Senio Bonini: “Di fronte alle battute omofobe non resto mai zitto. I diritti? La strada è ancora lunga” | L’INTERVISTA

di Sara Manfuso

Pubblicato il 2022-04-11

Senio Bonini, giornalista di RaiNews Studio 24, per dieci anni corrispondente Rai da Palazzo Chigi, dallo scorso anno conduce il programma “Agorà Extra” in onda dal lunedì al venerdì su Rai3. Unito civilmente a Rosario, padre di Luna e Leo, si batte da sempre per i diritti Lgbtq.

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Senio Bonini, giornalista di RaiNews Studio 24, per dieci anni corrispondente Rai da Palazzo Chigi, dallo scorso anno conduce il programma “Agorà Extra” in onda dal lunedì al venerdì su Rai3. Unito civilmente a Rosario, padre di Luna e Leo, si batte da sempre per i diritti Lgbtq.

D – Senio ti vediamo al timone di “Agorà Extra” con ottimi risultati. Cosa affatto scontata per un prodotto televisivo nuovo e in una fascia altamente competitiva del day time. La conduzione è sempre stata il tuo obiettivo, o una deviazione inaspettata del tuo percorso?
R– La conduzione è stata un’evoluzione dopo 10 anni da inviato al seguito dei presidenti del Consiglio, da Letta a Conte, passando per Renzi e Gentiloni. In forza a Rainews24, trolley sempre pronto, migliaia di chilometri in giro per il mondo, un’esperienza bellissima, ho toccato tutti i continenti, la Casa Bianca, il Cremlino… Poi sono arrivati i figli e la conduzione di Studio24, sempre per l’all’news. Di lì dopo qualche mese a casa l’approdo a Rai3, nel nuovo format di Agorà Extra.
D – Quanto ha influito sulla formazione della tua personalità e sulle tue aspirazioni essere nato e cresciuto su un’isola?

Senio Bonini intervista 1

R – Sono nato e cresciuto all’Elba. Un’isola è negazione geografica, è costrizione ma anche costante tensione verso la fuga. È confine e identità. E tutto questo te lo porti dentro, sempre. La ami e la odi al contempo. A me ha dato l’opportunità di iniziare, lavoravo al Tirreno, avevo 16-17 anni, andavo al giornale dopo la scuola. Le piccole realtà insulari paiono a prima vista limitanti ma sono invece ricche di piccole dimensioni editoriali, certo poi la voglia di proseguire ti porta a tagliare i cordoni ma sapere da dove vieni e tenerlo bene a mente non ti fa perdere il contatto con il reale e con le tue radici.
D – Sei unito civilmente a Rosario con il quale, insieme ai vostri due meravigliosi bambini, formate una cosiddetta “famiglia arcobaleno”.
R – Una splendida famiglia che con Leo e Luna ha trovato la sua completezza. Li abbiamo voluti da sempre, lì abbiamo inseguiti in capo al mondo. Sognati, cercati, pervicacemente. E alla fine, come amo ripetere, dopo una “gestazione durata anni”, sono arrivati. Nati negli Stati Uniti. Abbiamo detto tanti sì in questi anni, questo per sottolineare la nostra incrollabile consapevolezza. E ora sono la nostra gioia più grande. Siamo famiglia a dispetto di tutti coloro che tentano di affermare il contrario. Nonostante i diritti di queste famiglie ancora non siano riconosciuti, ma noi andiamo avanti con l’affetto di chi ci sta vicino e con una certezza granitica: la famiglia è il luogo dell’amore.
D – Hai mai vissuto forme di discriminazione per la tua omosessualità?
R– Chi non li ha subiti alzi la mano. Le occhiate, i gomitini, le battute omofobe, anche su lavoro. Ma il mio percorso personale è fatto di crescita, di consapevolezza, conquiste a testa alta. Ne ho fatta una sorta di evangelizzazione laica, non lascio mai correre, anche quando di fronte a battute involontariamente offensive rispondo e faccio notare, magari con un sorriso. Lo faccio per me, memore di quando non avevo il coraggio o la maturità di reagire e per coloro che questa forza ancora non l’hanno acquisita. Mai violenza fisica per fortuna, ma non sono mancate le occasioni in cui mi sono sentito a disagio, come minacciato, come costretto a limitarmi e questo non è giusto.
D – Dal matrimonio egualitario alla stepchild adoption, per citare due esempi. Quante e quali le riforme da fare ancora a livello legislativo?

