1000 morti: perché in Italia si muore di più di Coronavirus

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2020-03-13

Cosa sta succedendo e perché in Italia si muore di più di Coronavirus rispetto agli altri paesi? Uno dei fattori è l’età media più avanzata della nostra popolazione. Ma c’è anche altro e riguarda il test del tampone

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Sono stati mille ieri gli italiani uccisi dal Coronavirus. Per la precisione la Protezione Civile ha comunicato 1016 decessi, in crescita di 188 rispetto al giorno prima. Che portano il tasso di letalità di SARS-COV-2 e di COVID-19 a 6,706%, mentre in Cina è di 2,4%. Cosa sta succedendo e perché in Italia si muore di più di Coronavirus rispetto agli altri paesi? Uno dei fattori è l’età media più avanzata della nostra popolazione. Ma, spiega oggi Elena Dusi su Repubblica, non c’è solo questo:

Il tasso di letalità infatti è il rapporto fra i decessi e i casi positivi riscontrati con i tamponi. Aumenta se si riduce il bacino dei positivi. Ed è proprio quello a cui stiamo assistendo — per ovvie difficoltà organizzative — in Lombardia, dove il tasso di letalità arriva a 8,7%. In Veneto, dove il numero dei tamponi è di poco inferiore alla Lombardia (24 mila rispetto a 29 mila1, a fronte di un’epidemia con un quinto dell’estensione (1.300 contagiati rispetto a 6.900), il tasso di letalità si sovrappone alla Cina: 2,4%.

Fare meno tamponi — una necessità, in questa fase così dura — non vuol dire solo rendere i dati meno rappresentativi. «Significa che individui positivi, ma con pochi sintomi, escono ignari di casa e continuano a diffondere l’epidemia» spiega Susanna Esposito; presidentessa Waidid (Associazione mondiale delle malattie infettive) e ordinaria di pediatria all’università di Parma. «Uno studio su The Lancet spiega che ciascun contagiato diffonde il virus per un periodo compreso tra 8 e 37 giorni. In media sono 3 settimane».

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I numeri del Coronavirus (La Repubblica, 13 marzo 2020)

I casi lievi restano quindi a casa e non fanno il test, perché sarebbe impossibile oggi, per un sistema sanitario allo stremo, prevedere che un’équipe in tenuta anticontaminazione si rechi a casa di chiunque denunci febbre e tosse.

«Servirebbero più personale, più kit diagnostici, più laboratori per analizzare i campioni» spiega Paolo D’Ancona, epidemiologo dell’Iss. Anche la Cina il 13 febbraio rinunciò a testare tutti i suoi pazienti, affidandosi ai dati della Tac laddove non c’erano più tamponi. Ma Pechino, a differenza dell’Italia, includeva i malati empirici nel totale dei positivi. Per questo ha mantenuto il tasso di letalità relativamente basso. A Wuhan, nella fase peggiore, era 3,4%.

La media dei contagiati in Italia è 65 anni, quella delle vittime 82.1] 9% delle vittime ha oltre 90 anni, 1141% ne ha fra 80 e 89, il 33% ne ha fra 70 e 79, l’8% ne ha fra 60 e 69, il 2% tra 50 e 59. C’è una piccola quota di età ignota. «Non abbiamo vittime sotto ai 50 anni», con l’eccezione, spiega Onder, «di due 39enni morti ieri che avevano già malattie gravi». La grossa fetta di pazienti anziani sposta verso l’alto la letalità complessiva dell’Italia. «Ma se dividiamo i decessi per età, le nostre statistiche non sono peggiori di quelle cinesi» prosegue Onder. «La letalità sotto ai 70 anni è 0,5% da noi e 1,3% in Cina».

Un’altra nazione molto colpita dal coronavirus e con struttura demografica simile alla nostra è la Corea del Sud. Seul ha reagito all’epidemia con una dose massiccia di tamponi: oltre 200 mila, anche per chi lamenta un po’ di tosse o si è trovato a contatto con un malato. Identificando una grossa fetta dei contagiati, la Corea si ritrova con una letalità dello 0,8%: non troppo diverso dall’influenza.

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