«Vi racconto le bugie di Obama su Osama»

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2015-05-11

Il premio Pulitzer Seymour Hersh sostiene che l’Amministrazione USA ha mentito riguardo le circostanze dell’uccisione di Osama bin Laden. La storia della scoperta del covo del leader di al Qaida, il coinvolgimento dei Servizi Segreti pakistani e la fine del corpo di bin Laden

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Seymour M. Hersh è sempre stato una spina nel fianco dei Presidenti USA. Da quando nel 1969 ha scritto il suo famoso reportage (che gli è valso il Premio Pulitzer) sul massacro di My Lai e sulle azioni dell’esercito americano per insabbiare il caso Hersh è sempre stata una voce critica nei confronti dell’operato dei militari e dei comandanti in capo che si sono succeduti durante questi quarantacinque anni. Tanto per dare un’idea di quello che pensano di Hersh a Washington una volta il repubblicano Richard Perle l’ha definito “the closest thing American journalism has to a terrorist“. Perché la cifra del lavoro giornalistico di Hersh è quella di mettere in luce gli aspetti nascosti e taciuti dell’operato della più grande democrazia del Mondo.

TUTTO QUELLO CHE SAPETE SULLA MORTE DI OSAMA È FALSO
Un paio di anni fa Hersh aveva anticipato al Guardian di stare lavorando ad un libro che racconterà la storia della guerra al terrore. Un capitolo importante di quella storia, e del libro di Hersh, è l’uccisione di Osama bin Laden nel 2011. Secondo Seymoyr Hersh quasi tutto quello che ci è stato raccontato di quella notte è falso. Tutto tranne una cosa: Osama bin Laden è stato ucciso, ma la scoperta del covo di Abbottabad, il biltz notturno e anche la vicenda del corpo gettato in mare non sono andate come ci è stato raccontato fin’ora. Ma andiamo con ordine: come è stato scoperto che Bin Laden era nascosto in Pakistan? Le autorità pakistane erano a conoscenza del fatto che il capo di al Qaida si trovava all’interno del loro territorio? Secondo la versione di Hersh l’ISI (i servizi di sicurezza Pakistani) non solo erano al corrente del luogo dove si nascondeva bin Laden (che come si sa era a pochi chilometri di distanza da un’accademia dell’esercito pakistano) ma addirittura lo tenevano sotto controllo perché era loro prigioniero dal 2006:

bin Laden had been a prisoner of the ISI at the Abbottabad compound since 2006; that Kayani and Pasha knew of the raid in advance and had made sure that the two helicopters delivering the Seals to Abbottabad could cross Pakistani airspace without triggering any alarms; that the CIA did not learn of bin Laden’s whereabouts by tracking his couriers, as the White House has claimed since May 2011, but from a former senior Pakistani intelligence officer who betrayed the secret in return for much of the $25 million reward offered by the US, and that, while Obama did order the raid and the Seal team did carry it out, many other aspects of the administration’s account were false.

Insomma quasi nulla è andato come ci è stato raccontato. Il rifugio di Abottabbad non è stato scoperto grazie al paziente lavoro di intelligence, ai pedinamenti di coloro che andavano e venivano dal compound dove era asserragliato bin Laden ma semplicemente perché un ex-ufficiale dell’ISI che nel 2010 avrebbe fornito le informazioni per localizzare bin Laden al fine di incassare la taglia di venticinque milioni di dollari messa sulla testa dello sceicco del terrore. La soffiata semplificò non solo le operazioni ma anche i rapporti tra i tre paesi maggiormente coinvolti: USA, Pakistan e Arabia Saudita. Secondo la fonte di Hersh i pakistani temevano che i sauditi potessero rivelare la posizione di Osama mettendoli in una brutta posizione nei confronti degli Stati Uniti, i sauditi d’altro canto temevano che fossero i pakistani a farlo e che potessero venire alla luce i rapporti tra l’organizzazione di bin Laden e l’Arabia Saudita. I sauditi infatti finanziavano la permanenza in Pakistan del leader di al Qaida fin dal 2006.
https://www.youtube.com/watch?v=OA4enAfq8zs
I PAKISTANI ERANO AL CORRENTE DEL RAID DEI SEAL
Anche l’idea che tutta l’operazione si sia svolta senza che le autorità pakistane ne fossero state informate è una delle menzogne di Obama. Non solo l’esercito pakistano era al corrente dei propositi della CIA ma avrebbe attivamente cooperato affinché la missione andasse a buon fine. Non è stato un lavoro facile, Hersh sostiene che furono necessarie lunghe trattative per raggiungere un accordo tra i due paesi in modo da consentire al’ISI di potersene uscire in modo “pulito” senza risultare pubblicamente coinvolta nell’assalto alla villetta di Abbottabbad. Il piano ha richiesto anche l’espulsione del capo-sezione della CIA in Pakistan da parte della polizia (pare dopo una soffiata dell’ISI in accordo con la CIA) in seguito ad un fallito attacco missilistico coi droni. Secondo un’altra fonte anonima (questa volta un’ex-ufficiale USA):