R – Penso in primis al matrimonio egualitario. Credo che in molti oggi considerino l’unione civile approvata dal governo Renzi un vero e proprio matrimonio equiparato in tutto e per tutto. Beh, non è così. Dall’obbligo di fedeltà (proprio così, sembra incredibile) che noi gay non abbiamo, all’istituto dell’adozione che ovviamente mi trova favorevole, così come per l’adozione dei single. E poi il riconoscimento dei diritti delle famiglie omogenitoriali. Ma penso anche allo ius soli, al fine vita. È un lungo sentiero ancora inesplorato quello dei diritti nel nostro paese. Dovremmo tutti pensare per una volta che i diritti delle minoranze, tutte, sono i diritti di tutti. Condividere questo assunto e renderlo norma ci renderebbe un paese migliore.
D – Di questi giorni, tra le tante immagini agghiaccianti del conflitto in Ucraina, quella delle transgender costrette a combattere. Non credi che anche nella nostra democratica Italia si fatichi a far capire cosa significhi realmente un processo di “transizione”?
R – Ci sono state transessuali respinte al confine tra Ucraina e Polonia perché sui loro documenti compariva ancora la loro anagrafica al maschile. Ma grazie alle associazioni internazionali lgbtqi queste situazioni sono state sanate. Abbiamo invece assistito a molti casi in cui rappresentanti della cosiddetta galassia arcobaleno hanno vestito le mimetiche per il loro paese invaso abbandonando il pacifismo tipico delle sigle lgbtqi. Questo ci fa capire quanto sia importante difendere a costo della vita le conquiste radicate in decenni di attivismo. In Italia dovremmo far tesoro di queste testimonianze per capire come i concetti di noi, loro, uno e nessuno si stemperino di fronte alla necessità di difendere la vita e la libertà. Ancora oggi in Italia le persone transessuali vivono lo stigma, discriminazioni, violenze. Sono una minoranza tra le minoranze.
D – “Frocio” e “negro” sono degli insulti, o appartengono all’esercizio della libertà di espressione come ha dichiarato Donatella Rettore in questi giorni attirando non poche critiche? Non staremo forse esagerando con il politically correct?
R – Io sono affezionato al politically correct, lo considero una conquista di civiltà. In alcuni paesi, penso agli Stati Uniti, alcune parole sono diventate letteralmente impronunciabili, penso alla cosiddetta N-world che ha sostituito la vergogna del nigger. Ecco dovremmo arrivare anche da noi alla percezione di impronunciabilità dietro ad alcune storiche offese, dei marchi, ci darebbe il senso delle lotte, delle vittime, dei soprusi sottesi dietro decenni di prevaricazioni.
D – Da Facebook a IG, sino ad arrivare alle piattaforme di ultimissima generazione. Giornalisti e conduttori che sono, o ambiscono ad essere, star del web. Puro narcisismo, o voglia di arrivare a un pubblico che la televisione non intercetta più?
R – È il mainstream, è la rincorsa spasmodica ai like a costo di stravolgere la nostra stessa dimensione d’essere, la nostra deontologia. È il narcisismo che rimpiazza la sana voglia di comparire. Confine labile. Oltre certamente, come giustamente rimarchi, la necessità di intercettare un pubblico più ampio che vada oltre giornali e TV. Credo che servirebbe più misura, merce rara oggi.
D – Due titoli, di un libro e di una canzone, per raccontarci chi sei.
R– “Middlsex” di Jeffrey Eugenides e “Il Bar delle grandi speranze” di J.R Moeringer. Canzoni, “L’isola che non c’è” di Bennato e “I’m yours” di Jason Mraz.

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