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Ebola in America

neXtQuotidiano 01/10/2014

Un solo caso diagnosticato: è un cittadino liberiano in vacanza in Texas. Le autorità sanitarie scandagliano la comunità a caccia di altri casi. Ma finora gli esiti sono negativi. Negli Stati Uniti il rischio di epidemia è scarso. In Africa invece ci si aspetta mezzo milione di malati entro novembre

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Un ospedale di Dallas ha diagnosticato il primo caso di Ebola in America martedì 30 Settembre, secondo il Centers for Disease Control and Prevention degli Stati Uniti. L’Health Presbyterian Hospital del Texas lo ha diagnosticato a un paziente che proveniva dalla Liberia, e più precisamente da Monrovia. Quando è arrivato negli Usa non aveva nessun sintomo. L’uomo si è sentito male il 24 e il 26 è stato ricoverato. Proprio la coincidenza di date fa pensare che il rischio che l’uomo abbia infettato qualcun altro sia minimo. L’uomo è stato comunque mandato a casa con un antibiotico all’inizio, e solo due giorni dopo è stato riportato al Presbyterian Hospital in ambulanza. Le autorità sanitarie locali stanno scandagliando tutte le persone che sono venute a contatto con il paziente. Non c’è nessun pericolo per le persone che si trovavano nell’aereo con l’uomo, perché all’epoca non aveva sintomi. Secondo il CdC i rischi invece ci sarebbero per i membri della sua famiglia e un paio di altri componenti della comunità. L’equipaggio dell’ambulanza ha fatto il test per l’Ebola con risultato negativo.
 
EBOLA IN AMERICA: DON’T PANIC
Secondo Tom Frieden, direttore del Cdc, «è certamente possibile che chi ha avuto contatti con quest’uomo possa sviluppare l’Ebola nelle prossime settimane», ma ha anche rassicurato sulla scarsità di possibilità che si sviluppi un’epidemia negli Stati Uniti, anche se i focolai africani preoccupano. I Centers for Disease Control and Prevention, la massima autorità sanitaria negli Usa, hanno pubblicato un video dal titolo Salvare vite, proteggere le persone, con tutte le indicazioni per prevenire la trasmissione. Il metodo utilizzato dagli esperti del Cdc, definito «la chiave per fermare l’epidemia e salvare vite umane», si chiama contact tracing, sostanzialmente una vera caccia ai possibili contagiati per rintracciare tutti coloro che entrano in contatto diretto con un paziente malato di Ebola. I medici chiedono al paziente e ai suoi familiari di elencare tutti quelli con cui hanno interagito, i quali vengono cercati e messi in quarantena per 21 giorni in modo da verificare l’eventuale presenza di sintomi del virus. «Se uno di loro comincia a mostrare sintomi della malattia viene immediatamente isolato, tenuto sotto controllo, e curato», spiega il filmato. Il processo richiede settimane, e deve essere ripetuto fino a quando non compaiono nuovi pazienti con sintomi. Secondo gli esperti, invece, i controlli sulla temperatura corporea negli aeroporti non sono in grado di portare a risultati soddisfacenti, perché il periodo di incubazione di Ebola è di 2 giorni, ma possono servirne 20 perché i sintomi si manifestino. Per ricordare a tutti la scarsa possibilità di contagio in America per il virus Ebola Vox ha pubblicato questo “test”:

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Il «quiz» dell’Ebola su Vox


All’interno dell’ospedale dove il paziente si trova in isolamento sono state attivate tutte le procedure di massima allerta per impedire il rischio di contagio ad altri pazienti, al personale medico e sanitario, ai volontari e ai visitatori. Nelle ultime settimane molti erano stati i casi sospetti (almeno dodici) che avevano messo in allerta diversi ospedali Usa, anche a New York e Miami. Ma finora tutte le persone esaminate erano risultate negative al virus. Anche per l’America ci sono best case e worst case scenario. La migliore delle ipotesi per gli Stati Uniti è che l’uomo infetto si sia reso conto di essere malato non appena si è sentito male. In questo modo i medici potranno accertarsi che nessuno sia venuto a contatto con i suoi fluidi corporei: l’epidemia si concluderebbe con un solo paziente. La peggiore delle ipotesi, invece, è che l’uomo fosse malato da giorni quando è stato ricoverato ed isolato, e che sia venuto a contatto con tante persone. Questo potrebbe portare a un’epidemia seria di Ebola negli Stati Uniti. Ma già il test negativo per gli infermieri che l’hanno trasportato in ambulanza fa ben sperare da questo punto di vista. In ogni caso le migliori condizioni igieniche e sanitarie degli Usa costituirebbero già di per sé un freno all’epidemia, al contrario di quello che sta accadendo in Liberia, Sierra Leone, Guinea: paesi che non hanno risorse per contenere un virus del genere.
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Ebola: i casi per paese e l’epidemia


EBOLA IN AFRICA: OK, PANIC
La situazione in Africa è molto diversa. Il virus che si è diffuso da una regione rurale della foresta pluviale in Africa occidentale ai grandi centri urbani potrebbe infettare fino a ventimila persone entro novembre. In pieno inverno il worst case scenario prevede tra i 270mila e i 500mila infettati. Ebola potrebbe diventare endemico nella popolazione dell’Africa occidentale e provocare nei prossimi anni epidemie sporadiche della malattia, soprattutto in Liberia, secondo il rapporto firmato da OMS e Imperial College di Londra. Lo studio congiunto è stato pubblicato sulla rivista scientifica New England Journal of Medicine a sei mesi esatti dalla prima notifica di un caso di ebola dell’attuale epidemia. Spiega Christopher Dye, direttore strategia dell’Oms: «Con misure di controllo parziali, il virus dell’ebola nella popolazione umana può trasformarsi in una caratteristica della vita in Africa occidentale». In questo quadro, aggiunge Dye presentando lo studio nel corso di una conferenza stampa, non si può escludere una mutazione del virus che cambi le modalità di contagio. Al momento gli studiosi ritengono che una persona ne contagi altre due: la via di trasmissione è unicamente attraverso il contatto diretto con fluidi corporali (sudore, sangue, saliva, tra gli altri). Con una mutazione, spiega Dye, si potrebbe cominciare a contrarre attraverso l’aria. E questo provocherebbe un’esplosione dell’epidemia ben oltre i tre stati africani. In Europa infine il rischio legato all’epidemia di Ebola «rimane basso, ma dobbiamo rimanere vigili», ha detto il commissario europeo alla Salute Tonio Borg, al termine del summit informale dei ministri europei della Salute che si è tenuto ieri e oggi a Milano. «Ebola è una questione urgente – ha avvertito Borg – e abbiamo sia l’obbligo morale di aiutare i paesi colpiti, sia l’obbligo concreto di evitare che l’epidemia arrivi nel continente europeo. L’Europa ha già stanziato 150 milioni di euro per interventi diretti in Africa, quanto mai necessari. Basta pensare che in Liberia hanno un medico ogni centomila abitanti, è evidente che la situazione è insostenibile».

Leggi sull’argomento: L’epidemia di Ebola e la peggiore delle ipotesi

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