Allan Holdsworth: addio a una leggenda della chitarra

di Mario Neri

Pubblicato il 2017-04-17

Leggenda della fusion, del progressive e del jazz, considerato “il miglior chitarrista del mondo” da tanti suoi colleghi, ha collaborato con band e registrato dischi solisti stupendo tutti con il suo fraseggio fluido e poetico

article-post

Allan Holdsworth è morto ieri, 16 aprile, all’età di settant’anni. A dare la notizia la figlia Louise su Facebook. Chitarrista e compositore, era nato a Bradford il 6 agosto del 1946 e considerato un guru dai colleghi grazie alle sue sperimentazioni con il guitar synth e l’incredibile fraseggio, fluido e complicatissimo, frutto dello studio dell’armonia jazz ma applicato a contesti elettrici nei quali inventava l’inimitabile.

Allan Holdsworth: addio a una leggenda della chitarra

Holdsworth aveva studiato violino prima di passare alla chitarra, che prese in mano a 18 anni insieme agli studi su John Coltrane a cui rese omaggio con una meravigliosa versione di Countdown (dall’album None too soon): il pezzo di Coltrane era particolarmente complicato perché riprendeva i famosi salti di terza maggiore distribuendoli su due diverse tonalità di partenza in un brano con una struttura “alla rovescia”, in cui entrava prima la batteria, poi il sax, poi il contrabbasso e infine il piano e il tema veniva eseguito soltanto alla fine della canzone. Holdsworth cambia la struttura del brano eseguendo il tema all’inizio e poi, accompagnato da Gary Willis, Kirk Covington e Gordon Beck, tuffandosi in un solo fluidissimo su una struttura di accordi in grado di mettere in difficoltà la maggior parte dei solisti.

I suoi esordi arrivarono nella scena progressive inglese dei primi anni Settanta, quando si aggregò ai Sunship; il primo disco lo registrò con i Nucleus, con i quali suonò nell’album Belladonna; subito dopo registrò l’album d’esordio dei Tempest e successivamente collaborò con i mitici Soft Machine e con Jean Luc Ponty; quello che viene considerato il suo album d’esordio, Velvet Darkness (1976), è invece soltanto la registrazione e la riproposizione di una serie di session in studio che vennero poi riconfezionate dalla sua casa discografica e distribuite, a quanto pare, senza la sua autorizzazione. In quegli anni partecipò alla superband UK di Bill Bruford (ex Yes) insieme al tastierista / violinista Eddie Jobson e al bassista John Wetton che registrò nel 1978 un album omonimo considerato una pietra miliare del genere. Ma lo stesso Holdsworth non sentì mai veramente sua quella band e decisivo per la sua carriera fu l’incontro con il pianista Gordon Beck, con cui registrò gli album Sunbird e The things you see prima di I.O.U. che lo fece conoscere al mondo intero come virtuoso della chitarra e studioso di tecniche innovative che i chitarristi in voga nell’epoca imitavano e invidiavano.

Allan Holdsworth, la poesia e la leggenda

Road Games, l’anno successivo, viene prodotto grazie alla sponsorizzazione di Eddie Van Halen, che nelle interviste lo presenta come “il più grande chitarrista del mondo” mentre del 1985 è Metal Fatigue, album complicato e registrato dopo il suo trasferimento in California. Atavachron invece è importante perché nel disco Holdsworth suona il Syntaxe, un guitar synth che diventerà poi il suo marchio di fabbrica negli anni successivi. Sand, Secrets e Wandercliff Tower sono i tre lavori successivi e portano nel 1993 ad Hard Hat Area, dove spicca tra le composizioni Ruhkuhkah , con l’introduzione considerata un marchio di fabbrica dell’utilizzo delle tecniche chitarristiche da parte di Allan Holdsworth.

Il disco None Too Soon ha invece una storia più curiosa. Alcuni critici di Holdsworth infatti tendevano a sminuire le sue capacità artistiche segnalando che spesso le basi di accordi su cui suonava fossero relativamente “semplici”, ovvero costruiti apposta per lasciarlo libero di improvvisare. La sua risposta fu un album in cui si divertì ad affrontare una serie di standard jazz e musica altrui nella quale dimostrò di trovarsi a suo agio nella stessa maniera delle sue composizioni. Dopo Countdown e l’omaggio a Django Reinhardt Nuages infatti Holdsworth suona versioni meravigliose di How deep is the ocean, Isotope e Inner Urge e una tenerissima e progressive Norvegian Wood dei Beatles; ma soprattutto regala una versione meravigliosa – con il tema suonato da Willis – della Very Early che consacrò il jazz di Bill Evans.

Subito dopo The Sixteen Men of Tain, che chiuse il suo decennio, la produzione artistica di Holdsworth rallentò a causa di una serie di problemi personali; negli anni duemila registrò due album live (All night Wrong e Then) e suonò molto dal vivo in gruppi di improvvisazione collettiva. Il suo ultimo album fu Blues for Tony, dedicato a Tony Williams, nel 2009.

Potrebbe interessarti anche