“Mio padre fu deportato davvero”: la lezione di Andrea Pennacchi ai No Green pass di Novara | VIDEO

di Federica Pozzi

Pubblicato il 2021-11-06

L’attore a Propaganda Live: “Chi aveva qualcosa da dire, non ha parlato, non voleva parlare. E così adesso si trovano a parlare quelli che non dovrebbero”

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Andrea Pennacchi a “Propaganda live” racconta l’esperienza di suo padre che a 17 anni, nel 1944, fu deportato in un campo di concentramento in Austria perché faceva parte di un gruppo di partigiani. Netta la lezione per chi usa a sproposito i simboli dei lager nazisti, come i manifestanti di Novara che la scorsa settimana hanno manifestato contro il green pass travestiti da prigionieri dei lager, con tanto di finto filo spinato.

Andrea Pennacchi, il racconto della deportazione del padre e quelle tante persone che non dovrebbero parlare

Un racconto ironico quello di Pennacchi che cela tutta la sofferenza di milioni e milioni di persone costrette per anni nei lager e lo fa raccontando la storia del padre. “Siccome era giovane gli hanno mandato una squadra della polizia politica per prenderlo e tirarlo giù dal letto, lo hanno messo subito in una camionetta per portarlo alla stazione dei treni. Dentro alla camionetta ci sono tutti i suoi amici, i suoi compagni della banda dei partigiani. C’è anche Pippo il traditore che facendo i loro nomi ha garantito a tutti quella bella vacanza. Mio papà prima se lo era chiesto spesso se anche lui avrebbe partecipato a quei viaggi così esclusivi di cui sentiva spesso parlare e che fino a quel momento avevano un po’ privilegiato gli ebrei”, inizia così il racconto di Pennacchi.

Poi la descrizione della vita nel campo: “Ti danno subito appena arrivi un pigiamone a righe con un triangolo sul petto così si capisce subito di che squadra sei. Se sei comunista, anarchico, criminale comune, omosessuale. Così poi puoi fare i giochi di squadra con gli animatori. C’è tanto filo spinato così ti senti tanto protetto e gli animatori sono meravigliosi”.

“Io mio padre l’ho conosciuto 25 anni dopo però se lo ricordava ancora bene il campo di concentramento. Era morta tanta gente e lui era vivo, passava la notte a chiedersi perché loro si e io no. E se lo ricordava talmente bene che non aveva voglia di parlarne, non ne parlava mai. E allora penso che forse sia questo il problema. Che chi poteva, chi aveva qualcosa da dire, non ha parlato, non voleva parlare. E così adesso si trovano a parlare quelli che non ne sanno niente, quelli che non dovrebbero”, ha concluso.

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