Come combattere i super batteri resistenti agli antibiotici

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2016-05-20

Uno studio commissionato dal governo inglese lancia l’allarme sulla nascita dei cosiddetti “super batteri” resistenti agli antibiotici che potrebbero diventare, nel 2050, la principale causa di morte nel mondo. Fortunatamente siamo ancora in tempo per agire, e una parte del lavoro spetta a ciascuno di noi

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Che portata possono avere le scelte individuali di ciascuno di noi sulla salute pubblica? Abbiamo visto, analizzando il dibattito cresciuto attorno alle vaccinazioni in età pediatrica, come la semplice scelta di non vaccinare i propri figli possa avere ripercussioni sulla salute dei figli degli altri e della comunità in generale. Ma i vaccini non sono l’unico fronte caldo della lotta contro le malattie, anche perché non ci sono solo i virus ma anche i batteri, i funghi e i parassiti. E per combattere le infezioni batteriche si usano gli antibiotici. Si dovrebbe dire però che spesso questo uso si trasforma in un abuso ed è per questo le autorità sanitarie britanniche, su richiesta del Governo inglese, hanno condotto un’analisi sulla Antimicrobial Resistance (AMR) ovvero sul diffondersi di micro-organismi resistenti ai medicinali.

Le morti causate da AMR ogni anno e quelle stimate nel 2050 Fonte: Review on Antimicrobial Resistance
Le morti causate da AMR ogni anno e quelle stimate nel 2050 Fonte: Review on Antimicrobial Resistance

Perché è importante ripensare al modo in cui utilizziamo gli antibiotici

Lo studio condotto da Jim O’Neill è stato pubblicato ieri (è accessibile qui) e non ci sono buone notizie. La prospettiva è che la AMR diventi, nel giro di poco meno di quarant’anni, la maggiore causa di morte. Il motivo? Da una parte i cittadini hanno preso la brutta abitudine di ricorrere agli antibiotici senza un reale motivo, ad esempio quando non sono necessari, dall’altra ci sono i ridotti investimenti delle case farmaceutiche (ma anche dei governi) nella ricerca e sviluppo di nuove generazioni di antimicrobici ed infine anche l’eccessivo utilizzo di antibiotici nell’industria della carne e in agricoltura. I capi di bestiame negli USA consumano due volte la quantità di antibiotici rispetto agli esseri umani. Come si può capire la questione non coinvolge un unico aspetto ma è multifattoriale e come tale deve essere affrontata.
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Quali strategie per il futuro?

Come e cosa bisogna fare quindi per evitare di trovarci “scoperti” e inermi di fronte a nuove forme d’infezione? Il rapporto di O’Neill indica una serie di best practice che è consigliato seguire per scongiurare quello che potrebbe tramutarsi in un disastro annunciato. Si tratta di un impegno a livello globale che non può limitarsi a coinvolgere un solo governo e uno solo paese. Il primo punto è quello di far partire una campagna d’informazione per sensibilizzare la popolazione sui rischi derivanti dall’uso sbagliato degli antibiotici, questo consentirà di far durare più a lungo l’efficacia dei farmaci attualmente in circolazione in attesa che ne vengano sviluppati di nuovi. È poi necessario che i governi intervengano per migliorare le condizioni dei sistemi fognari e degli impianti di approvvigionamento idrico in modo da ridurre sensibilmente il rischio di venire a contatto con batteri e altri micro-organismi in grado di portare infezioni. È fondamentale però che nel frattempo vengano stanziati dei fondi per la ricerca di nuovi antibiotici, stiamo parlando di un fondo da almeno due miliardi di dollari destinato a finanziare le prime fasi della ricerca per nuovi antibiotici in grado di combattere le infezioni da “super batteri”.
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Per prevenire che gli antimicrobici raggiungano l’ambiente è fondamentale limitarne l’uso in agricoltura e nell’allevamento. Molti degli antibiotici utilizzati come additivi ai mangimi o per proteggere le colture (e prevenire le infezioni in modo da aumentare la produzione) infatti sono gli stessi utilizzati per trattare le infezioni umane. Ridurne l’uso – eventualmente vietando il ricorso ad alcuni prodotti per i quali c’è maggiore rischio che si sviluppi una forma di AMR – contribuirà a evitare che le sostanze raggiungano l’ambiente contribuendo a creare nuovi ceppi di micro-organismi resistenti ai farmaci (è necessario quindi anche ridurre l’inquinamento derivante dai rifiuti e dagli scarti della produzione). Anche il miglioramento delle tecniche diagnostiche (le tecniche di laboratorio per individuare i batteri sono rimaste sostanzialmente le stesse negli ultimi settant’anni) , ad esempio rendendole più rapide, potrebbe consentire di limitare i danni da AMR, se un’infezione viene diagnosticata per tempo è infatti più facile da eradicare e richiede di utilizzare meno farmaci.
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Il ruolo fondamentale della prevenzione e dei vaccini

E si arriva infine ad un suggerimento che farà la gioia di tutti gli anti-vaccinisti in ascolto: per evitare di avere le armi spuntate nei confronti delle infezioni del futuro è preferibile, scrive il rapporto sull’Antimicrobial Resistence, è preferibile puntare sulla prevenzione ovvero sui vaccini. Prevenire le infezioni infatti consente di non dover ricorrere ai farmaci per curarle di fatto riducendo i rischi di contribuire alla creazione di nuove generazioni di micro-organismi resistenti ai medicinali: la copertura universale di un vaccino in grado di prevenire le infezioni da pneumococco potrebbe teoricamente ridurre del 47% il ricorso agli antibiotici utilizzati per i casi di polmonite causati dal S. pneumoniae. Ma non ci sono solo i vaccini, potenziare la ricerca su altri metodi di potenziamento del sistema immunitario potrebbe essere la chiave per evitare di dover fronteggiare l’AMR nel prossimo futuro.
 
 

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