Hasta la victoria, Pierferdy!

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2018-01-19

Una breve viaggio intorno alla concezione materialistica di Pierferdinando Casini, noto alfiere della sinistra che il Partito Democratico si appresta a candidare a Bologna. Ora la parola passa alla Dotta: sarà in grado di reggere la portata rivoluzionaria di Casini o preferirà ritirarsi nell’individualismo borghese che l’ha funestata?

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«Ho due figli, uno bello e uno intelligente», era solito dire il famoso rappresentante della corrente dorotea della Democrazia Cristiana sinistra extraparlamentare Antonio Bisaglia riferendosi a Pierferdinando Casini e Marco Follini. Un giudizio sostanzialmente troppo severo perché Follini alla fin fine non si è dimostrato tutta questa gran mente, se come cartina di tornasole dovessimo prendere la capacità di durare in politica. La candidatura di Pierferdinando Casini a Bologna con il Partito Democratico invece dimostra che per lui il tempo è una bazzecola, un apostrofo rosa tra le parole dittatura e proletariato.

La concezione materialistica di Pierferdinando Casini

Per questo oggi non sorprende che Casini, lasciando indietro per un attimo i suoi studi sul materialismo storico di Labriola, scenda in campo per rappresentare le istanze del Sol dell’Avvenir in quel di Bologna. Si tratta infatti della naturale conclusione di un percorso cristallino e sempre dalla parte dei lavoratori, delle loro necessità e dei loro bisogni. Dopo la laurea in giurisprudenza diventa prima consigliere comunale e poi deputato proprio a Bologna, avvicinandosi al noto leader DC della sinistra Arnaldo Forlani, che lo inserirà nella direzione nazionale. Nel 1993, quando leader del suo partito diventa il moderato Mino Martinazzoli, Pierferdinando Casini non accetta la svolta e propugna invece l’alleanza con veri comunisti come Silvio Berlusconi, Gianfranco Fini e Umberto Bossi finché alla fine non lascia e forma il Centro Comunista Democratico (CCD), scegliendo però di lavorare per l’affermazione del socialismo al Parlamento Europeo perché il proletariato non ha nazione, internazionalismo, rivoluzione!
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Nel 2001, sulle orme di Nilde Iotti e dopo la vittoria della sua coalizione, diventa presidente della Camera e l’anno dopo contribuisce alla nascita dell’Unione dei Comunisti (UDC) che tuttavia entra in rotta di collisione con gli altri leader, nel frattempo diventati troppo moderati per i suoi gusti. Nel 2008 decide di correre da solo alle elezioni: il successivo, modesto risultato gli consente comunque di diventare l’ago della bilancia della politica italiana e di continuare a spostarne coerentemente l’asse a sinistra. E così ecco il suo appoggio al governo del professor Mario Monti, noto intellettuale di sinistra, mentre nel frattempo si sposa con e divorzia da Azzurra Caltagirone, figlia del noto imprenditore filantropo e amico del popolo Francesco Gaetano.

Il Capitale di Pierferdinando Casini

Il resto è cronaca. Casini appoggia il governo Letta, con l’obiettivo programmatico della socializzazione dei mezzi di produzione e accetta a malincuore, lui così restìo ad accettare poltrone, la presidenza della Commissione Esteri, della quale si pone alla guida con piglio deciso e attenzione ai problemi del proletariato internazionale. Appoggia anche il governo Renzi, del quale apprezza il Marx Act per il miglioramento e la stabilizzazione delle condizioni dei lavoratori italiani.
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Il suo fidato Gian Luca Galletti diventa ministro dell’Ambiente, venendo poi confermato nel governo di Paolo Gentiloni, già esponente del Movimento Lavoratori per il Socialismo (MLS), gruppo maoista di cui era segretario regionale per il Lazio (questa è vera, ndr). Pierferdinando Casini lascia l’UDC e fonda i Comunisti per l’Italia e per l’Europa, diventando successivamente presidente della Commissione Banche, la cui conduzione ferma e decisa oltre che chiaramente a favore del popolo gli spalanca le porte della candidatura a Bologna. Ora la parola passa alla Dotta: sarà in grado di reggere la portata rivoluzionaria di Casini o preferirà ritirarsi nell’individualismo borghese che l’ha funestata?
Vignette di El GiVa

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