Fortuna Loffredo, le accuse dei bambini

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2016-04-30

I racconti tra bambine, le testimonianze e i colloqui con i genitori, i quali però non sono stati di nessun aiuto nelle indagini e hanno invece cercato di depistarle e ostacolarle in tutti i modi, tanto da portare pubblico ministero e giudice per le indagini preliminari a ipotizzare l’esistenza di una rete di protezione nei confronti di “Titò”

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I carabinieri sono riusciti a risalire al presunto assassino della piccola Fortuna Loffredo, Raimondo Caputo, grazie alle confidenze di tre bambine vittime degli abusi sessuali dell’uomo.  Le bambine di dodici, sei e quattro anni, sono le figlie di Marianna Fabozzi, la compagna di Caputo. Assistite da psicologi e assistenti sociali, hanno raccontato gli abusi e le violenze dell’uomo. Ma anche altre ragazzine sono state protagoniste di testimonianze che hanno aiutato le indagini.

Fortuna Loffredo, le accuse dei bambini

Fulvio Bufi ha riportato oggi sul Corriere della Sera alcuni dei racconti captati dalle intercettazioni. Racconti tra bambine e colloqui con i genitori, i quali però, come hanno sottolineato i carabinieri nella conferenza stampa di ieri, non sono stati di nessun aiuto nelle indagini e hanno invece cercato di depistarle e ostacolarle in tutti i modi, tanto da portare pubblico ministero e giudice per le indagini preliminari a ipotizzare l’esistenza di una rete di protezione nei confronti di “Titò”, come veniva chiamato Raimondo Caputo nel palazzo del Parco Verde di Caivano. I racconti contenuti nell’ordinanza di ieri sono impressionanti:

«Ma veramente a Chicca l’ha uccisa Titò?», fa una bimba del palazzo parlando con un’altra. E quando il pm e la psicologa le chiedono perché quella domanda, lei risponde che «molti nel parco dicevano che era stato Titò». Pure la nonna della sua amichetta: «L’ho sentito personalmente. Era seduta sulla panchina giù al palazzo e parlando con altre signore disse che era stato Titò ad uccidere Chicca». E pure la sua amichetta lo sapeva: «Mi rispose che era stato lui, poi non abbiamo più parlato dell’argomento». Perché della morte di Fortuna i bambini hanno capito guardando gli adulti che non se ne doveva parlare. Anche quelli a cui nessuno ha detto di stare zitti o di mentire. Hanno scelto da soli. Nessuno li ha mai salvati, e loro hanno finito per confondere la salvezza con l’oscenità del silenzio omertoso.
C’è la vicina di Marianna Fabozzi che trova la scarpetta persa da Chicca durante il volo e al figlio racconta: «Quella l’ho buttata io la scarpa… io non lo voglio dire a nessuno ‘o fatto di questa scarpetella, perché qua sono venute le guardie e volevano la scarpetella… la scarpa di Chicca». E c’è la bambina che vede molto di più di una scarpetella: vede quello che succede sul terrazzo. «Mi uccideva pure a me se andavo con Chicca… meno male che non sono andata», dice alla madre. E poi: «Oh, che non esce manco un poco di segreto…», e mamma e figlia fanno il patto del silenzio.

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Il racconto della bambina di undici anni amica di Fortuna che ha testimoniato con l’aiuto di una psicoterapeuta (La Repubblica, 30 aprile 2016)

La bamnina alla fine racconta anche quello che ha visto ai magistrati:

