Lockdown: a cosa serve chiudere tutta l’Italia in casa

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2020-03-10

Questa mattina l’assessore al Welfare della Lombardia Gallera ha detto che è necessario chiudere completamente la Regione per almeno 15 giorni. In Cina è stato fatto – non senza difficoltà, perché si tratta di qualcosa di difficile da fare e da vivere – ma a quanto pare ha funzionato. Oggi il numero di nuovi casi confermati di pazienti affetti da coronavirus  è sceso sotto quota 20 per la prima volta a Wuhan

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Qualcuno che ancora pensa che “chiudere” l’Italia e invitare i cittadini a restare a casa ed evitare tutti gli spostamenti non necessari non serva a nulla o che è una misura eccessivamente drastica. Eppure proprio oggi l’assessore al Welfare della Lombardia Giulio Gallera ha parlato senza mezzi termini di blocco totale della Lombardia per evitare il collasso del sistema sanitario regionale a causa del coronavirus.

L’assessore Gallera chiede un lockdown totale della Lombardia

Gallera ha detto ad Agorà che in Lombardia servono misure più forti come la chiusura delle attività commerciali. E non solo, secondo l’assessore lombardo bisogna pensare a «chiudere per almeno 15 giorni interamente almeno la Lombardia». Una misura drastica che «può servire a bloccare la diffusione del virus» perché la Lombardia «altri quindici o venti giorni di crescita così forsennata dei ricoveri non li reggiamo, non li regge la Lombardia e non li regge l’Italia».

Un lockdown totale, senza possibilità di autocertificazioni che consentono la circolazione delle persone sul territorio. La chiusura completa di attività produttive e commerciali e il blocco dei trasporti pubblici per tentare di circoscrivere la diffusione di Covid-19 sul territorio della regione che – ad oggi – è quella che conta il maggior numero di persone contagiate, di ricoverati in terapia intensiva e purtroppo anche il maggior numero di decessi.

Ma il lockdown serve davvero?

Non è chiaro se e quando si arriverà ad un lockdown totale, una misura draconiana che richiede da parte dei cittadini un grandissimo senso della disciplina. Esattamente il contrario di quello che si è visto in maniera assai diffusa da Nord a Sud della penisola. In Cina è stato fatto – non senza difficoltà, perché si tratta di qualcosa di difficile da fare e da vivere – ma a quanto pare ha funzionato. Oggi il numero di nuovi casi confermati di pazienti affetti da coronavirus  è sceso sotto quota 20 per la prima volta a Wuhan, l’epicentro dell’epidemia. Ad affermarlo un portavoce della Commissione sanitaria nazionale cinese secondo il quale il capoluogo della provincia di Hubei , ha riportato 17 nuove infezioni ieri, mentre nessun nuovo caso è stato segnalato in altre città della provincia negli ultimi cinque giorni.

Di fronte alla progressiva riduzione del numero di pazienti contagiati, le autorità cinesi hanno disposto la chiusura di 14 ospedali allestiti a Wuhan, epicentro dell’epidemia da coronavirus, nel momento di maggiore emergenza. Sono state attuate precise misure di prevenzione e controllo dell’epidemia in tutto il Paese per riprendere gradualmente il lavoro, la produzione e la scuola, così come la normale vita delle persone. La prima città della provincia di Hubei a tornare alla normalità è Qianjiang (un milione di abitanti) dove le autorità locali hanno annunciato l’imminente revoca del lockdown. A partire da oggi – si legge in un tweet del quotidiano cinese Global Times inizierà la smobilitazione con la dei checkpoint lungo le strade, il ripristino del trasporto pubblico e la ripresa del lavoro delle aziende e della produzione.

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Saremo anche noi – in Italia e in Europa – in grado di prendere misure di contenimento così drastiche? Per il momento i dati danno ragione alla Cina. Come spiega Fabio Sabatini su Twitter  le misure di contenimento drastiche adottate dal governo cinese a Wuhan e nell’Hubei sembrano aver funzionato consentendo di interrompere la traiettoria di crescita esponenziale della curva epidemica e quindi portando ad una graduale diminuzione dei contagi. Secondo uno studio (non ancora peer rewied) condotto su campione casuale di 25.961 contagiati da Covid-19 a  Wuhan da parte di un team di ricercatori della Huazhong University (Wuhan) e dell’Harvard University il tasso di riproduzione del virus prima della quarantena obbligatoria era pari a 3,86 (ogni persona infettata ne contagiava a sua volta altre tre). Una volta instaurato il regime di lockdown i dati raccolti suggeriscono che il tasso  di riproduzione sia sceso a 0,32.

Come la Cina sta sconfiggendo l’epidemia

Per la verità la quarantena e il lockdown da sole non bastano. Come spiega a Vox il vicedirettore generale dell’OMS Bruce Aylward la reazione del governo cinese al diffondersi dell’epidemia è stata molto più articolata e complessa. Secondo Aylward le restrizioni al movimento dei cittadini sono solo una parte della risposta sanitaria. La Cina – scrive l’OMS nel suo rapporto – ha fatto uno sforzo enorme prima per contenere i casi di coronavirus ed evitare l’esportazione dei casi infetti, poi per ridurre l’epidemia e cercare di rallentare l’aumento del numero dei casi e infine per interrompere le catene di trasmissioni locali di coronavirus isolando i pazienti e rintracciando tutti i contatti in modo da monitorare i vari cluster epidemici.

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Le varie fasi della risposta della Cina all’epidemia di coronavirus Fonte: Rapporto OMS su Covid-19

Non solo lockdown ma anche capacità e rapidità di analisi e di trattamento dei casi di infezione con conseguente tracciamento dei contatti stretti dei pazienti in modo da poterli isolare e sottoporre ai test. Questo più della quarantena richiede una massiccia opera di sorveglianza della popolazione. Non basta che i cittadini stiano a casa, è necessario che segnalino i casi sospetti, che questi vengano analizzati e che il cluster di trasmissione venga circoscritto il più rapidamente possibile. Questo richiede soprattutto una cosa: rapidità di reazione e di decisione. E oltre a questo è sotto gli occhi di tutti l’enorme sforzo logistico. Perché anche in Cina gli ospedali ad un certo punto non erano più sufficienti. E così nella sola Wuhan sono stati costruiti in tempi relativamente brevi 14 “centri temporanei”, delle specie di ospedali da campo attrezzati al contenimento del virus e alla cura dei pazienti infetti.

Uno sforzo sovraumano che sembra stia dando buoni frutti ma che non si sa quanto sia replicabile, nella sua interezza e complessità, in un paese come l’Italia. A meno naturalmente di non convogliare il grosso delle risorse (economiche, sanitarie e umane) nelle regioni più colpite (così come è stato fatto nell’Hubei) in modo da interrompere l’espansione dei focolai epidemici. Si potrebbe fare in Lombardia come chiede Gallera? Forse sì, a patto che tutto il resto del Paese collabori e che sia chiaro che i cittadini di un’eventuale zona “in lockdown” dovranno fare grandissimi sacrifici per i quali avranno bisogno di tutto il sostegno dello Stato e del resto della popolazione italiana.

Foto copertina via Twitter.com credits Agorà Rai

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