La lettera di Antonio Padellaro su Woodcock, Sciarelli e Lillo indagati

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2017-07-02

L’ex direttore de Fatto usa il sarcasmo per difendere il suo giornalista: «Ho lasciato il giornale per i troppi scoop di Lillo»

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Antonio Padellaro scrive oggi una lettera ironica indirizzata ai magistrati italiani per “confessare” che il suo addio alla direzione del Fatto è avvenuto non per dissapori con Travaglio, ma per i troppi scoop di Lillo:

ECCELLENZE ILLUSTRISSIME,
preso atto delle indagini che coinvolgono il collega Marco Lillo, mi corre l’obbligo di porre a conoscenza di chi di dovere fatti e circostanze della massima gravità che esulano dagli addebiti a lui rivolti –come da notizie di stampa–ma che,temo, purtroppo infondati. Premetterò che le mie dimissioni dalla direzione di codesto giornale non furono dovute a dissapori con il mio successore Marco Travaglio, come da fonti interessate propalato, bensì esclusivamente a motivo del comportamento sconsiderato del suddetto Lillo, causa di un grave esaurimento psicofisico da cui a fatica mi ripresi.
In poche parole il giornalista in questione pervicacemente rifiutava di ottemperare alle normali mansioni previste dal vigente contratto di lavoro giornalistico – o meglio di limitarsi a esse – per dedicarsi alla ricerca di cosiddetti scoop e non precisate notizie esclusive dando in tal guisa luogo a comportamenti per lo meno discutibili sul piano della corrente deontologia, e forse anche irresponsabili considerati i tempi calamitosi che agitano la nostra amata Nazione. Un po’come cacciare farfalle sotto l’Arco di Tito, per dirla con la saggezza della storia maestra di vita. Non pago di ciò, il Lillo sottoponeva lo scrivente e i suoi diretti collaboratori a uno stress incessante ritardando costantemente la messa in stampa del quotidiano, accampando le scuse più disparate e incredibili ma in realtà posseduto dall’ossessione di controllare quanto scritto fino all’ultima virgola.

antonio padellaro

Invano si cercò di indurlo a più miti consigli portando ad esempio la vita e le opere di apprezzati colleghi che nel dare lustro alla nostra Professione mai travalicarono gli onesti confini di
una quieta e laboriosa visione degli accadimenti. Come nel caso di Claudio Cerasa, valente giovane rapidamente assurto alla guida del “Foglio”, giornale sempre rispettoso delle Istituzioni (e non importa se assai poco frequentato dai lettori in questa Italia insensibile all’esercizio della virtù) pur non avendo egli, il Cerasa, mai pubblicato una notizia che una,e anzi in forza di ciò (nell’ultimo suo pregevole elaborato, lo stesso lodevolmente propone di aumentare le pene ai giornalisti colpevoli di “fuga di notizie”, notizie che perla loro natura irrispettosa e sfacciata dai suddetti andrebbero custodite nel loro foro interiore).
Del resto chi siamo noi per non seguire l’esemplare modello del preclaro direttore del “G i or n a le ”, quell’Alessandro Sallusti, pur posseduto in verde età dalla fregola del sensazionalismo (si sa come sono i giovani) poi tuttavia prontamente emendatosi nel corso di una luminosa carriera incessantemente dedita ai supremi interessi dell’Editore, della di lui Famiglia e della Patria tutta (e che indubitabilmente meriterà il Laticlavio)? Ed è perciò che alla luce della triste vicenda di questo cronista ormai radicalizzato nel perseguimento di un insensato disegno –fornire ai lettori tutte le informazioni utili a farsi un’opinione – osiamo proporre alla Vostre Riveritissime Eccellenze l’adozione immediata di un braccialetto elettronico onde impedirgli di continuare a turbare la pubblica quiete e l’ordine costituito,con lafinalità di apportare ulteriore nocumento al giornalismo italiano serenamente avviato verso il sonno eterno.
Con Osservanza.

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