Kepler-452B e l'enigma della vita

di John Battista

Pubblicato il 2015-08-01

Dalla conferma che esistono pianeti simili al nostro a quella che esiste vita al di fuori della Terra, la strada da fare è ancora tutta in salita. prima o poi manderemo sonde spaziali verso Kepler-452b e altri pianeti che ci sembrano simili al nostro. Ci metteranno centinaia di migliaia di anni per raggiungerli e forse non troveranno nessuna forma di vita. Ma se su quelle sonde ci saranno micro-organismi terrestri (per caso o intenzionalmente) è probabile che sarà la nostra vita a trapiantarsi lì e a colonizzarli

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Dalla conferma che esistono pianeti simili al nostro a quella che esiste vita al di fuori della Terra, la strada da fare è ancora tutta in salita.
Per qualche giorno l’aria afosa di luglio è stata smossa dal tam tam mediatico che ha rilanciato i comunicati stampa con cui la NASA ha annunciato la scoperta di Kepler-452b, il primo pianeta conosciuto con dimensioni molto simili al nostro e che ruota, in un’orbita anch’essa simile alla nostra, attorno a un stella paragonabile al nostro Sole. Ovviamente la sensazionalità della notizia, dal punto di vista mediatico, sta nel fatto che la scoperta sembra avvicinare l’Umanità al momento in cui sarà scoperta l’esistenza di una civiltà extraterrestre, da qualche parte tra le stelle che brillano intorno a noi. Per chi ha seguito le vicende astronomiche sotto una prospettiva più tecnica, probabilmente la scoperta rappresenta la chiara dimostrazione degli immensi progressi tecnologici effettuati nel corso di pochi anni nel campo dell’osservazione spaziale. Fino a un decennio fa, infatti, era inimmaginabile che la NASA o chicchessia potesse stabilire con certezza l’esistenza di piccoli pianeti intorno a una stella lontana e tantomeno stimarne con tanta precisione la dimensione e l’orbita. Le tecniche per individuare un pianeta, infatti, si basano essenzialmente su due fenomeni: l’attenuazione della luce (e in generale delle emissioni elettromagnetiche) della stella nel momento in cui esso, nel suo moto orbitale, si interpone tra la stella stessa e l’osservatore (tipicamente un telescopio o un radiotelescopio) e le irregolarità nei movimenti della stella (rotazione e traslazione) provocati dalla massa gravitazionale del pianeta.
 
KEPLER–452B E L’ENIGMA DELLA VITA
E’ evidente che nel primo metodo diventa essenziale che l’orbita del pianeta intersechi la linea immaginaria che unisce la stella all’osservatore, in caso contrario quest’ultimo non potrà mai rilevare alcuna variazione di luminosità causata dal pianeta. Anche nelle condizioni più favorevoli, però, il cono d’ombra causato dall’interposizione del pianeta, che è un evento assimilabile alle nostre eclissi, ha un’estensione limitata, oltre la quale l’attenuazione di luminosità raggiunge valori infinitesimali:   conoombra Lo stesso dicasi per le variazioni di moto di una stella. Un conto è rilevare le irregolarità del movimento di una stella relativamente vicina, influenzato dalla massa gravitazionale di un grosso pianeta (come Giove, ad esempio, che ha una massa di oltre 300 volte superiore alla Terra). Ben altro discorso è riuscire a individuare un pianeta della stessa grandezza della Terra che orbita attorno a una stella lontana da noi ben 1400 anni luce! Eppure la NASA ci è riuscita, anche se, a dire il vero, è ormai da qualche anno che si avvicinava al traguardo, come testimonia questa grafica che mostra i pianeti assimilabili alla Terra individuati dal 2011 a oggi:
PianetiKepler
Kepler-452b è a tutti gli effetti il pianeta più somigliante alla Terra che sia mai stato scoperto, sotto il profilo delle dimensioni, dell’orbita, del sole che lo illumina, del periodo di rivoluzione. Il punto è: la ricerca di tutte queste similitudini è davvero la chiave per scoprire la vita extraterrestre?
 
