La verità sulla storia dell'assemblea al Colosseo

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2015-09-19

La racconta a Repubblica oggi Irene Baroni, che lavora al monumento per conto del ministero dei Beni Culturali. Che da novembre “dimentica” di pagarle una parte del salario. E intanto blatera delle inefficienze altrui

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La verità sulla storia dell’assemblea al Colosseo la racconta oggi una dipendente che lavora nella vigilanza del monumento e si chiama Irene Baroni, sentita da Repubblica. «Cosa vorrei dire ai turisti che hanno atteso fuori dal Colosseo? «Un messaggio semplice: che il lavoro deve essere retribuito. Credo che un americano o un giapponese possano capirlo benissimo».
 
LA VERA STORIA DELL’ASSEMBLEA AL COLOSSEO
La dipendente prima spiega e racconta come è andata la vicenda dell’assemblea, ricordando quello che avevamo già scritto ieri. Si sapeva infatti da qualche giorno che il Colosseo sarebbe stato chiuso tre ore per assemblea sindacale:

Colosseo, Foro Romano, Terme di Caracalla, scavi di Ostia antica chiusi per assemblea sindacale. Questo il rischio per i più importanti monumenti capitolini domani mattina a causa di un’assemblea sindacale delle Rsu indetta dalle 8 alle 11. Nell’incontro, spiega il sindacato, si parlerà della “gravissima situazione dei dipendenti della Soprintendenza archeologica dovuta “al mancato pagamento delle indennità di turnazione e delle prestazioni per le aperture straordinarie e la mancata apertura di una trattativa per il rinnovo del contratto”. A rischio chiusura anche Palazzo Massimo, Palatino, Terme di Diocleziano, Museo Ostiense, Terme di Caracalla Palazzo Altemps, Tomba di Cecilia Metella, Crypta Balbi, Tombe Latine. (ANSA, 17,50, 17/9/2015)

Ecco quindi che l’indignazione del ministro, se proprio doveva andare in scena, doveva partire già da prima. Invece si è approfittato della situazione per far partire la solita sceneggiata mediatica in cui un cattivo da additare all’opinione pubblica viene utilizzato per motivare una decisione, come quella del decreto legge, magari già preso. Spiega la Baroni:

«Nel 2014 abbiamo accolto quasi 6 milioni di visitatori, aperti 7 giorni su 7, spesso anche di sera. Francamente non mi sento di rispondere a chi mi accusa di aver arrecato un danno all’immagine dell’Italia».
Si poteva scegliere una forma diversa di mobilitazione?
«L’assemblea è stata convocata a norma di legge, con largo anticipo per permettere ai clienti e ai tour operator di avvisare del ritardo o cancellare le visite nelle prime ore della giornata».
Meglio farlo in un altro orario?
«Abbiamo scelto l’inizio del turno proprio per creare meno disagi possibile. Far entrare i visitatori e cacciarli poi via ci sembrava poco professionale. Sappiamo bene cosa vuol dire chiudere anche solo per 2 ore il Colosseo, il livello di importanza che ha questo simbolo».

Ma la parte più interessante dell’intervista è la spiegazione della motivazione dell’assemblea sindacale.

Da quanto tempo non venite pagati?
«Da novembre 2014 non ci viene corrisposta una parte del salario, quella che riguarda le turnazioni. Viene definita impropriamente salario accessorio ma dentro c’è la reperibilità notturna, le aperture straordinarie, i festivi, i superfestivi. Abbiamo pazientato, abbiamo tirato il collo, non ci siamo mobilitati un mese dopo i mancati pagamenti».
Di quanti soldi si parla?
«Per chi ha fatto tutti questi turni speciali si tratta di circa 4.000 euro lordi. Proviamo a vedere quanto sarebbero disposti a lavorare col 20-30% di stipendi o in meno in busta paga».

Non male, no? Ricapitolando: il ministero, e il suo responsabile Dario Franceschini, sapeva della chiusura per tre ore a causa dell’assemblea sindacale, ma si è ben guardato dall’avvertire i turisti che dice di avere tanto a cuore o di fare qualcosa di concreto per impedirla (non sia mai), mentre dopo ha messo in scena insieme alla presidenza del Consiglio una sceneggiata mediatica. Poi, lo stesso ministero non sta pagando 4000 mila euro lordi ai lavoratori da novembre 2014, ma pretende da loro che non facciano nulla per questo. Curioso, verrebbe da dire.


A COSA SERVIRÀ IL DECRETO DI RENZI E FRANCESCHINI
Poi c’è da discutere sull’utilità del decreto di Renzi e Franceschini che equipara i beni culturali ai servizi pubblici essenziali. C’è da segnalare che il provvedimento non impedirà situazioni come quella di ieri. In primo luogo per un motivo che ha spiegato oggi il Sovrintendente del Colosseo e dell’area archeologica di Roma Francesco Prosperetti: l’idea di allagare ai lavoratori dei beni culturali il concetto di servizi pubblici essenziali “temo non servirà ad evitare le assemblee come quella di oggi, semmai inciderà sugli scioperi“. Dunque neanche con l’ipotetica nuova norma la chiusura si poteva evitare, visto che si trattava di un’assemblea. In secondo luogo lo strumento del decreto legge – che dovrà poi essere convertito in parlamento – non sembra avere le caratteristiche necessarie per una norma del genere (dov’è la particolare necessità e urgenza? Perché proprio oggi un decreto del genere e non all’inizio della stagione turistica?). Infine, il rischio è che il decreto possa essere attaccabile anche dal lato della costituzionalità. L’assemblea dei lavoratori del Colosseo e di altri enti turistici romani oggi era stata ampiamente annunciata nei giorni scorsi, e l’interruzione del servizio era stato dato pressoché per certo anche oggi. Ma il ministero l’altroieri non è intervenuto, preferendo far scoppiare la grana ieri. E pensare che tra i motivi dell’assemblea di oggi c’era il mancato pagamento delle indennità di turnazione e delle prestazioni per le aperture straordinarie dei luoghi della cultura (primo maggio, aperture serali, etc.), dopo quasi un anno solare di inutile attesa. Forse pagare il dovuto a chi aspetta da oltre un anno poteva essere importante ai fini di evitare figuracce del genere? E se i sindacalisti sono contro l’Italia, chi non paga gli stipendi è contro i lavoratori? E adesso che abbiamo discusso delle cose serie, facciamoci anche due risate con Ivan Scalfarotto:
ivan scalfarotto nytimes
 

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