Spieghiamo a Salvini perché la Regione Lombardia ha sbagliato tutto il possibile sull’emergenza Coronavirus

di Antonio Murzio

Pubblicato il 2020-04-08

“In Lombardia in tempi da record hanno aperto ospedali da campo, hanno trovato mascherine ovunque…”, “la Lombardia è la regione che ha ospitato l’anno scorso più ammalati dalle altre regioni d’Italia, oltre centomila…”. Matteo Salvini a DiMartedi diventa incredibilmente buono con la gestione dell’emergenza coronavirus del duo Fontana&Gallera. Ricordiamogli cosa ha dimenticato di dire

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“In Lombardia in tempi da record hanno aperto ospedali da campo, hanno trovato mascherine ovunque…”, “la Lombardia è la regione che ha ospitato l’anno scorso più ammalati dalle altre regioni d’Italia, oltre centomila…”. Matteo Salvini ieri è stato ospite “bilocale” (dote che per i credenti fino a ieri sera veniva attribuita a Padre Pio: l’essere presente in due luoghi contemporaneamente) di Giovanni Floris a DiMartedì, dove nella prima parte del collegamento ha detto che era in Senato dove aveva partecipato alla seduta della commissione Bilancio, verso la fine dell’intervista ha affermato che nel pomeriggio “ho aiutato mia figlia a fare i compiti di matematica su questo tavolo”, per cui non si capisce se il leader della Lega abbia acquisito poteri di ubiquità, se ha trasferito la famiglia a Roma o se la sua bambina i compiti li fa in Senato.

salvini a dimartedì lombardia coronavirus

Spieghiamo a Salvini perché la Regione Lombardia ha sbagliato tutto il possibile sull’emergenza Coronavirus

Comunque un piccolo peccato rispetto a tutto il resto, visto che il capo del Carroccio (dal suo spin doctor Morisi sembra partito l’ordine adesso di puntare sugli oltre centomila italiani “pirla” che l’anno scorso si sono curati in Lombardia, basta leggere i tweet di alcuni salviniani sfegatati), la situazione della sanità lombarda la conosce molto bene, dato che quasi tutti i posti chiave in ospedali, aziende sanitarie e istituti e centri di ricerca sono stati occupati da esponenti della Lega o comunque indicati da via Bellerio. Un’infografica pubblica il 18 dicembre 2018 dal Corriere della Sera spiega bene la lottizzazione della sanità lombarda: 30 direttori generali su 40, di cui 24 erano appannaggio del Carroccio e 14 di Forza Italia, mentre due andavano a Fratelli d’Italia.

Le nomine della sanità in Regione Lombardia
Le nomine della sanità in Regione Lombardia (Corriere della Sera, 18 dicembre 2018)

Sul fatto che, come ha affermato ieri Salvini in tv, la Lombardia ha trovato mascherine ovunque, a smentire il leader della Lega potrebbero bastare i cartelli che continuano a rimanere affissi agli ingressi delle farmacie “mascherine non disponibili” anche dopo che il governatore Fontana ha emanato l’ordinanza che obbliga tutti ad uscire di casa indossandola e lo stesso si è premurato di avvisare i lombardi, “se non le avete potete coprirvi naso e bocca con un foulard o con una sciarpa”.

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Sulla questione mascherine, conviene andare a rileggersi quanto scritto da Andrea Sparaciari su Business Insider il 16 marzo:

“… Regione Lombardia, a metà febbraio – quindi a emergenza già in atto – ha bloccato tutti i singoli ordini di presidi medici inviati in precedenza dalle sue propaggini amministrative (Asst, ospedali, ecc…), centralizzando gli acquisti nell’Azienda Regionale per l’Innovazione e gli Acquisti (Aria Spa). Una procedura che ha avuto come conseguenza un ritardo oggettivo negli approvvigionamenti, anche perché si è subito dimostrato più difficoltoso il reperimento di grandi stock di materiale, rispetto a di ordini di minor grandezza. Inoltre, con l’avanzare del contagio a livello globale, si è fatto sempre più difficile trovare fornitori con magazzini pieni. E infine i prezzi sono schizzati alle stelle. In seguito – e questo lo ha scoperto l’inchiesta di Fabrizio Gatti su “L’Espresso” – è accaduto che il Pirellone ha firmato un ordine per 4 milioni di mascherine che – aveva assicurato il governatore lombardo Attilio Fontana – sarebbero dovute arrivare entro il 27 febbraio. Ma quelle mascherine non sono mai giunte, tanto che il 2 marzo il maxi ordine viene annullato dalla Regione. Secondo la versione ufficiale perché il “fornitore non è stato in grado di adempiere agli obblighi assunti”. Secondo il giornalista perché le aziende scelte dal Pirellone non producevano più quel tipo di presidi medici. Quindi un ordine sbagliato.

