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Accusati di aver ucciso il cane a bastonate, assolti perché il fatto non sussiste

Giovanni Drogo 23/12/2016

Sono stati assolti i due pastori – padre e figlio – accusati di aver ucciso a bastonate uno dei loro cani da pastore. Accolta la tesi della difesa secondo la quale il cane mostrava segni di aggressività nei confronti del secondo figlio dell’uomo che all’epoca dei fatti aveva dodici anni.

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Il Tribunale di Brescia ha assolto Giacomo e Domenico Romelli – padre e figlio – i due pastori di Breno che erano accusati di aver ucciso nell’estate del 2014 uno dei loro cani da pastore a colpi di bastone e di averlo finito poi con una grossa pietra. La scena era stata fotografata da un’escursionista che aveva consegnato il materiale fotografico ai Carabinieri i quali dopo poco tempo avevano identificato i due autori del gesto che erano stati denunciati per «uccisione di animali» (articolo 544 del codice penale). Il 9 dicembre scorso l’accusa aveva chiesto la condanna per entrambi ad un anno e undici mesi.

breno cane ammazzato processo assoluzione

Una manifestazione degli animalisti in Valcamonica contro i due pastori

Il cane Moro, ucciso a bastonate nel 2014

Oggi è arrivata la sentenza e i Romelli sono stati assolti perché il fatto non sussiste. L’uccisione del cane Moro era avvenuta nel luglio del 2014 e dopo la pubblicazione delle immagini nelle quali si vedono i due prendere a bastonate l’animale sull’Internet si era scatenata la rabbia degli animalisti che avevano iniziato una lunga battaglia – via Facebook – contro i due che avevano in gestione la Malga Bazena in Valcamonica. La Lav invece aveva preferito costituirsi parte civile nel procedimento. Fin da subito le indagini degli uomini dell’Arma era emerso che per i Romelli il cane non fosse all’altezza delle loro aspettative, ad esempio di come non fosse ubbidiente come invece ci si aspetta da un cane da pastore. Inoltre nel 2008 i Romelli si erano classificati quarti al campionato dei cani da pastore per bovini quindi si presuppone che avessero una certa dimestichezza con i cani da lavoro. Giacomo Romelli da parte sua si era sempre difeso spiegando di aver avuto delle “buone ragioni” per fare quello che ha fatto. La tesi della difesa, che pare quindi sia stata accolta dai giudici, era infatti che il cane Moro avesse iniziato a tenere un comportamento aggressivo nei confronti del secondo figlio di Giacomo Romelli, anche lui presente durante l’episodio incriminato e che all’epoca dei fatti aveva dodici anni. In buona sostanza secondo Giacomo Romelli il cane stava manifestando l’intenzione di assalire il figlio più piccolo e quindi – dal momento che non rispondeva agli ordini – era stato costretto a ucciderlo con quello che aveva a portata di mano ovvero il bastone che utilizzava per condurre la mandria al pascolo: «Era l’unica cosa da fare, prima che facesse del male a lui o a noi, oppure a qualcuno dei turisti che percorrono il sentiero per il lago della Vacca. Secondo me è morto al primo colpo». Stando a quanto riferisce la testimone però tutta la sequenza si è protratta per almeno dieci minuti.
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Saverio Tommasi qualche giorno fa, dopo la notizia della richiesta dell’accusa 23 mesi di carcere per i due pastori aveva commentato l’episodio spiegandoci, come suo solito, che i due “maledetti” erano due persone che “potevano tranquillamente uccidere un’altra persona”. Non risulta però che Tommasi sia stato chiamato a fare perizie psicologiche durante il processo quindi la sua opinione serviva solo a scatenare una guerra su Facebook contro i due imputati.
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Il Fronte Animalista, uno dei gruppi più attivi in questa vicenda ha commentato la notizia dell’assoluzione dicendo che “la giustizia è morta ancora una volta”, probabilmente perché l’esito del processo non era quello che si aspettavano.
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Rimangono però alcuni dubbi sulla vicenda, soprattutto legati al corpo del cane, consegnato agli inquirenti quindici giorni dopo il fatto all’interno di un sacco nero. Giacomo Romanelli aveva infatti dichiarato di averlo “nascosto in un posto segreto”. La consulente di parte civile, la veterinaria Manuela Michelozzi aveva riferito in aula le sue perplessità riguardo a quelle stranezze sul corpo del cane: «era scarnificato e non aveva più nemmeno il microchip una cosa strana visto il periodo di tempo intercorso». Inoltre non c’erano segni di fratture, che invece ci dovrebbero essere stati viste le numerose percosse subite dal cane (e pare non ci fossero nemmeno i segni di quelle relative ad un investimento di cui il cane era rimasto vittima un anno prim). Un’altra anomalia rilevata dalla Michelozzi è che nel sacco nero con cui era stato consegnato il cane non ci fosse alcun tipo di traccia biologica, come se si trattasse di un animale rimasto esposto alle intemperie per molto tempo.

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