Il governo lento di Giuseppe Conte

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2018-11-23

Il premier ha un’ideona: chiedere alla UE tempi larghi per le sanzioni in cambio di un’attuazione “lenta” delle misure come il reddito di cittadinanza e quota 100. Cosa può andare storto?

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Andamento lento. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha un piano per rendere più digeribile all’Unione Europea la Manovra del Popolo che è stata bocciata aprendo la procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia. Mentre la maggioranza tutta si impegna a mettere in giro la bufala delle colpe dei governi precedenti, il premier di Di Maio e Salvini ha già cominciato a chiedere tempi di attuazione «molto distesi» nelle sanzioni contro l’Italia. In cambio offre  tempi di attuazione dei provvedimenti altrettanto distesi, e dunque meno costosi. Almeno di un po’.

Il governo lento di Giuseppe Conte

Cosa cambia in questa prospettiva? Spieghiamolo con un esempio: se un provvedimento messo in campo per il 2019 ha un costo di 100 per dodici mesi, se viene attuato a metà anno i costi si dimezzano. E ogni volta che si parla di provvedimenti costosi, tutti si girano verso Quota 100 e il reddito di cittadinanza. Per entrambi un rinvio dell’attuazione a luglio 2019 significherebbe un importante calo del fabbisogno di spesa necessario. Ma qui c’è un punto politico da dirimere. Nei giorni scorsi lo stesso Salvini era stato dipinto come pronto a fare un passo indietro su Quota 100 per fermare la corsa dello spread.

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Lo spread da prima della crisi (Il Messaggero, 22 novembre 2018)

Ma rimandare quota 100 senza rimandare il reddito di cittadinanza vuole dire che il MoVimento 5 Stelle potrà fare campagna elettorale con il suo provvedimento simbolo durante le elezioni europee mentre il Capitano dovrà accontentarsi delle ruspe e delle ONG. Un po’ pochino per presentarsi di fronte all’elettorato come quello concreto e pragmatico mentre gli altri chiacchierano e basta. D’altro canto il M5S pubblicamente parla di febbraio come data di debutto del reddito di cittadinanza, mentre off the record ritiene più realistica la data di aprile 2019 ma non vuole spingersi oltre. E se non ci sta Di Maio, perché dovrebbe starci Salvini?

Rimandare, rimandare, tutto il resto passerà

D’altro canto la tecnica del rimandare e rimandare sine die è roba da pura Prima Repubblica: in un famoso corsivo Fortebraccio ricordava che nessun umano conosce la data della fine del mondo, ma una cosa è certa: quel giorno la DC rimanderà qualcosa. E sarebbe un disastro vero e proprio se il governo per qualche motivo cadesse prima dell’attuazione delle riforme-bandiera di Lega e MoVimento 5 Stelle. La crescita dello spread però è da evitarsi perché, come ha spiegato anche l’ISTAT, rischierebbe di “mangiarsi” con la spesa per interessi gran parte della crescita del PIL e sicuramente anche quel poco di apporto alla crescita dato dal reddito di cittadinanza.

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Rendimenti (in termini di spread sul tasso swap) dei bond con durata quinquennale delle banche italiane e di alcune banche estere (Il Sole 24 Ore, 22 novembre 2018)

E allora sì che sarebbe un disastro, specialmente mentre dal settore creditizio italiano arrivano pericolosi scricchiolii e l’incubo del governo di dover salvare prima o poi una grande banca (o lasciarla fallire con il bail in, cosa che costituirebbe un precedente comico di grande rilevanza vista la guerra portata da M5S e Lega al provvedimento) potrebbe avverarsi già con lo spread a 400, come pronosticato di recente. Quello sarebbe molto peggio di qualsiasi rinvio di riforma. Ecco perché Conte propone l’andamento lento per l’attuazione delle riforme. Ed ecco perché ad un certo punto il tutto potrebbe convenire più all’Italia (e a Salvini e Di Maio) che all’Europa.

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