Il Ddl Zan raccontato da Alessandro Zan a mia figlia di otto anni

di Sara Manfuso

Pubblicato il 2022-05-30

“Questa non è un’intervista ma la prova che confuta con disarmante concretezza la tesi secondo cui, approvando la legge, si porterebbe nelle scuole la pericolosissima ‘teoria gender’”

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Questa non è un’intervista tradizionale, doveva esserlo sul nascere quando ho sentito telefonicamente Alessandro Zan per fissare un appuntamento in cui parlare del tanto discusso DDL che porta il suo nome. Poi si è trasformata in una singolare esperienza che confuta con disarmante concretezza la tesi secondo la quale, approvando il testo, si porterebbe nelle scuole la pericolosissima “teoria gender”

Il Ddl Zan raccontato da Alessandro Zan a mia figlia di otto anni

Ecco, il giorno dell’intervista – come capita a milioni di professioniste che sono anche mamme – non sapevo a chi lasciare Lucrezia, la mia bimba di otto anni. Cosa faccio? Scrivo a Zan e gli dico di annullare? Rimandiamo sine die? Le agende sono complicate, chissà quando riusciamo poi. No, non posso. 

Beh, allora potrei lasciare Lucrezia a qualcuno di fiducia?

Ma si preannuncia una vera impresa reperire quel qualcuno al punto tale che… e se parlassi a Lucrezia del DDL? Non dei tecnicismi, non della vergogna del 27 ottobre che le farebbe perdere l’illusione (a questa età sana) di vivere in un paese civile. No, voglio parlarle del cuore pulsante di questo testo, dei principi democratici che lo fanno vibrare e che non interessano una minoranza (la qual cosa avrebbe comunque valore), ma tocca noi tutti che intendiamo riconoscere e combattere i crimini d’odio e che abbiamo il dovere di insegnare ai nostri figli la cultura dell’amore e del rispetto. Così davanti a un hamburger con patatine fritte comunico a mia figlia che avremmo avuto questo impegno di lì a poco e dopo averle detto che Zan di nome non fa DDL, ma Alessandro, lei ha fatto cenno di saperne già qualcosa.

No, Lucrezia non è plus dotata, è una normalissima nativa digitale che cresce vedendo Modern Family (ricordate la serie tanto amata dagli Obama, in cui c’è la coppia gay Cam e Mitch che adotta una bimba asiatica?) e che di tanto in tanto – con mamma e papà sempre “sul pezzo” – carpisce alcuni elementi del dibattito pubblico. Allora, dopo una chiacchierata propedeutica con quella che si è autoproclamata la mia assistente, andiamo in una Piazza di Spagna vittima del primo insopportabile caldo in cui il “Signor DDL” compra un trolley d’emergenza essendo stato di fatto abbandonato dal suo e avendo un treno da dover riprendere di lì a poche ore. La cosa rende il tutto ancor più simpatico e singolare, ricordo così anch’io di dover comprare un trolley anziché prendere perpetuamente in prestito quello di mio marito.

Eccoci finalmente al tavolino di un bar. L’assistente mangia caramelle a forma di banana, noi entriamo nel vivo dopo aver ordinato un caffè. Lei un succo d’albicocca. I primi due nomi che saltano fuori quando veniamo alla triste pagina costituita dalla bocciatura del testo al Senato – con tanto di applauso scrosciante – sono quelli di Berlusconi e Renzi. “La partita quirinalizia fatta di alleanze sui nomi papabili e che si giocava nel periodo di discussione del testo vedeva come convitato di pietra Silvio Berlusconi che, unitamente all’opportunismo politico di Renzi e di Italia Viva che ha bocciato al Senato l’identico testo che aveva approvato alla Camera, sono i due sicari di quella che sarebbe potuta diventare legge” – aggiungendo con uno strano mix di delusione e compiacimento – “non hai idea di quanti siano venuti a dirmi, post 27 Ottobre, che non avrebbero voluto votare come hanno votato e che lo hanno fatto per disciplina di partito”. Chiedo dei nomi, lascia intendere ce ne siano anche di peso, e prova ad accontentarmi con un generico “molti di questi fanno parte dell’attuale gruppo misto”.