LA VITA EXTRATERRESTRE
E’ come se, avendo vissuto sempre sulla riva di un fiume e trovandoci improvvisamente sperduti in un immenso ghiacciaio, cercassimo disperatamente un fiume o un laghetto per dissetarci, ignorando che il ghiaccio che vediamo tutt’intorno è composto della stessa acqua che andiamo cercando. Noi diamo per scontato che per trovare la vita, dobbiamo cercare un ambiente identico a quello terrestre seguendo Il ragionamento per cui la vita terrestre si è sviluppata in queste condizioni fisiche e chimiche e pertanto la ricerca delle medesime condizioni sarebbe il primo passo per la scoperta di vita extraterrestre. Ma siamo sicuri che siano state le nostre particolari condizioni chimiche e fisiche a permettere lo sviiuppo della vita terrestre? Siamo sicuri che la vita abbia necessariamente bisogno di queste condizioni? Siamo sicuri che la vita debba necessariamente manifestarsi nelle forme che conosciamo? Siamo sicuri che sapremmo riconoscere la vita, se si manifestasse in una forma completamente diversa da quelle che immaginiamo? Noi associamo la vita ad aspetti dinamici e morfologici quali la nascita, la crescita, la morte, la riproduzione, l’alimentazione. Dal punto di vista chimico, leghiamo la vita a sostanze quali l’acqua e il carbonio, che consideriamo indispensabili per creare e far funzionare le strutture portanti degli esseri viventi, come proteine e amminoacidi. Dal punto di vista biologico assumiamo che ogni firma di vita abbia una struttura cellulare, con una membrana e un DNA. Dal punto di vista fisico, pensiamo che la vita possa svilupparsi e resistere solo all’interno di un campo piuttosto ristretto di temperatura, pressione, radiazione elettromagnetica. Se fosse vero, però, che basti la presenza di condizioni analoghe a quelle terrestri per generare e supportare la vita, allora dovremmo ben essere capaci di generarla a nostra volta, partendo dalle medesime condizioni e con l’aiuto di tutta la tecnologia di cui disponiamo. In fin dei conti, se la vita si fosse casualmente e naturalmente generata nel “brodo primordiale” terrestre, dovrebbe essere quasi un gioco da ragazzi ricreare quel brodo e stimolare la genesi della vita. E invece no. Siamo riusciti a ricreare il brodo e a indurre la formazione di alcuni mattoni fondamentali per vita, proteine e aminoacidi, ma non c’è verso di assemblare quei mattoni in una cellula e di darle  la “scintilla” della vita.
 
L’ANNUNCIO PERIODICO DELLA VITA IN LABORATORIO
I periodici annunci di aver creato la vita in laboratorio sono poco più di una bufala. In quei casi, infatti, la vita non è stata creata partendo da zero ma è stata ottenuta modificando un organismo già vivente oppure trapiantandone il DNA in un altro organismo più o meno sintetico. Così il famoso Mycoplasma laboratorium, da molti considerato primo e unico organismo sintetico e vivo creato in laboratorio e brevettato, in realtà è stato ottenuto duplicando una parte del genoma di un organismo naturale vivo e trapiantandolo in un altro organismo anch’esso naturale e vivo. Smontare e rimontare organismi cellulari viventi è una cosa molto diversa dal crearne uno partendo da zero. Questa nostra incapacità sta a significare che ancora ci sfugge qualcosa di fondamentale nel processo di creazione della vita e significa pure che il “fattore vita” potrebbe dipendere da qualcosa che non ha nulla a che vedere con le condizioni chimiche e fisiche della Terra. E quindi, se non riusciamo a capire come la Terra abbia generato la vita, può darsi che non l’abbia generata affatto ma che si sia limitata a ospitarla. La vita potrebbe essere nata in un modo (e forse in un luogo) che non immaginiamo per poi adattarsi al nostro pianeta. Addirittura i biologi ritengono che la vita stessa abbia modificato il pianeta. Sarebbero stati, infatti, i micro-organismi negli oceani e la fotosintesi clorofilliana delle piante a creare l’atmosfera di ossigeno che abbiamo oggi, con il relativo strato di ozono protettivo rispetto alla radiazione solare. E a quel punto la vita si sarebbe adattata a utilizzare l’ossigeno, che fino a quel momento era velenoso per essa. Ma allora, forse, se fosse nata su Venere o su Plutone si sarebbe adattata allo stesso modo, in forme che non possiamo nemmeno immaginare e in quel caso noi oggi staremmo cercando pianeti simili a Venere o a Plutone.
 
