Cultura e scienze
The Last Family e Mister Universo al Festival di Locarno
Mauro Sabbadini 09/08/2016
La sessantanovesima edizione del Festival di Locarno ha preso avvio il 3 di agosto. Un inizio all’insegna dello star sistem quindi ma anche del cinema d’autore
La sessantanovesima edizione del Festival di Locarno ha preso avvio il 3 di agosto, con la consueta messe di film di qualità inframezzati ad opere più accessibili al grande pubblico. Inoltre quest’anno il direttore Carlo Chatrian e il presidente Marco Solari sono riusciti ad allestire un’impressionante parata di stelle per gli appassionati del cinema e del Festival: Harvey Keitel, Bill Pullman, Abel Ferrara, Isabelle Huppert, Dario Argento, Mario Adorf, Jane Birkin sono infatti solo alcuni dei nomi saliti sul palco della Piazza Grande per ritirare o consegnare premi, per salutare il pubblico e parlare del proprio lavoro.
Il festival di Locarno
Un inizio all’insegna dello star sistem quindi ma anche del cinema d’autore, con il concorso internazionale e quello dei cineasti del presente che si sono aperti subito con pellicole che hanno immediatamente impressionato il pubblico e la critica: il polacco “The last family” commedia amara e divertente, “Corespondencias”, un film realizzato in un collage di sei lingue diverse tenute insieme da un filo fatto di fotografia e poesia, in una virtuale odissea fra paesi e storie diverse, “Donald cried”, commedia “indi” statunitense, disperata ed esilarante, e l’unico candidato italiano al Pardo D’Oro “Mister universo”, un film sul circo, la superstizione e l’amore, ricco di poesia interamente affidata ad attori non professionisti. La Piazza Grande invece, come da tradizione, è stata impegnata da un cinema più aperto al mercato e al grande pubblico con, su tutto, la presentazione del quarto e finora ultimo capitolo della saga di Jason Bourne, l’eroe dei romanzi di Robert Ludlum interpretato da Matt Damon, che sbarcherà nelle sale italiane entro poche settimane, ha preso da tempo l’abitudine di fare il suo esordio europeo sulle rive del Verbano dove potrà anche concorrere al premio del pubblico; un pubblico che però, pur chiamato a giudicare film certamente più facili di quelli presenti nelle selezioni ufficiali, tende comunque solitamente a riconoscere la vittoria a prodotti un po’ meno leggeri.
Il Festival, al termine di 11 giorni fitti di proiezioni, non assegnerà solo il premio del pubblico, ambito per avere spesso, in passato, segnato l’inizio delle grandi fortune commerciali di film come “Funeral Party”, “le vite degli altri”, “Le Havre”, “sognando Beckham” e altri ancora, ma anche un numero piuttosto elevato di riconoscimenti affidati alle giurie ufficiali, i più importanti dei quali sono il “Pardo d’Oro” del concorso internazionale (per l’Italia concorre solo il già citato “mister universo”), il pardo d’oro del concorso Cineasti del presente, dedicato al cinema che si tuffa nell’attualità, altrettanti pardi per le migliori interpretazioni maschile e femminile e per la miglior regia, e gli ambitissimi “pardini”, d’oro e d’argento per i migliori cortometraggi, premi che spesso hanno aperto a giovani cineamatori la strada per una carriera da regista. Nel frattempo però alcuni premi, come accennato in apertura, sono già stati assegnati, si tratta dei pardi alla Carriera che vengono decisi molte settimane prima dell’inizio del Festival e che sono andati fino a Jane Birkin, Bill Pullman, Harvey Keitel e all’attore italo tedesco Mario Adorf.
