Il DEF scomparso e l’autunno caldo in arrivo

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2018-10-02

Il Documento di Economia e Finanza non è ancora stato pubblicato. Perché ci sono grossi problemi a far quadrare i conti anche con il deficit al 2,4%. E perché l’aumento dello spread rischia di mangiarsi tutta la dotazione. Un solo precedente: nel 2011. Poco dopo Berlusconi se ne andò e arrivò Monti

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Il DEF è scomparso. La nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza non è stata ancora varata nonostante l’approvazione in favore di telecamera al Consiglio dei Ministri. Ed è vero che il ministro è tornato dall’Ecofin in Lussemburgo per finire il lavoro. Ma anche perché ci sono problemi che sembrano insormontabili rispetto alla sua chiusura.

Il DEF è scomparso, l’autunno caldo è in arrivo

Questo perché c’è un problema di crescita del PIL. L’aumento della spesa per interessi causato dall’impennata dello spread rischia di far saltare i conti della maggioranza prima ancora di metterli sul tavolo. Lo spread a 282 è il preludio di un nuovo Autunno Caldo, quello che sembrava scongiurato dopo le dichiarazioni accomodanti di Salvini e Di Maio sui vincoli. Non solo: la crescita della spesa per interessi sta erodendo la dote che era necessaria per le riforme grilloleghiste. Scrive oggi Repubblica che nelle ultime simulazioni si stanno ritrovando a disposizione solo 6 miliardi per il reddito di cittadinanza. Risorse che rischiano di azzoppare l’intero progetto. Non a caso, proprio ieri, i vertici dell’M5S avrebbero persino dato la disponibilità a tagliare di un miliardo il budget per la creazione dei centri per l’impiego, i futuri uffici di collocamento.

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La corsa dello spread (Il Sole 24 Ore, 2 ottobre 2018)

E c’è un altro punto del DEF che ha rovinato la gita di Tria a casa di Juncker. La previsione di crescita del PIL è 1,6% ed è considerata scarsamente credibile. Tutte le previsioni ufficiali vedono il nostro Pil in aumento al massimo dell’1,1 per cento. Il che vuol dire che l’Italia potrebbe ritrovarsi con un deficit-Pil effettivo vicino se non oltre la soglia del 3 per cento. Se l’Italia non centra l’obiettivo di crescita il deficit è destinato a salire. Oppure dovrebbe entrare in scena la clausola di salvaguardia di Tria, che secondo il ministro avrebbe il potere di tagliare la spesa se non si raggiungono gli obiettivi di crescita. Peccato che Tria non ci abbia ancora illustrato nel dettaglio come dovrebbe funzionare la clausola, perché la sensazione è che se – ad esempio – la clausola prevede che in caso di crescita al di sotto delle attese nel primo trimestre 2019 si taglino i soldi per il reddito di cittadinanza, come sembrerebbe da quanto viene raccontato da Tria, è probabile che piuttosto il M5S decida di tagliare il ministro dell’Economia. O l’intero ministero.

Un deficit/PIL al 2,4% potrebbe non bastare

E la sensazione è che si stia scivolando proprio in questa direzione. Mario Sensini e Federico Fubini sul Corriere della Sera fanno sapere che uno dei nodi da sciogliere è il 2020. Fino a giovedì notte la tenuta sui conti di quell’anno si basava su altri 20 miliardi (1,2% del Pil) di aumenti dell’Iva iscritti in una clausola automatica; giovedì è stata fatta saltare, come l’altra da 0,7% del Pil sull’anno prossimo. Andrebbe ora coperta almeno in parte con tagli di spesa. Ma i tagli promessi nel DEF sono un argomento politicamente più che sensibile; altrettanto sensibile è la firma della Ragioneria dello Stato sui conti che se i numeri non fossero credibili non sarebbe scontata.

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Le tappe del DEF (Il Sole 24 Ore, 2 ottobre 2018)

Poi c’è il problema dell’Europa. Il mese scorso Tria aveva garantito ai due commissari Ue Pierre Moscovici e Valdis Dombrovskis sia una discesa del rapporto tra debito pubblico e Pil nel 2019 — questa dovrebbe essere confermata nel nuovo Def— che la riduzione del deficit «strutturale», lo zoccolo duro dei conti stimato al netto degli effetti passeggeri. Questo invece adesso è destinato a un aumento se l’obiettivo di deficit resta al 2,4% del Pil per i prossimi tre anni.

La sfida con l’Europa

In questo clima si innestano le parole di Moscovici e Juncker sull’Italia che non segue le regole e l’euro a rischio. E si costruiscono i presupposti per un Autunno Caldo in arrivo, come nel 2011. Ovvero proprio il pericolo che sembrava scongiurato il mese scorso, quando la maggioranza Lega-M5S aveva deciso di gettare acqua sul fuoco della Peste in arrivo. Nel chiuso dell’Eurogruppo e poi nelle bilaterali con Dombrovskis e Moscovi, all’unisono a Tria arriva la stessa richiesta: per evitare le bocciature Ue e placare i mercati, entro il 15 ottobre il ministro deve provare a cambiare i numeri, a tornare indietro sul deficit. Alberto D’Argenio, inviato di Repubblica in Lussemburgo, racconta un curioso aneddoto che riguarda il nostro ministro:

Tria viene ripreso dalle telecamere del palazzo dei vertici Ue nel Granducato che sorride imbarazzato, impacciato abbassa lo sguardo e fa spallucce mentre stringe la mano a Pierre Moscovici, quasi a giustificarsi di essersi piegato alla voglia di spesa pubblica di Salvini e Di Maio. Quindi gesticola, mima il Pil che sale come a dire che magicamente risolverà ogni problema.

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La corsa dello spread negli ultimi mesi (Corriere della Sera, 2 ottobre 2018)

Non basta a giustificare quel 2,4% di deficit inserito nel Def mentre appena un mese fa a Vienna aveva preso l’impegno a fermarlo all’1,6%. Viene subito attaccato dal francese Le Maire e dall’olandese Hoekstra. Persino il presidente dell’Eurogruppo, il morbidissimo portoghese Mario Centeno, chiede spiegazioni a Tria di quel peggioramento del deficit strutturale di almeno 14 miliardi all’anno fino al 2021.

Intanto c’è chi nota che l’approvazione della NADEF, la nota di aggiornamento del DEF, non è stata accompagnata dalla pubblicazione del documento ufficiale o di un comunicato stampa con i numeri della manovra. Un evento raro, che però ha un precedente: il 2011. All’epoca il governo Berlusconi con Tremonti ministro dell’Economia annunciò l’approvazione del DEF senza indicarne il contenuto. Due mesi dopo, con lo spread a 575, Mario Monti si accomodò a Palazzo Chigi.

Leggi sull’argomento: Deficit al 2,4%: come tagliare il ramo su cui siamo seduti

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