La presunta svendita della Sardegna ai privati

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2017-01-03

In due occasioni (nel 2013 e a metà 2016) il Governo aveva impugnato i provvedimenti con cui la Regione voleva consentire la sclassificazione dei terreni demaniali destinati agli usi civici. L’ultimo Consiglio dei Ministri però ha deciso di non impugnare la legge varata ad ottobre che consente ai privati di chiedere ai Comuni la sdemanializzazione dei territori. Per gli ambientalisti è un regalo a immobiliaristi e speculatori

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Qualcuno la chiama già “il nuovo Editto delle Chiudende“, è la nuova legge regionale della Regione Sardegna che prevede che i Comuni sardi possano richiedere la sclassificazione (cioè sdemanializzazione) dei terreni appartenenti ai demani civici. Il paragone con l’Editto emanato dall’allora Re Vittorio Emanuele I riguarda il fatto che con quel provvedimento si consentiva a contadini ed allevatori di recintare liberamente terreni di proprietà pubblica. Secondo gli ambientalisti dell’associazione Gruppo d’Intervento Giuridico (Grig) si tratta infatti di un grave attacco all’ambiente sardo perché le aree demaniali destinate agli usi civici – con i loro 4 mila chilometri quadrati di estensione complessiva sull’isola – rappresentano un sesto del territorio della Sardegna.

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Fonte: Il Fatto Quotidiano del 03/01/2017

Per gli ambientalisti è svendita del territorio

Di sdemanializzazione dei terreni appartenenti ai demani civici in Sardegna si parla da diverso tempo, già nel 2013 l’allora giunta regionale guidata da Ugo Cappellacci (PDL) aveva fatto approvare una legge che avrebbe consentito ai Comuni di chiedere che i terreni degli usi civici venissero tolti al Demanio. Il Governo però decise di impugnare il provvedimento e fare ricorso alla Corte Costituzionale che deliberò contro la Regione Sardegna. Dopo poco circa tre anni Francesco Pigliaru ci ha riprovato, due volte. La prima nell’aprile 2016, facendo inserire nella Finanziaria regionale un emendamento che prevedeva di sclassificazione dei terreni demaniali destinati agli usi civici che però è stato nuovamente impugnata dal Governo e sul quale la Corte Costituzionale si deve ancora esprimere. La seconda con la legge regionale varata il 25 ottobre 2016 che il Consiglio dei Ministri, nella seduta del 23 dicembre, ha deciso di non impugnare dando quindi via libera al provvedimento. Una vera e propria novità, un regalo da Roma dicono invece gli ambientalisti, visto che appunto il Governo si era sempre opposto a provvedimenti di questo tipo. Ed è strano visto che sostanzialmente la legge che non è stata impugnata è la stessa avanzata ad aprile che a sua volta aveva contenuto analogo a quella del 2013. Il rischio, paventato dal Grig è che in questo modo ampie porzioni di territorio sardo, tra cui numerose aree costiere di pregio, possano essere svendute ad affaristi e immobiliaristi senza scrupoli. Le aree demaniali destinate ad usi civici comprendono non solo aree selvagge nell’entroterra ma anche zone come Capo Altano, di fronte all’isola di Carloforte, la Costa di Baunei
a Orosei e le coste di Montiferru, solo per citarne alcune. In pratica, sostengono quelli del Grig, la Sardegna sarà “svenduta ai privati” e la legge darà via libera ad una sorta di Far West dove chi potrà farlo si impossesserà di terreni pubblici (legalmente).

