di mettere fine al ciclo vizioso austerità-recessione-aumento del debito che ha bruciato trent’anni di progresso sociale in Grecia. C’è da augurarsi che i prossimi mesi (nei quali dovrebbero gettarsi le basi per una ristrutturazione più o meno ampia del debito greco) permettano di invertire la rotta.