Fact checking
Cosa ci insegna il post in cui il PD ammette di non aver saputo riconoscere un fotomontaggio
di Giovanni Drogo
Pubblicato il 2018-01-08
Se qualcuno aveva ancora dei dubbi che quella del PD contro le fake news fosse una battaglia da campagna elettorale la conferma è arrivata ieri quando il PD non si è accorto di aver diffuso una notizia falsa. E già che chi siamo, che fine ha fatto il rapporto quindicinale sulla disinformazione a cura del Partito Democratico? E la piattaforma Bob?
Il 12 dicembre 2017, quasi un mese fa, veniva pubblicato il primo numero del Report disinformazione, il rapporto periodico del Partito Democratico su fake news e misinformation. Nelle intenzioni del PD la pubblicazione del rapporto doveva essere quindicinale, ovvero ogni quindi giorni. A quanto pare però l’argomento è stato dimenticato. Sul sito di Democratica l’ultimo articolo sulla disinformazione risale al 14 dicembre. Di fake news invece si è continuato a parlare (ad esempio per la questione dei sacchetti della spesa), tuttavia senza fornire l’immagine d’insieme che il rapporto prometteva.
La figuraccia del PD sul falò con la bandiera del Partito Democratico
Il problema delle fake news e della disinformazione non è tanto quella di pubblicare rapporti quanto di saper riconoscere il vero dal falso. In fondo il gioco è tutto qui, ci sono cose vere e ci sono cose false. Poi ci sono le interpretazioni dei fatti e degli eventi. Ieri il PD però ha dato prova di non saper riconoscere un’immagine elaborata al computer da una foto vera.
Il post è rimasto online solo per qualche minuto, giusto il tempo per gli utenti di far notare che il post (di cattivo gusto) condiviso dalla senatrice Paola De Pin. La De Pin ha postato la foto di un tipico falò (o panevin) della Befana con in cima una bandiera del Partito Democratico. Non è necessario essere esperti di Photoshop per accorgersi che la bandiera è stata aggiunta in un secondo momento.
Il post della De Pin è diventato virale ed è stato duramente criticato dalla sezione provinciale di Treviso del Partito Democratico. Che però aveva colto – pare – che l’immagine non era reale. Il PD di Treviso chiede infatti scusa per “un’immagine che di ironico ha ben poco”.
E non c’è dubbio che il post della De Pin, che implicitamente invita a bruciare il PD, sia non solo di pessimo gusto ma anche antidemocratico. A quanto pare però il PD nazionale ha creduto (nonostante i giornali locali parlassero di fotomontaggio) che si trattasse di un vero falò e che qualcuno avesse davvero messo una bandiera del Partito Demcratico in cima alla catasta di fascine pronta per essere data alle fiamme per l’Epifania. La De Pin ha fatto sicuramente una brutta figura, ma cosa dire di quel partito che lotta contro le fake news e che non è in grado nemmeno di effettuare quello che il grado zero del fact checking per verificare una notizia prima di scagliarsi lancia in resta contro un mulino a vento?
Renzi si è dimenticato di Bob e delle fake news?
A dirla tutta il Segretario del PD Matteo Renzi una settimana dopo la pubblicazione del Report aveva fatto una strana allusione ad un non meglio precisato collaboratore di Luigi Di Maio e a un’attività nel settore delle fake news. In un’intervista al Corriere della Sera Renzi aveva lanciato la “bomba”: «Mi colpisce che Di Maio non voglia fare un confronto con me: gli chiederei degli 80 euro e del Venezuela,certo. Ma potrei domandargli come spiega l’attività in questo settore di uno dei suoi principali collaboratori. Diamo tempo al tempo e vedrete a cosa mi riferisco». Era il 18 dicembre 2017, un po’ di tempo è passato ma il tema sembra essere stato dimenticato. Il Partito Democratico si limita a fare attività di debunking per sbugiardare questa o quella bufala. Niente a che vedere con l’inchiesta ad ampio respiro promessa dal Report disinformazione a cadenza quindicinale.
Sembra a questo punto abbastanza evidente che la lotta alla disinformazione e alle fake news sia stata accantonata. Come era prevedibile combattere la disinformazione e imparare a riconoscere le fake news aveva senso solo se si poteva dare la colpa agli avversari politici (M5S e Lega in testa). Una volta venuta meno la ragione d’urgenza l’argomento è stato dimenticato. E non è l’unica cosa che il PD renziano ha messo in soffitta. Vi ricordate di Bob? La App del PD che avrebbe dovuto in qualche modo fare da contraltare al “sistema operativo” a 5 Stelle Rousseau? Quando è stata lanciata, all’inizio dello scorso anno era stata presentata come “un nuovo modo di vivere il PD. Una porta aperta a tutti. Un ecosistema digitale unico, inclusivo, collaborativo. Per essere protagonista della storia”.
In realtà Bob non è nulla di tutto questo. È una app dove vengono rilanciati gli stessi contenuti che il PD pubblica su Facebook o su Twitter. Gli utenti possono partecipare votando ad esclusivi sondaggi come quello sulla legge Fiano, approvata dalla Camera il 12 settembre 2017 (e fermo in Commissione al Senato). La partecipazione? Inesistente. Bob è ancora una cantiere da quel punto di vista, solo che non si vedono lavori in corso. Ed è solo un caso che a maggio, quando Renzi annunciò che il progetto Bob “era pronto” il Segretario del PD usò queste parole: «sul web sta per iniziare la nostra controffensiva. Contro le falsità di chi ha fatto credere che fosse politica far diventare virali le fake news, guadagnandoci con la pubblicità». Ancora una volta un attacco a “chi ci guadagna con le fake news”. Salvo poi dimenticarsi di parlarne. Salvo poi non saper riconoscere un’immagine elaborata al computer.