I PIANETI E LA VITA
In effetti disponiamo già di vari indizi che fanno ritenere che la vita potrebbe manifestarsi in luoghi e con forme molto diversi rispetto a quelli che cerchiamo. Alcuni ricercatori chimici americani della Cornell University hanno teorizzato un modello virtuale di membrana cellulare che potrebbe far vivere un organismo nel metano liquido a temperature di centinaia di gradi sotto zero, senza necessità di acqua o ossigeno.  Altri ricercatori, del prestigioso Goddard Space Center, hanno scoperto aminoacidi che si sono formati all’interno di meteoriti con temperature nell’ordine dei 1000 gradi centigradi e senza presenza di acqua. Negli ultimi anni si sono moltiplicati gli studi che hanno ipotizzato forme di vita basate su chimiche diverse da quelle del carbonio e in grado di sopravvivere in ambienti che sarebbero mortali per la vita terrestre. Nel 2010 la NASA si è interessata ad alcune anomalie chimiche rilevate su Titano (uno dei satelliti di Saturno) che potrebbero essere causate da forme di vita basate sul metano che si nutrono di acetilene e respirano idrogeno. Forse non è un caso che l’attenzione dei ricercatori spaziali verso Titano sia notevolmente aumentata negli ultimi anni. Ma ragioniamo pur sempre in termini di cellule, membrane, DNA., ossia di modelli di vita simili a quello che conosciamo, anche se basati su chimiche diverse e quindi in grado di vivere in condizioni diverse. E se la vita, altrove, avesse assunto modelli completamente diversi dal nostro? Il DNA è il sistema con cui la vita sulla Terra memorizza le informazioni che servono a una cellula per crescere, differenziarsi, vivere e replicarsi. Tuttavia, non è detto che non possano esistere forme di vita che utilizzino sistemi diversi per memorizzare le medesime informazioni. Nè è detto che debbano esserci una membrana cellulare e un nucleo. Una forma di vita extraterrestre potrebbe essere completamente diversa rispetto a tutto ciò che riusciamo a immaginare. Così diversa che potremmo persino non riconoscerla se la incontrassimo.
 
UNA NUOVA CASA…
Riassumendo, non è detto che un pianeta identico alla Terra debba ospitare una forma di vita. E non è detto che una forma di vita abbia necessariamente bisogno di un pianeta identico alla Terra. E non è nemmeno detto che una forma di vita extraterrestre debba essere identica o anche solo simile alla vita che conosciamo. Ma ipotizziamo di avere fortuna, e che su Kepler-452b ci sia davvero vita. Come potremmo rilevarla? Il sistema più immediato e intuitivo è quello di puntare tutti i nostri sensori (soprattutto i radiotelescopi) sul pianeta e sperare di captare qualcosa che assomigli a una radiocomunicazione intelligente. Le trasmissioni radio e televisive emesse sulla Terra dal momento in cui abbiamo iniziato a utilizzarle,  si propagano nello spazio e ormai sono arrivate a un centinaio di anni luce dal nostro pianeta. Se gli abitanti di Kepler-452b avessero iniziato a utilizzare le frequenze radio televisive da più tempo  di noi (1500 anni o giù di lì) potrebbe essere che ci arrivi l’equivalente di una radiocronaca di una partita di calcio o qualcosa del genere (a patto che si disponga di sensori così sofisticati da riuscire a captare un segnale così infinitesimale, dati la distanza e il tempo). Ma anche in questo caso conviene essere realisti. Non è detto che la vita debba svilupparsi in forme intelligenti, al punto da diffondere trasmissioni radio o televisive. Oppure una civiltà intelligente potrebbe utilizzare altri sistemi per comunicare, a noi del tutto sconosciuti. O ancora, potrebbe essersi estinta tante migliaia di anni fa, come noi proviamo a fare da tempo costruendo armi nucleari e saccheggiando le risorse del pianeta. In conclusione, sarà molto difficile che dallo spazio esterno si ottengano le risposte che vogliamo o che auspichiamo. Probabilmente le risposte alle domande più importanti dovremo cercarle proprio qui sulla Terra, per capire cosa ha davvero generato la vita, e per scoprire qual è il tassello che ci manca fra il brodo primordiale con i suoi aminoacidi e la prima cellula vivente. Nel frattempo, possiamo immaginare che prima o poi manderemo delle sonde spaziali verso Kepler-452b e altri pianeti che ci sembrano simili al nostro. Ci metteranno centinaia di migliaia di anni per raggiungerli e forse non troveranno nessuna forma di vita. Ma se su quelle sonde ci saranno micro-organismi terrestri (per caso o intenzionalmente) è probabile che sarà la nostra vita a trapiantarsi lì e a colonizzarli, magari adattandosi alle condizioni locali. Forse è anche questo che, più o meno inconsciamente, spinge i ricercatori a cercare pianeti simili al nostro a distanze che di fatto non ci permetteranno mai di comunicare con chicchessia: la possibilità di colonizzarli o comunque di trasferirvi la nostra forma di vita, anche con un viaggio di decine o centinaia di migliaia di anni. In fondo, visto il progressivo deterioramento della Terra, non è una cattiva idea quella di iniziare a dare un’occhiata per una nuova casa…

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