Così lo streaming sta impoverendo l'industria discografica

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2015-04-27

A lanciare l’allarme sono gli artisti e le case discografiche che si sono accorti che non stanno guadagnando nulla dai milioni di ascolti su Spotify e Pandora

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La Stampa di oggi pubblica un articolo nel quale si spiega la crisi della discografia al tempo della musica in streaming. Non è una novità che quella che è attualmente la modalità d’ascolto preferita non sia vista con favore dalle case discografiche e nemmeno dagli stessi artisti. Spotify e Pandora (i due servizi di streaming più diffusi) pagano molto poco in termini di royalties, basti pensare che la hit del 2014 “Happy” di Pharrel William ha generato solo 2.700 dollari di royalties a fronte di 43 milioni di ascolti su Pandora.

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Quanto si guadagna con la musica digitale (La Stampa, 27 aprile 2015)

Il modello di business dello streaming piace solo agli utenti, che pagano poco e ascoltano tutta la musica che vogliono. Per questo Jay-Z ha radunato i suoi amici musicisti per dare vita a Tidal, un servizio di streaming online che promette di pagare in modo onesto gli artisti. È ancora presto per dire se sarà un successo o un flop, certo però è che al di là del catalogo di Tidal la qualità della musica non sembra essere migliore di quella offerta su Spotify o Pandora. Il rischio è che l’industria discografica si sia mossa troppo tardi e nella direzione sbagliata: inseguire il successo delle piattaforme di musica in streaming sembra più un blando palliativo che probabilmente non risolleverà le sorti del settore. La scelta che farà Apple quando lancerà il suo servizio di streaming probabilmente condizionerà molto di più il mercato delle scelte di Jay-Z e di Tidal.

ogni brano ascoltato su uno dei nuovi servizi per la musica digitale – quelli che permettono di sentirla online, senza comprare cd o scaricare file – genera introiti minimi per chi lo interpreta. Mille riproduzioni in streaming portano a un artista, in media, poco più di un euro su Spotify, poco meno di un euro su Deezer, soli 28 centesimi su YouTube. A conti
fatti, per qualcosa che assomigli a uno stipendio serve macinare un milione di ascolti al mese. Un traguardo a cui pochissimi possono aspirare. Ma lo streaming non è il futuro:
è già qua. Cliccare su You-Tube è di gran lunga la modalità d’ascolto più popolare tra i giovani. E Spotify ha 60 milioni di utenti attivi nel mondo. Una rivoluzione che non appaga chi
la musica la crea e interpreta. Ed è così che è nato Tidal, lanciato a marzo da un gruppo di 16 star guidato da Jay-Z: un anti-Spotify più generoso con gli artisti. Una novità che stenta a
decollare, ma con un aspetto interessante: su Tidal la musica si ascolta solo in abbonamento, non gratis come quasi tutti gli altri permettono di fare, pur con la pubblicità di contorno.

Per tornare al caso di “Happy”, il CEO della Sony Martin Bandier ha fatto i conti in tasca a Pandora e calcolato che per ogni milione di ascolti in streaming Pandora ha girato a Pharrel solo sessanta dollari. Visti nero su bianco gli incassi dei grandi artisti dallo streaming fanno sicuramente impressione ma non dobbiamo dimenticare che i contratti di musicisti come Williams ed altri con le major hanno già tolto loro una buona parte del controllo sulla propria musica. Senza contare il fatto che Spotify e Pandora pagano sì poco ma perché danno anche poco agli utenti anche in termini di qualità dell’audio.
Foto copertina via Wikipedia.org

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