Cultura e scienze
Gli immigrati e la tubercolosi che «è tornata a diffondersi»
neXtQuotidiano 12/09/2018
Salvini e Libero si scoprono epidemiologi e si accorgono che aumenta la tubercolosi in Italia (per colpa dei migranti). Vediamo cosa dicono i dati e gli esperti
Oggi Matteo Salvini è tornata su un tema che le sta molto a cuore: gli immigrati e la tubercolosi. Molto probabilmente Salvini ha preso ispirazione dal titolo di Libero di stamattina, che prendendosela con “il progresso” segnalava che “con l’incremento dell’immigrazione” crescono i contagi di TBC. Sulla scia, il ministro dell’Interno invece sostiene che la tubercolosi “è tornata a diffondersi, gli italiani pagano i costi sociali e sanitari di disastri e di invasione senza regole e senza controlli”.
Immigrati e tubercolosi
Quello della tubercolosi non è comunque un refrain inedito visto che la stampa patridiota italiana attinge molto spesso a questa associazione. Però intanto è bene sapere – lo scrive l’Infodata del Sole 24 Ore – che i dai relativi alle morti per tubercolosi in Europa dicono che nel 2016 ci sono stati 4300 decessi su oltre 5 milioni di morti complessive. Nel 2015 i decessi erano stati 4500, e in generale il trend è andato diminuendo negli ultimi 10 anni, nonostante il numero di nuovi casi sia purtroppo cresciuto nello stesso periodo. La buona notizia è che l’Italia rimane un paese a bassa incidenza di tubercolosi (<20 casi/100.000), anche oggi, dopo anni di migrazioni. Dal 2012 al 2016 in Italia il tasso di notifica di TBC è diminuito in media del 1,8% ogni anno.
L’UNHCR aggiunge che dal 1990 al 2014 il tasso annuale di casi registrati di Tbc è “calato da 25,3 per 100mila abitanti a 6, con un decremento pari a circa il 64% del numero di casi”. Come si evince dal rapporto OsservaSalute 2014, “analizzando, però, la frequenza di casi di Tbc notificati a persone nate all’estero rispetto alla popolazione residente straniera, si osserva un forte decremento con valori quasi dimezzati nell’arco del decennio di osservazione a fronte di una sostanziale stabilità dell’incidenza nel complesso della popolazione”. Ciò significa che il numero di casi di Tbc nei migranti è aumentato molto meno della loro crescita numerica.
TBC e migranti, numeri e dati
Tutti questi numeri che confrontano il 2016 con gli anni precedenti non sono in alcun modo citati da Libero, che nell’infografica che accompagna l’articolo di apertura cita solo quelli dell’ultimo anno, perché il confronto dimostrerebbe che il titolo di apertura (“Aumentano i tubercolotici”) è una fake news. In ogni caso, ha spiegato ancora qualche tempo fa l’infodata del Sole 24 Ore, «nel 2016 il 62% delle nuove diagnosi di TBC riguardavano persone non native, mentre un altro 30% italiani. In Germania gli stranieri colpiti sono il 69% del totale dei nuovi casi, nel Regno Unito il 70,8% e in Francia il 56%. In paesi come la Norvegia e la Svezia quasi il 90% delle diagnosi riguarda persone non native. In Olanda il 75%».
E non certo perché chi arriva è già malato, ma perché spesso gli stranieri vivono in condizioni meno favorevoli e sono quindi esposti a un rischio più alto di contrarre la malattia in Italia, come sottolineano i dati delle orveglianze condotte al momento degli sbarchi e nei vari tipi di centri di accoglienza dall’Istituto Superiore di Sanità e dall’INMP negli ultimi anni.
Se è vero che a partire dal 2009 si è verificato un costante aumento della proporzione di casi notificati tra cittadini nati all’estero (che rappresentavano il 44% nel 2005 e il 66% nel 2014), la tubercolosi in Italia purtroppo non se ne è mai andata. Ancora oggi nonostante i miglioramenti dal punto di vista di prevenzione e cure continuiamo a essere soggiogati dalla malattia.
È quindi vero che la condizione di immigrato agevola il rischio di contrarre la malattia: secondo l’OMS il pericolo dipende sì dall’incidenza della Tbc nel paese d’origine, ma anche “dalle condizioni di vita e lavoro nella nazione di immigrazione, dall’accesso ai servizi sanitari e sociali”. In ogni caso il rapporto Osservasalute 2016 – citato da The Submarine – dice: «Diversi studi dimostrano, inoltre, che la trasmissione della malattia da immigrati alla popolazione residente sia un evento estremamente raro».
Nel dossier di UNHCR si legge anche che per Giovanni Baglio, epidemiologo dell’Istituto Nazionale Salute Migrazione e Povertà (INMP) di Roma, “la stragrande maggioranza di coloro che vengono a cercare lavoro in Europa partono in ottime condizioni di salute – se soffrissero di tubercolosi in forma conclamata, e quindi infettiva, non potrebbero resistere al viaggio”, e poi arrivati qui deteriorano il loro stato fisico. Insomma, se un pericolo contagio esiste, dipende dalla scarsa possibilità di accesso alle cure.