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Fonte: http://www.fondazionesardinia.eu/ita/?p=12514

Per la Regione nessuna privatizzazione ma “aggiornamento” della funzione degli usi civici

Opposta è naturalmente la visione dell’assessore regionale all’Urbanistica all’Urbanistica Cristiano Erriu che sostiene da tempo che con il provvedimento, che durerà due anni, la Regione non ha alcuna intenzione di svendere la Sardegna ai privati: “la legge sugli usi civici – aveva dichiarato Erriu all’indomani dell’approvazione da parte del Consiglio Regionale – non va affatto nella direzione ipotizzata oggi da un quotidiano nazionale [Il Fatto Quotidiano NdR] e da alcuni ambientalisti”. Erriu aveva anche sottolineato che gli usi civici hanno cambiato e perso le modalità d’uso che li contraddistinguevano e quindi è necessario un aggiornamento:

rappresentano il diritto per una collettività di utilizzare terre di proprietà pubblica per fare legna, raccogliere funghi, pascolare e altre simili attività. Nel 2005 venne compiuto, in maniera parziale, l’accertamento di queste terre: un censimento che non venne fatto, data la complessità dell’argomento, sul posto, bensì sulla carta, così che furono classificate, come tali, terre che da lungo tempo non lo erano più e che erano anche state trasformate. È evidente che, nel tempo, in alcuni casi sia cessato questo uso e che quelle terre abbiano perso le caratteristiche che le contraddistinguevano. Per fare un esempio eclatante e di attualità, già dagli anni Sessanta, terre originariamente gravate da usi civici nel Comune di Portoscuso erano cessate nell’uso tradizionale e, come è documentato da fotografie d’epoca, utilizzate per la raccolta dei fanghi dello stabilimento industriale

In sostanza secondo l’amministrazione regionale si è voluto intervenire solo in quelle situazioni dove gli usi civici non mantengono più la loro funzione, in particolare – ha dichiarato Erriu nei giorni scorsi – “per affrontare casi specifici come uno stabilimento di bauxite nel Sulcis. Non solo: per fare qualsiasi modifica sarà necessario un accordo con il ministero dei Beni culturali. Nessuna privatizzazione”. Il che però non placa i dubbi degli ambientalisti: se si voleva solo affrontare – e porre rimedio – ad alcuni casi specifici perché non emanare dei provvedimenti ad hoc? Certo è che la questione degli usi civici è molto più complessa, ad esempio riguarda tutte quelle costruzioni fatte edificare da privati in terreni demaniali dati in affitto dai Comuni, secondo la norma corrente si tratta di costruzioni abusive dal momento che edificati su terreni pubblici ma i Comuni non sempre sono riusciti ad intervenire per sanare la situazione. Oppure di tutti quei terreni demaniali occupati abusivamente nel corso degli anni. Rimane il punto fondamentale ribadito da Erriu ovvero che la sclassificazione avverrà per evidente e pregressa cessazione dell’uso ma di concertto con il Ministero per i Beni e le Attivitivà Culturali:

La sclassificazione per evidente e pregressa cessazione dell’uso non può avvenire senza la partecipazione del Ministero dei Beni e delle attività culturali, che deve contemporaneamente accertare che non sussistano più, oltre agli usi, anche le caratteristiche paesaggistiche dei luoghi. L’assenza di questa precisazione fece impugnare precedenti tentativi di regolamentazione della sclassificazione. La norma approvata dal Consiglio Regionale nei giorni scorsi, e condivisa con il MIBACT, non fa altro che garantire che nel processo di sclassificazione di questi casi particolari, sia coinvolto contemporaneamente il Ministero, come prescritto dal Codice Urbani. La norma introdotta, quindi, consente, da una parte, di risolvere casi delicati come quello di Portoscuso, che vede a rischio migliaia di posti di lavoro, e allo stesso tempo di rafforzare la tutela paesaggistica senza aggravare i tempi di soluzione

Rimane aperta però la questione sul come si sia arrivati alla cessazione dell’uso e all’abbandono delle attività proprie degli usi civici. L’incuria e l’abbandono del territorio sono infatti ciò che ha portato alla situazione attuale, risalire alle responsabilità è complesso dal momento che si tratta di un processo che – come ricordano gli ambientalisti – va avanti sostanzialmente da quel famoso Editto delle Chiudende emanato nel lontano 1820. Infine va ricordato che oltre al godimento del bene demaniale per la collettività i terreni degli usi civici svolgono – in teoria perché nella pratica non sempre è andata così, si veda ad esempio il caso dei fanghi rossi di Portovesme – un importante ruolo di tutela e salvaguardia del territorio e dell’ambiente.

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