Cultura e scienze
Il grande ritorno del metodo Di Bella
di Giovanni Drogo
Pubblicato il 2015-10-14
Dopo la sentenza del Tribunale di Brindisi si torna a parlare del Metodo Di Bella, la terapia antitumorale che piace tanto a quelli che hanno paura di Big Pharma (psst. la Somatostatina la produce la Novartis)
Ci sono cose che non passano mai di moda, una di queste è senza dubbio il Metodo Di Bella che nonostante non serva a nulla continua a piacere molto (sarà per il suo gusto alla fragola?). Piace molto ai siti della galassia Casaleggio come la Fucina, che ospita gli interventi del figlio del Dottor Di Bella e piace anche ai pazienti che ricorrono ai tribunali per obbligare la Sanità pubblica a somministrare una cura che è inutile. Nel corso degli anni molti pazienti, in nome della libertà di cura, sono ricorsi ai tribunali per potersi garantire le cure con il Metodo Di Bella, una grande vittoria per i ciarlatani, una grande sconfitta per la scienza e soprattutto per la collettività che paga delle cure inutili.
Il tribunale e il Metodo Di Bella
La notizia ce la dà La Fucina, un sito che da molto sostiene la bontà del Metodo Di Bella. A decidere in favore del ricorso della paziente è stato il Giudice del Lavoro del Tribunale di Brindisi che è il giudice competente in materia di procedimenti relativi a controversie derivanti dall’applicazione delle norme riguardanti le assicurazioni sociali, gli infortuni sul lavoro, le malattie professionali, gli assegni familiari, nonché ogni altra forma di previdenza e di assistenza obbligatorie. Come detto non è la prima volta che un giudice decide che una ASL dovrà pagare al paziente e cure previste dal Metodo Di Bella. Dal momento che non servono a nulla il SSN non garantisce le prestazioni sanitarie con il Metodo Di Bella e quindi il paziente deve pagarsele di tasca propria (credevate che la cura miracolosa fosse gratis?). Ecco che il Tribunale di Brindisi obbliga la ASL a pagare le spese perché la malata non è in grado di provvedere all’acquisto dei farmaci dei Di Bella con le proprie finanze:
Adesso servono altri mesi di cura che l’ammalata non può più permettersi. La signora per acquistare le cure, infatti, ha speso tutti i suoi risparmi, circa 11 mila euro, e non riesce a fare altro con la pensione. D’altronde deve pur vivere. Ed è a questo punto che il Tribunale di Brindisi, ufficio del Lavoro, ha accolto il ricorso presentato dall’avvocato Passaro per conto della sua assistita. Il giudice Domenico Toti, nella sua ordinanza, ha scritto: “La situazione clinica della signora è indicativa, se non di una regressione della malattia, la situazione anatomica risulta, infatti, sostanzialmente stabilizzata, quantomeno di un obiettivo miglioramento delle condizioni generali, non potendo essere trascurata la notevole riduzione dei fattori di crescita tumorale come si evince non solo dalla documentazione sanitaria ma anche dalla certificazione medica che evidenzia un miglioramento della qualità della vita della paziente, tanto da giustificare, ad avviso dello scrivente, l’emissione di un provvedimento di urgenza”. Per tali Motivi il giudice ha ordinato all’Asl di Brindisi di “somministrare gratuitamente alla paziente i farmaci del multi trattamento “Di Bella” per la durata di 12 mesi”.
Quella di qualche giorno fa non è la prima sentenza di un giudice del lavoro del brindisino a favore del ricorso al Metodo Di Bella. Ma può anche succedere che l’ospedale faccia ricorso e il paziente si trovi a pagare tutte le spese mediche sostenute dal Servizio Sanitario Nazionale. La cosa buffa di tutta questa faccenda è che sia un sito collegato a Beppe Grillo a sostenere questa battaglia per una terapia costosa e inutile. Perché, nel caso non l’abbiate capito a pagare le cure sono i cittadini, ovvero laggente.
Una breve storia del Metodo di Bella
Il Metodo Di Bella, o cura Di Bella o MDB, è una terapia sperimentale per la cura del cancro inventata dal dottor Luigi Di Bella. La differenza con la chemioterapia è che la cura Di Bella prometteva due cose: nessun effetto collaterale e una probabilità di guarigione dalla malattia che si avvicinava al 100%. Oltre a questo va aggiunto che Luigi Di Bella era un uomo buono, al contrario di personaggi come Vannoni era davvero un medico, e sempre a differenza del presidente di Stamina Foundation non si faceva pagare per le terapie: chiedeva (a chi poteva) un’offerta libera. Un’ultima differenza con il metodo Stamina: i farmaci della cura Di Bella erano farmaci già noti e utilizzati anche se non per le terapie antitumorali; l’innovazione del Dott. Di Bella fu quella di miscelarli secondo proporzioni nuove e non validate attraverso un procedimento di analisi scientifica. Inoltre, la cura Di Bella prometteva di curare tutte le forme di cancro ma non solo, anche l’epatite C, il morbo di Alzheimer, la sclerosi multipla, il morbo di Parkinson ed il morbo di Crohn. Erano gli anni Novanta, non appena si diffuse la notizia ci fu quasi una sollevazione popolare. La cura del professor Di Bella infatti non era una terapia disponibile negli ospedali del servizio sanitario nazionale, bisognava andare da lui. Ci furono persone (malati e parenti di pazienti) che si recarono di fronte a Palazzo Chigi per protestare in nome della “libertà di cura”. Il caso divenne nazionale e nonostante i pareri contrari alla sperimentazione dati da Commissione Unica del Farmaco, Presidenza del Consiglio Superiore di Sanità e Consiglio Superiore di Sanità l’allora Ministro Rosy Bindy autorizzò l’inizio dei trials clinici sui pazienti in nome “della volontà popolare”. Una scelta duramente contestata anche dalla rivista scientifica Lancet. I test stabilirono che il protocollo elaborato da Di Bella non aveva alcuna validità terapeutica ma i Di Bella rigettarono i risultati sostenendo (qui sì come Vannoni) che non era stato rispettato il protocollo elaborato dal professore, che erano stati utilizzati farmaci scaduti e che gli sperimentatori erano in malafede.
In realtà la questione è molto complessa, per quanto riguarda i farmaci scaduti (l’inchiesta fu archiviata) sono intervenuti due fattori: il primo la fretta nel far partire la sperimentazione che non ha consentito di raccogliere le informazioni relative al prodotto per stabilirne l’effettiva data di scadenza, in secondo luogo il protocollo elaborato da Di Bella stesso non indicava una data di scadenza precisa per i farmaci. I retinoidi (uno dei componenti chiave della terapia) secondo Di Bella non avevano una data di scadenza ed è quello che dicono ancora oggi i figli del professore (e in Italia è illegale non indicare la data di scadenza di un farmaco). Se la scadenza dei farmaci fosse stato un fattore dirimente per la sperimentazione Di Bella avrebbe dovuto dichiararlo all’interno del protocollo. Non successivamente ai risultati della sperimentazione. Nel 2005 un nuovo capitolo: il Ministro della Sanità Francesco Storace riapre il caso chiedendo un parere per valutare la possibilità che i farmaci del Metodo Di Bella entrassero a far parte di quelli di Fascia A (ovvero totalmente a carico del SSN). Parere negativo per la seconda volta. Caso chiuso? Non del tutto. Le persone non si sono dimenticate della terapia Di Bella che continua ad essere somministrata (legalmente) e la cui gestione dopo la morte del Professore nel 2003 è in mano ai figli (anch’essi medici).