Il DNA dei sardi venduto per appena 300mila euro?

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2016-07-19

In quindici anni ha raccolto dati genetici e cartelle cliniche di quasi tredicimila ogliastrini, ricostruendone l’albero genealogico fino al 1600. Dopo essere finita in liquidazione la SharDNA che fu di Soru è stata venduta a Londra per 250mila sterline. Troppo pochi, dicono alcuni. Vediamo come stanno le cose

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Quanto vale il DNA di una persona? Non molto, perché ai fini della ricerca è molto più utile avere un gran numero di studi sui dati genetici. I dati clinici e genetici di una popolazione quindi valgono molto di più. Ma quanto? Qualche anno fa l’importante azienda di ricerca biomedica deCODE (che da 20 anni studia il pool genetico degli islandesi) fece una campagna di raccolta di campioni di DNA in Islanda riuscendo ad ottenere i dati di un terzo della popolazione islandese (circa 100 mila persone su poco più di 300 mila abitanti). Le donazioni erano volontarie e l’associazione che si occupò della raccolta porta a porta dei campioni, la ICE- SAR (acronimo per Icelandic Search and Rescue qualcosa di affine al nostro soccorso alpino) ottenne venti dollari per ogni campione di materiale genetico.
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La biobanca sarda venduta per trecentomila euro

La popolazione islandese però non ottenne un centesimo, e la cosa non mancò di suscitare qualche protesta visto che i dati raccolti sarebbero stati utilizzati da una società privata successivamente acquisita dal colosso americano Amgen alla “modica” cifra di 415 milioni di dollari. I dati relativi alla popolazione dell’isola dell’Atlantico settentrionale sono molto interessanti perché la popolazione è geneticamente omogenea e quindi è possibile risalire con una certa facilità (scientificamente parlando) al gruppo di progenitori comuni a tutti gli abitanti. Allo stesso modo sono interessanti i dati (che comprendono referti medici, campioni biologici e informazioni genealogiche) di altre piccole comunità. Ad esempio quelli degli abitanti dell’Ogliastra in Sardegna. Il Financial Times riferisce che l’azienda di biotecnologie Tiziana Life Sciences ha acquistato per poco più di 300 mila euro (308.884 per la precisione) la banca dati di SharDNA, l’azienda fondata nel 2000 dall’ex-Presidente della Regione Sardegna e fondatore di Tiscali Renato Soru e venduta nel 2004 alla Fondazione San Raffaele Monte Tabor. Dopo la bancarotta della Fondazione la SharDNA è stata messa in liquidazione. In questi anni il team di SharDNA ha raccolto 230 mila campioni biologici da 12.600 abitanti distribuiti tra i comuni di Talana, Urzulei, Seulo, Escalaplano, Ussassai, Baunei, Loceri e Perdasdefogu in Ogliastra. Ma nella banca dati non c’è solo il “DNA dei sardi” (come lo chiama impropriamente la stampa) ma anche cartelle mediche, certificati di nascita e di morte e ricostruzioni genealogiche che coprono un arco temporale di più di 400 anni. Per cosa verrà utilizzata questa immensa mole di dati? Alcuni dicono che fornirà le basi per sviluppare nuovi farmaci, il presidente e fondatore di Tiziana life sciences, Gabriele Cerrone, spiega invece che saranno utili per effettuare studi comparati con altre aree del Mondo dove la percentuale di ultracentenari è simile a quella dell’Ogliastra (dove un abitante su duemila arriva ai 100 anni di età) per capire quali siano le basi genetiche della longevità. Alcune polemiche sono state sollevate sul fatto che la banca dati (e non il DNA) sia stata venduta per una cifra così bassa. Secondo il deputato di Unidos Mauro Pili il valore complessivo della biobanca sarebbe addirittura superiore ai 4 milioni di euro.

Un’operazione tutta finanziaria ha portato alla svendita del più grande patrimonio genetico della Sardegna. 13.000 referti genetici ogliastrini venduti a Londra come se niente fosse. Nel silenzio di istituzioni e politica un gruppo biotech britannico, alla ricerca del segreto della lunga vita ha acquistato i dati genetici di quasi 13.000 residenti ogliatrini, dove un numero insolitamente elevato di persone vivono oltre i 100 anni. Un colpo letale alla speranza di mettere a frutto in Sardegna quel gran patrimonio di ricerca genetica. L’operazione ufficializzata poco fa alla borsa di Londra. Tiziana Life Sciences , una compagnia farmaceutica britannica che si occupa di ricerca sul cancro e malattie del sistema immunitario, ha appena annunciato l’acquisto di una “biobanca” contenente il DNA degli abitanti della provincia dell’Ogliastra in Sardegna, sede di una delle percentuali più alte al mondo di centenari. [..] Un’operazione di lunga gittata, un investimento per poche centinaia di migliaia di euro, € 258.000, mentre il valore sarebbe superiore ai 4 milioni di euro. Una vera e propria svendita che potrebbe riservare sorprese e prospettive straordinarie. Tutto questo con il silenzio del mondo delle istituzioni che nonostante i reiterati allarmi si è totalmente disinteressato della vicenda. A motivare l’acquisto della banca genetica la particolarità del patrimonio genetico in Ogliastra considerato dagli inglesi molto omogeneo. Questo aspetto secondo i nuovi proprietari rende teoricamente più facile per gli scienziati individuare modelli genetici relativi a malattie specifiche. La speranza è che Tiziana, realizzi in Sardegna la filiale LonGevia Genomics, con sede in Sardegna, per la gestione della biobanca e coinvolga, come è giusto che sia, le università sarde e tutti gli enti di ricerca preposti. Se così non fosse lo scippo sarebbe ancora più grave ai danni della Sardegna e dei Sardi.

Una questione di fiducia e di rapporto tra ricercatori e donatori

Al di là del mero calcolo del valore economico, che viene fatto dal mercato e dai liquidatori della San Raffaele (senza dimenticare che il valore aggiunto ai dati e ai campioni è quello di catalogazione e di elaborazione della mole di dati), il ragionamento di Pili mette in luce un aspetto spesso sottovalutato quando si tratta di raccogliere dati genetici e clinici di un gruppo di persone, di una comunità o di un’intera popolazione. Gli individui hanno la necessità di sentirsi coinvolti e parte della ricerca e non essere considerati meri donatori. Questo vale per le banche dati biologiche pubbliche (come la UK Biobank o quelle di alcune università) che per quelle di proprietà di aziende private. La pratica non è più una novità tecnologica e deve necessariamente elaborare delle strategie per coinvolgere i “donatori” fornendo garanzie riguardo il trattamento dei propri dati personali e anche trovando soluzioni per coinvolgere i volontari spiegando loro lo scopo della ricerca in modo da non farli sentire depredati di qualcosa che è decisamente molto personale.

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