Il caso Appendino e la ridicola difesa d'ufficio di Marco Travaglio

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2017-10-19

Marco Travaglio sostiene che Chiara Appendino è indagata per un “debito fatto da Fassino” quando in realtà si tratta di una caparra e la sindaca di Torino è indagata per falso ideologico in atto pubblico. Il direttore del Fatto Quotidiano inventa una realtà alternativa per poter difendere i 5 Stelle ma fa la figura dell’ignorante che si arrampica sugli specchi

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C’era una volta Marco Travaglio, feroce cronista di cronaca giudiziaria che da qualche tempo veste i panni dell’avvocato d’ufficio del MoVimento 5 Stelle. Quando deve parlare di vicende che riguardano esponenti politici del M5S Travaglio ha dei vistosi cali di lucidità e onestà intellettuale. È successo quando ha cercato di farci credere che l’avviso di garanzia nei confronti di Virginia Raggi in realtà fosse strumentale a farla dimettere e a fare in modo che Roma rientrasse in corsa per le Olimpiadi del 2024. Peccato che all’epoca la Capitale fosse già uscita definitivamente dai giochi senza possibilità di ripescaggio.

C’era una volta il principe della cronaca giudiziaria

Nei giorni scorsi Chiara Appendino è stata raggiunta da un avviso di garanzia per una vicenda legata alla costruzione di un centro commerciale nell’area della ex Westinghouse. Il fatto che la Appendino sia indagata non significa che sia colpevole, ma questo per giornalisti come Travaglio, che ad ogni avviso di garanzia hanno una vistosa erezione, rappresenta un problema. Il garantismo infatti non è nelle corde del giornalista più manettaro d’Italia. Urge trovare una soluzione per giustificare la Appendino e salvare il buon nome dei 5 Stelle. Non potendo raccontare che in realtà la sindaca è stata indagata dal PD, come hanno fatto i 5 Stelle, Travaglio sceglie una strategia più subdola: raccontare una menzogna che non solo non ha senso se si conoscono i fatti ma non sta in piedi nemmeno dal punto di vista giudiziario.
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Ieri Travaglio, in collegamento con di Martedì su La 7 ha spiegato che il debito per cui la sindaca è indagata l’ha fatto Fassino ma i PM hanno deciso di mandare l’avviso di garanzia all’Appendino. Un’ingiustizia bella e buona, direte voi. Se non fosse che la Appendino non è indagata per aver fatto un debito ma per aver fatto sparire 5 milioni dal bilancio cittadino. Appendino non è indagata per “debito” ma per falso ideologico in atto pubblico. È vero, la Appendino quei soldi non li ha rubati, ma nessuno l’ha accusata di averlo fatto.

Le bugie di Marco Travaglio sull’avviso di garanzia a Chiara Appendino

Ma c’è di più, Travaglio spiega che «nel caso dell’Appendino si tratta del rinvio di un anno di un pagamento di un debito che il Comune aveva con un’azienda». In realtà non si tratta nemmeno di un debito ma della restituzione di una caparra che in base agli accordi presi dalla precedente amministrazione avrebbe dovuto essere restituito nel 2017. La Appendino non ha deciso di rinviare di un anno la restituzione della caparra, perché dal documento dei revisori dei conti traspare che la Appendino non aveva preso nessun accordo con REAM, la società che nel 2012 aveva versato al Comune la caparra da 5 milioni di euro. Insomma prendendo per buona la versione di Travaglio ne consegue la Appendino ha deciso di rinviare il debito ad insaputa dei creditori.

Contestualmente però la sindaca ha iscritto a bilancio l’entrata di 19.6 milioni di euro, derivanti dalla cessione dei diritti di superficie della ex Westinghouse alla società vincitrice della gara. Se avesse voluto rinviare di un anno il pagamento del debito come sostiene Travaglio avrebbe messo a bilancio 14.6 milioni di euro in entrata e i 5 milioni di euro in uscita, specificandolo.
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Di questo però non c’è traccia nel bilancio approvato dalla giunta pentastellata. In questo modo, ritengono i revisori dei conti e i magistrati, la Appendino ha fatto figurare alla voce entrate soldi che in realtà il Comune avrebbe dovuto restituire. Anzi: i revisori dei conti scrivono nella loro relazione che “il debito per la restituzione della caparra a Ream debba essere riconosciuto e finanziato nel bilancio dell’esercizio 2017, ai sensi dell’art. 194 del TUEL, e questo a prescindere dall’effettivo versamento dilazionato concesso per il 2018“. In poche parole anche volendo rinviare il debito di un anno la Appendino avrebbe dovuto iscriverlo a bilancio.

Il soccorso del Fatto Quotidiano ai 5 Stelle

Non è la prima volta che il Fatto Quotidiano viene in soccorso della Appendino su questa vicenda. La linea del giornale di Travaglio è stata chiara fin da subito. Non solo il Fatto ha scritto che quei 5 milioni sono un debito contratto dall’amministrazione Fassino ma anche che “quei soldi, secondo gli accordi, dovevano essere restituiti nel 2017, visto che poi il progetto in questione è stato accantonato. Nel bilancio 2016, però, quella cifra non è mai comparsa”. E questo è falso perché il progetto non è stato affatto accantonato. O meglio, lo era fino a che non si è insediata la Appendino e ha stipulato un accordo con Amteco per la cessione dell’area.
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Inoltre la Sindaca Appendino, aveva giustificato la decisione spiegando che il Comune avrebbe potuto incassare 19,6 milioni di euro che potranno essere così messi a bilancio e utilizzati per sostenere il capitolo cultura e altre iniziative del Comune. Ma come è noto il Comune avrebbe potuto utilizzarne solo 14,6 dal momento che 5 erano da restituire a Ream. Paradossalmente se i 5 Stelle avessero mantenuto le promesse fatte in campagna elettorale, e la linea seguita durante la scorsa consiliatura quando si erano opposti tenacemente all’operazione sulla ex Westinghouse la Appendino non si sarebbe trovata in questa situazione. I 5 Stelle infatti, spinti dal desiderio di fare cassa, hanno deciso di utilizzare gli oneri di urbanizzazione della ex Westinghouse per finanziare la spesa corrente e “salvare la città”. Peccato che prima delle elezioni la Appendino avesse dichiarato di non volerlo fare.

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