It didn’t take long to get the co-operation we needed, because the Pakistanis wanted to ensure the continued release of American military aid, a good percentage of which was anti-terrorism funding that finances personal security, such as bullet-proof limousines and security guards and housing for the ISI leadership

I pakistani chiusero un occhio anche sul sorvolo degli elicotteri americani la notte del raid. Un ex-SEAL sostiene che la prova è che il blitz si svolse senza copertura aerea, generalmente necessaria in questo genere di operazioni. Come a dire: era tutto sicuro, l’unica cosa da fare era entrare nel compound e uccidere bin Laden. Ed è proprio così che sono andate le cose secondo Hersh: nessuna sparatoria i SEAL sono entrati, sapevano come muoversi (grazie alle indicazioni dell’ISI) e hanno ucciso il leader di al Qaida dopo averlo seguito nella sua camera da letto. Dopo la fine dell’operazione le forze speciali hanno aspettato con una relativa calma (indicativa che non c’erano da temere reazioni pakistane) di venire prelevati da un elicottero mandato per sostituire quello schiantatosi sul compound.
CHE FINE HA FATTO IL CORPO DI BIN LADEN?
Uno dei punti più problematici del resoconto ufficiale è la fine del corpo di Osama bin Laden. I SEAL lo avrebbero caricato su uno degli elicotteri, in seguito sarebbe stato effettuato un esame del DNA e il corpo sarebbe stato “sepolto in mare”. Il fatto che non è stato mostrato il corpo di Osama ha consentito ai vari complottisti di sostenere che bin Laden è ancora vivo (assieme ad Elvis) nascosto da qualche parte. Ai fedeli musulmani invece non è andato particolarmente giù che bin Laden non abbia ricevuto una sepoltura secondo i dettami del Corano. Gli USA si affrettarono a smentire quest’ultima affermazione dicendo che era stato fatto tutto il possibile e il necessario per garantire il rispetto dei precetti coranici in materia di sepoltura (a parte il dettaglio del corpo gettato in mare). Hersh sostiene però che non ci sono prove che dimostrino che il corpo di Osama sia arrivato sulla portaerei Carl Vinson, nessuna testimonianza nemmeno sui chi abbia eseguito la cerimonia funebre. Ancora una volta entrano in gioco diverse “fonti anonime” che sostengono che i SEAL avrebbero crivellato di colpi Osaba facendo a pezzi il corpo dello sceicco del terrore i cui resti sarebbero stati sparpagliati da un elicottero sulle montagne dell’Hindu Kush.
IL PROBLEMA DELLA VERSIONE DI HERSH
Seympur Hersh è un giornalista investigativo molto rispettato, il suo racconto fornisce molti dettagli che spiegano il retroscena dell’evento che avrebbe dovuto porre fine alla guerra al terrorismo (ma ormai bin Laden non contava più molto nella galassia del terrore islamico). Il problema principale rimane il massiccio ricorso alle fonti anonime, ex ufficiali pakistani, ex SEAL, ex militari USA senza nome. L’editor di Hersh al New Yorker sostiene di essere a conoscenza dell’identità di tutte le fonti utilizzate da Hersh, ma rimane il dubbio di quanto a volte sia “conveniente” far scaturire le informazioni da una fonte anonima, senza fornire ulteriori prove che ne corroborino le affermazioni. Un aspetto questo sul quale Hersh dovrà fare chiarezza.
Foto copertina: Wikipedia.org

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