Michele Serra e il 25 aprile del partigiano Luchino, il “Conte Rosso” che ha preferito le galline al Parlamento | VIDEO

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2022-04-25

Il giornalista e scrittore ha raccontato la storia del partigiano Luchino Dal Verme

article-post

Il 25 aprile, festa della Liberazione. Un giorno in cui si celebra la Resistenza italiana nei confronti del fascismo e dei nazisti tedeschi che avevano invaso il nostro Paese in quel misto tra due dittature che si erano unite scrivendo una delle pagine più sanguinose e buie della nostra storia. Un giorno per ricordare quei personaggi che hanno fatto la storia di quel periodo e di quegli atti di coraggio per sconfiggere il nemico. Tra di loro, come ricordato da Michele Serra, c’è Luchino Dal Verme. Il giornalista e scrittore, dallo studio di “Che Tempo che Fa”, ha raccontato la sua storia.

Michele Serra racconta la storia del partigiano Luchino Dal Verme

Una storia che parte da lontano e che Michele Serra racconta senza entrare nello specifico di determinati atti sul campo, ma basandosi sul prima e il dopo. Su quel che era l’Italia prima e quella che è stata dopo la Liberazione:

“Il 25 aprile è la festa della libertà, dunque chi vuole è libero di fare festa e chi non vuole è libero di non farla. Però non sa cosa si perde. Si perde, per esempio, un piccolo cimitero tra i castagni in un paesino dell’Appennino Pavese che si chiama Torre degli Alberi. Domani (oggi, ndr) andrò lì a portare questa rosa bianca a Luchino Dal Verme che è morto nel 2017 a 104 anni. È stato un comandante partigiano, la sua storia è così bella che ve la racconto.
Luchino si chiamava come un suo avo, capitano di ventura, che diede inizio al casato dei Da Verme nel 1300. Molte fortune dinastiche iniziano proprio così: uno più bravo degli altri a menar le mani e a usare la spada viene preso a ben volere dal Re e diventa nobile. Anche il Luchino del ‘900, come molti suoi avi, è un soldato. Parte per la campagna di Russia spedito da Mussolini a fare la guerra di Hitler. L’armata italiana è male equipaggiata, è costretta a retrocedere e nell’inverno del 42-43 torna sbaragliata verso l’Italia camminando per la neve.
È la ritirata di Russia. Decine di migliaia di morti e dispersi. Qualcuno in battaglia, molti per il freddo e per la fame. Luchino è tra i pochi che riesce a tornare vivo da quella strage. Dopo l’armistizio dell’8 settembre, quando l’esercito italiano viene lasciato allo sbaraglio, senza ordini e in balia degli eventi, si le va l’uniforme e torna a casa. Lo accoglie la madre e lui le dice: “Non so più qual è il mio dovere”. E lei gli risponde: “Non sei il solo”. L’8 settembre del 1943 è il giorno in cui per gli italiani muore il dovere e nasce la coscienza. Intorno a lui si organizza la resistenza contro i fascisti e contro i tedeschi. Centinaia di ragazzi si danno alla macchia. Luchino, ormai, è un soldato riluttante. Dopo la ritirata di Russia, di guerra non vuole più saperne. Ma un amico gli disse: “Sei un bravo soldato, devi aiutare quei giovani più inesperti di te. Devi combattere per il tuo Paese”.
Luchino riprende le armi. Diventa comandante di una divisione garibaldina. Monarchico, cattolico, aristocratico: è il capo amatissimo di centinaia di partigiani comunisti. Lo chiamavano il “Conte rosso”, anche se rosso non era. Anche per questo la rosa che gli porto domani (oggi, ndr) è bianca come la neve in Russia e come la neve quando cade a Torre degli Alberi. Liberata Milano e l’Italia, nell’aprile del ’45 Luchino depone le armi per la seconda volta. Diversi partiti gli offrono un posto in Parlamento, lui rifiuta. Preferisce ritirarsi tra i suoi monti e allevare galline. Tra la vita pubblica e le galline, sceglie le galline. Nelle pochissime interviste che ha concesso negli anni successivi, parla bene della libertà e delle galline. Male dei fascisti e dei Savoia. Li chiama “traditori”. Il suo non è il giudizio di un politico, ma di un soldato.
Ai suoi funerali ho conosciuto il suo medico. Mi ha raccontato che Luchino da vecchio era diventato sordo e a 90 anni aveva chiesto un apparecchio acustico, ma una settimana dopo glielo aveva restituito. Il dottore gli ha chiesto: “Funziona male?”. Luchino ha risposto: “No, funziona benissimo, questo è il problema. Quando cammino nei boschi vicino casa sento lo scricchiolio della neve sotto i miei scarponi e mi torna in mente la ritirata di Russia. Preferisco essere sordo”. Era un soldato, ma il rumore di guerra, della carneficina e del disonore non voleva più sentirli. Quando gli porterò la rosa bianca, attorno a noi ci sarà solo silenzio e pace”.

E oggi Michele Serra porterà su quella tomba di Luchino Dal Verme quella rosa bianca.

(foto e video: da “Che Tempo che Fa”, RaiTre)

Potrebbe interessarti anche