Perché quando Fortuna voleva scendere a cambiarsi le scarpe, lei ha visto che Titò la seguiva e la portava sul terrazzo. E poi c’è salita pure lei sul terrazzo, con la mamma. E cosa hai visto?, le chiedono: «Che la buttava giù». Ma prima ha visto che «la violentava». Fortuna era «sdraiata», e Caputo «anche lui sdraiato e si buttava addosso», mentre Chicca «gli dava i calci». Poi «la prende in braccio e la butta giù». Anzi, lei vede che va «verso il cancello», quello «grigio che sta in faccia al muro». Non vede che la lancia, ma «ho sentito le urla». Dopo «siamo scese dalla mamma di Chicca per farla calmare», poi «quando la mamma (di Fortuna, ndr) è svenuta è venuto anche Caputo Raimondo che le ha dato un bicchiere d’acqua». La bambina è sempre con sua madre. Hanno assistito alla stessa scena, ma non ne parlano.
La mamma le dice solo una cosa: che quello che hanno visto «rimaneva un segreto». E lei il segreto se lo è tenuto dentro. Lo ha rivelato solo all’amichetta che le ha fatto la domanda mentre erano fuori al balcone «a farci le unghie». Poi mai più. E se ne è tenuti tanti altri di segreti. Fino al giorno di questa deposizione protetta. Lo stesso giorno in cui forse quella bambina del Parco Verde si è salvata e forse se ne sono salvati tanti altri di bambini come lei. Perché dopo il racconto dei momenti in cui Chicca muore, c’è il racconto, ormai senza più freni e reticenze di quello che lei stessa, le sue sorelle (che poi confermeranno e aggiungeranno altri ricordi) e Fortuna, subivano ogni giorno da Raimondo Caputo. Ma è un racconto che può stare solo negli atti di un processo. Mai su un giornale.

«Titò le stava addosso e poi l’ha gettata giù»

Oggi, dopo che si è diffusa la notizia dell’arresto di Caputo, ignoti hanno dato fuoco con una bottiglia incendiaria a una delle finestre dell’abitazione di Caivano in cui la compagna dell’uomo sta scontando i domiciliari, in quanto ritenuta complice delle violenze ai danni delle figlie, per non aver mai denunciato nulla. Dall’inchiesta emerge poi il contesto sociale a Parco Verde assimilabile a un vero e proprio quadro dell’orrore: oltre a Caputo, nel corso delle indagini sulla morte della piccola Fortuna, gli inquirenti hanno accertato che anche altri quattro minori dello stesso stabile erano stati vittime di violenze, tanto che tra le fine del 2014 e l’inizio del 2015 un’altra coppia di inquilini era finita agli arresti per pedofilia; tra questi figurava Salvatore Mucci, colui che per primo soccorse Fortuna dopo il volo di otto piani. Accanto a quella di Fortuna c’è una storia analoga, quella di Antonio Giglio, il bimbo di tre anni figlio della compagna dell’uomo arrestato, a cui, nel 2013, toccò la stessa fine di Fortuna: morto dopo un volo nel vuoto di decine di metri. I due episodi non sarebbero al momento collegati ma sviluppi potrebbero esserci nelle prossime settimane. La Repubblica pubblica i dialoghi tra la bambina, il pubblico ministero e la psicologa:

Pm: «Senti, sappiamo che tu e Maria avevate parlato della morte di Chicca. Maria dice che le hai svelato una cosa»
Anna: «Sì»
Psicologa: «Cosa le hai detto, dai».
A.: « Stavamo a casa (è l’appartamento della nonna, isolato 3, OES). Mia mamma in cucina. Io stavo lavando per terra. Chicca è venuta a bussare alla porta. Mi ha detto: vuoi giocare? Io ho detto: aspe’ sto lavando per terra. Si è seduta, ha detto “mi fanno male scarpe”, usciva a cambiarle e risaliva».
Pm: «Quindi c’eri tu e poi, chi?»
A.: «Mamma, Chicca, Raimondo».
Pm: «Poi? Chicca con chi è uscita?»
A.: «Con Caputo Raimondo».
Pm: «E poi? Dove vanno?»
A.: «Sono saliti su»
Pm: «Li hai visti da sola?»
A.: «No, stava anche mia mamma. E poi abbiamo visto che lui la buttava giù».
Psicologa: «Tesoro. Tu cosa vedi all’ottavo piano? Cosa facevano?»
A.: «La violentava».
Psicologa: «Che significa, amore? Dove stava Chicca, come?»
A.: «Stava sdraiata. Anche lui sdraiato e si buttava addosso».
Pm: «E Chicca cosa faceva?»
A.: «Gli dava i calci».
Psicologa: «E poi che fanno?»
A.: «Poi lui la prende in braccio e la butta giù. L’ho visto che entrava in quel cancello (che delimita il terrazzo di copertura, OES)».
Pm: «Quindi non l’hai visto proprio?»

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