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Giuseppe Mango: così il generale svelò l’indagine al clan

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2016-09-16

I pm ipotizzano per lui il reato di violazione del segreto di ufficio. L’ufficiale – secondo l’accusa – avrebbe fornito ad un avvocato notizie riservate su un’indagine in corso

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La Procura di Napoli ha chiesto l’applicazione di una misura interdittiva nei confronti del generale della Guardia di Finanza Giuseppe Mango, comandante interregionale del Veneto. I pm ipotizzano per lui il reato di violazione del segreto di ufficio. L’ufficiale – secondo l’accusa – avrebbe fornito ad un avvocato notizie riservate su un’indagine in corso. L’inchiesta è condotta dai magistrati della Dda di Napoli, il procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli e il pm Fabrizio Vanorio. L’interrogatorio del generale Mango, previsto nella procedura di applicazione delle misure interdittive, è stato fissato per il 20 settembre. I fatti contestati risalgono al 2014. Secondo quanto si è appreso, l’ufficiale avrebbe rivelato ad un avvocato suo amico l’esistenza di un’indagine su una presunta attività di riciclaggio in cui sono coinvolti imprenditori e commercialisti.

Giuseppe Mango: così il generale svelò l’indagine al clan

La vicenda risale al 2014. Il Gico e il Nucleo valutario indagano sulle attività di alcuni imprenditori e commercialisti sospettati di essere a disposizione della criminalità organizzata per il riciclaggio di capitali. Racconta il Corriere:

Effettuano controlli bancari, patrimoniali. Si concentrano su alcune catene commerciali e di ristoranti come «Rossopomodoro», sul ruolo di investitore del calciatore Fabio Cannavaro. Il fascicolo è delegato al pubblico ministero Fabrizio Vanorio, con il procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli. E sono proprio i magistrati a chiedere e ottenere dal giudice di poter intercettare alcune utenze telefoniche, oltre a piazzare microspie in uffici e studi professionali. Verifiche delle quali vengono informati alcuni ufficiali della Finanza proprio per il ruolo apicale che ricoprono nei vari reparti. Tra loro, c’è appunto il generale Mango. Ascoltando alcune conversazioni gli investigatori capiscono che gli indagati sono stati avvisati dell’esistenza dell’indagine. Approfondiscono la natura della soffiata e scoprono che è stato proprio il generale Mango a parlarne con un amico, l’avvocato Roberto Guida.

L’inchiesta ha portato oggi all’esecuzione di nove misure cautelari nell’ambito di una più ampia indagine sulle attività del clan camorristico Polverino (tre le persone finite in carcere, quattro sono state sottoposte ai domiciliari e due sono destinatarie dal divieto di dimora nelle province di Napoli e di Caserta; tra i destinatari spicca Carlo Simeoli, costruttore edile facente parte dell’omonimo gruppo familiare imprenditoriale di Marano di Napoli). Successivamente il penalista avrebbe riferito l’informazione ad un suo cliente, precisando di averla appresa dal generale Mango.

Mango viene informato che sul suo conto è stato aperto un procedimento. Dovrebbe mantenere il segreto. E invece si rivolge nuovamente all’avvocato, questa volta scrivendo una lettera in cui lo rimprovera per aver veicolato la notizia, ma aggiunge anche particolari fondamentali come la presenza delle microspie. Il legale capisce di essere finito in un ingranaggio che lo può stritolare e a quel punto decide di giocare in contropiede consegnando la lettera ai magistrati. È l’inizio della fine. I pubblici ministeri chiedono gli arresti per imprenditori e commercialisti, nei confronti del generale sollecitano la misura dell’interdizione.

La conversazione fu captata dalle microspie che erano state collocate su disposizione della Dda di Napoli. Dalle intercettazioni emerse anche poco dopo il rimprovero rivolto dal generale all’avvocato, al quale contestò di aver riferito la notizia, rivelandogli anche che la Procura era venuta a conoscenza della fuga di notizie grazie alle intercettazioni ambientali. Per quest’ultimo episodio la Procura di Napoli ipotizza nei confronti del generale Mango il reato di rivelazione dolosa del segreto mentre in relazione alla prima informazione data al penalista gli inquirenti contestano una rivelazione di segreto colposa. L’ufficiale nei mesi scorsi è stato interrogato dai pm di Napoli ed in quella occasione – secondo indiscrezioni trapelate in ambienti giudiziari – avrebbe ammesso di aver parlato con l’avvocato dell’indagine.

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