Tra la prima e la seconda caramella, la giornalista in pectore prova a chiedermi cosa sia il gruppo misto. Andando avanti nel colloquio, Alessandro mette l’accento sulla rilevanza della questione culturale che vede protagonisti i nostri figli e la loro libertà di autodeterminarsi. Lui non è genitore, ma parla come il migliore tra questi inducendo anche me a un’inaspettata autocritica. “I figli non sono nostri. Nel senso che il possesso non deve determinare il legame, ma il riconoscimento del loro essere persone autonome da accompagnare nel processo di crescita da lasciar esprimere secondo le proprie peculiarità. Pensiamo ai giocattoli” – l’attenzione passa bruscamente dalla terza caramella alla conversazione – “le bambine sin da piccole sono abituate al colore rosa e a giocare con il ferro da stiro. Come se il loro destino fosse già scritto, al punto che siano loro stesse a convincerne. È chiaro che ciò è espressione del patriarcato e che per ragioni socio-economiche, oltre che culturali, le destre illiberali non siano intenzionate a sovvertire questo ordine”.

Ecco, viene toccato il tema patriarcato. Il DDL infatti include la questione femminile connettendola a uno dei punti che non può e non deve costituire merce di scambio politico, o terreno di mediazione: l’identità di genere, ovvero il sesso “percepito” che non necessariamente coincide con il sesso biologico. Non posso non chiedere ad Alessandro perché il testo – mantenendo un’attenzione così alta anche sui diritti delle donne – non piaccia a tutte le femministe. La sua espressione si fa combattiva, come se a quel tavolo ci fosse un nemico invisibile da sconfiggere di cui intuisco la natura e che mia figlia non può vedere. O, almeno, non ancora. “Alcune femministe, quelle salottiere, quelle che fanno male proprio alle donne sono al pari di un Pillon. Ne più ne meno. Hai presente la Terragni?” Per assonanza penso alla Ferragni e, no, non c’entra nulla. Anche perché ci ricordiamo quanto insieme a suo marito Fedez e a una marea di altri personaggi noti si sia spesa pro DDL ZAN.

Alessandro riprende il filo capendo che non avevo messo ben a fuoco il personaggio “è una di quelle che donne che ritiene che l’essere donna coincida con le mestruazioni, con la procreazione. Insomma, l’espressione del femminismo reazionario che guarda tutti dall’alto in basso. Hanno anche una sigla: Terf”. Femministe radicali trans escludenti. Lucrezia pensa che Terf sia il nome una creatura degli inferi che fa paura. Quella paura di cui Alessandro scrive nel suo “Senza Paura. La nostra battaglia per vincere l’odio” e che – scopro con piacere – ha venduto ben oltre le 10.000 copie. A questo punto, la mia domanda di rito sul libro e la canzone del cuore, la faccio sempre ai miei intervistati. Secco e deciso, come fosse già pronto alla risposta, mi indica “La Chimera” di Vassalli e “Danza” di Martini. “Chimera”, “Danza” parole che evocano il sogno, l’amore.

Così quella che doveva essere l’ultima domanda, diventa la penultima e interviene Lucrezia ormai impettita nel suo ruolo lavorativo. “Alessandro, ma tu ce l’hai un fidanzato?” – poco prima mi aveva bisbigliato nell’orecchio quanto fosse bello il gentile intervistato – e lui, con sorriso e grande ironia, chiude con un “qua tutti mi vogliono e nessuno mi piglia!”. Prende la sua valigia nuova di zecca e va via, lasciando dietro di sé una bambina – che aveva smesso di giocare alla giornalista – per dire con gioia e stupore: “allora, mamma, possiamo davvero essere sempre ciò che vogliamo!”.

 

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