Mister Universo di Tizza Covi e The last family: le recensioni
Tairo è un giovane domatore di un circo, fa una vita tutto sommato ordinaria se non si considera il fatto che i suoi principali compagni di lavoro sono quattro leoni, la sua vita oltre che dagli spettacoli e dagli allenamenti è impegnata dall’attrazione verso una giovane collega, dalle amicizie e dalle rivalità con i compagni del circo e con i suoi zii che costituiscono l’aristocrazia del piccolo mondo circense. Tutto pare andar bene finché, a seguito di un dispetto, scompare dalla roulotte di Tairo un oggetto che non sembra avere un grande valore: un pezzo di ferro che, quando Tairo era bambino, “mister universo”, gli aveva regalato dopo uno spettacolo. Il ferro, piegato dalla sovrumana forza di Arthur Robin, uno dei più famosi “forzuti” della storia del circo, è però un caro ricordo e un inestimabile talismano per Tairo, che dopo averlo perso non troverà più modo di concentrarsi sul lavoro e verrà anzi a confrontarsi con una serie di sfortune e frustrazioni. Così inizierà il viaggio di Tairo per l’Italia, alla ricerca di Arthur Robin, l’eroe visto nella sua infanzia, molto noto nel mondo del circo ma di cui nessuno sembra avere notizie certe da molti anni, per chiedergli un nuovo miracolo, un altro ferro portafortuna per scacciare le disgrazie. Non si anticipa nulla nel rivelare che l’incontro alla fine avverrà, allo Zoo di Varallo Pombia (NO), dove il quasi novantenne Arthur Robin (personaggio reale che interpreta se stesso), non potrà però ripetere il prodigio per l’età avanzata. Il film avrà comunque un lieto fine, va però sottolineato, al di là della trama e di alcuni messaggi sul destino che i registi hanno forse cercato di trasmettere, che “Mister universo” si fa notare soprattutto per essere una bellissima di collezione di umanità e sincerità, uno spaccato del mondo del circo attraverso l’incursione della telecamera in autentiche famiglie circensi, nei loro legami, nelle tradizioni, nei meccanismi di solidarietà e rispetto che uniscono il piccolo mondo che ruota intorno a Tairo, giovane domatore ma erede di una sterminata dinastia di acrobati, ginnasti, domatori, giocolieri e cantanti. L’intero cast è composto da attori non professionisti che interpretano, più o meno, se stessi; se la qualità di recitazione ne può risentire un po’, questo difetto è ampiamente compensato dalla sincerità e forza dei personaggi.
“The Last Family” (Ostatnia Rodzina), di Jan Matusziyskym, Polonia. I luoghi comuni sul cinema polacco ci riportano sempre a un certo tipo di immagine: un appartamento spoglio, un tavolo povero, un uomo male in arnese che parla con una donna dall’aspetto dismesso, fotografia gelida, scenografie essenziali, possibilmente cielo plumbeo e colonna sonora a segnare un fortissimo distacco. Cosa accadrebbe se, al quadro descritto qui sopra, aggiungessimo un figlio con tendenze suicide e due anziane donne cronicamente malate? La sorprendente risposta è che otterremmo un film non solo di rara bellezza ma anche estremamente divertente.
Zdzisław Beksiński è un pittore ed un ingegnere, ironico, disincantato ma curioso e innamorato della vita, innamorato anche di Zofia, la moglie dimessa e religiosa, vive in un appartamento uguale a qualsiasi altri, in un grande condominio di una grande città. Ospita in casa la madre e la suocera malete, mentre il figlio Tomek vive in un appartamento identico, qualche piano sotto nello stesso palazzo. La telecamera entra nell’appartamento nel 1973, per uscirne agli inizi del terzo millennio, e mostra la storia d’amore di Zdzislaw e Zofia, la follia di Tomek che passa quasi quarant’anni in apparenti tentativi di suicidio, la cui tragica sequenza diventerà sempre più contorta, tanto da lasciare il dubbio che l’inevitabile epilogo non sia infine nulla più che un tragico incidente. Nel corso di questa lunga carrellata la vita e la morte dei protagonisti va in scena come una cosa normale, drammatica per un verso ma contemporaneamente carica di umorismo mentre il capofamiglia divide la propria vita tra il tentativo di rendere felici quelli che ha intorno e la curiosità per qualsiasi cosa di nuovo gli si presenti: dalle tecniche di pittura, alle macchine da presa. Tomek nel frattempo tenta il suicidio, non sempre in modo convincente, ma a volte abbastanza bene da farsi del male. La storia è questa, ed è tragica come potrebbe esserlo la vita di qualsiasi famiglia se osservata su un lasso di tempo così lungo, eppure la chiave con cui la pellicola la affronta è quella della commedia, nulla viene mitizzato o banalizzato, ma viste da fuori le terribili sfide di quarant’anni di vita possono suscitare qualche risata e tanta tenerezza. Un film che difficilmente troverà la via delle sale cinematografiche italiane, ma che avendone l’opportunità varrebbe la pena vedere