“L’ordine di quattro milioni di mascherine è stato annullato (…) dalla centrale di committenza regionale, in quanto il fornitore non è stato in grado di adempiere agli obblighi assunti. Sono stati perfezionati ulteriori ordini con una serie di altri fornitori per i quantitativi di mascherine necessari. L’acquisizione dei dispositivi sta avvenendo presso diversi operatori economici e, alla data di lunedì, abbiamo già ricevuto e distribuito 57.440 mascherine tipo ffp2; 22.620 tipo ffp3 e 496.600 chirurgiche”, aveva risposto ufficialmente il Pirellone a L’Espresso”.

Il miracolo dell’ospedale alla Fiera di Milano

Per quanto riguarda la velocità della Lombardia nell’attrezzare ospedali da campo, Salvini ignora o più verosimilmente finge di non saperlo che i due ospedali tirati su in tempi record sono stati solo quelli alla Fiera di Bergamo, allestito dagli alpini, e quello fuori dall’ospedale di Cremona donato da Samaritan’s Pursue, una organizzazione umanitaria cristiana evangelica statunitense, che con i suoi medici e le sue attrezzature si è messa a disposizione per dare una mano e salvare vite in una delle zone più colpite dal Coronavirus. E dove operano i medici della tanto odiata dai sovranisti Emergency di Gino Strada.

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Si è rivelato meno “miracoloso” di quanto annunciato il maxiospedale in Fiera che doveva essere il fiore all’occhiello del duo Fontana-Gallera. Inaugurato con la figuraccia di avere una sessantina di persone accalcate senza il rispetto della distanza di sicurezza, al 4 aprile i posti attivati erano solo 24 in un ospedale che era stato annunciato di 600 posti. Lo spiega quel giorno un articolo di Marco Palombi sul Fatto quotidiano:

“Curiosamente, la difficoltà di Fontana e soci è venuta fuori grazie a un’offerta avanzata al presidente del Piemonte, Alberto Cirio, centrodestra anche lui: in sostanza, giovedì la Lombardia ha messo a disposizione del Piemonte 53 posti nel nuovo ospedale –pronti tra 10-15 giorni –per sgravare le terapie intensive, a patto però che medici e infermieri per gestirli fossero trovati dai piemontesi. Giusto, ha pensato Cirio, che s’è subito rivolto al governo per avere il personale dalla task force di volontari dalle altre regioni (domani, per dire, arrivano altri 100 infermieri nelle aree più colpite). Qui, però, la faccenda s’è complicata.

In una riunione ieri mattina, infatti, i lombardi hanno preteso –per consentire alla cosa –uno staff composto anche da sei anestesisti ogni 7 letti: un numero enorme e per una categoria difficilissima da reperire in questo momento (ad oggi in Regione ne sono stati inviati una quindicina). Il governo s’è detto disposto a fornire al Piemonte circa 30 medici e 50 infermieri: insomma, sei o sette anestesisti per 53 posti, non certo cinquanta. Basti dire che l’ospedale della Fiera di Bergamo(quello degli Alpini)aprirà lunedì i primi 35 posti gestiti da 14 medici e 45 tra infermieri, Oss e fisioterapisti.

Il risultato è arrivato in serata: Cirio s’è sentito preso in giro e ha risposto un perfido “no, grazie per il bel pensiero”, ma ce la facciamo da soli; medici e infermieri in più andranno direttamente in Piemonte e si troverà il modo, nel caso, di aumentare i letti direttamente lì. Fontana dovrà trovare altrove i professionisti necessari a far funzionare il suo ospedale spot: non fa prima a chiederli anche lui al governo o il problema è che poi non può più lamentarsi?”

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Salvini da Floris ha evitato accuratamente di parlare della situazione delle Rsa e della mancata istituzione della zona rossa nella bergamasca, che solo da poche ore l’assessore lombardo al Welfare Gallera ha scoperto si sarebbe potuta fare con un decreto della Regione. Il senatore leghista non ha proferito parola sulle morti al Pio Albergo Trivulzio di Milano, per il quale lo stesso Fontana ieri ha annunciato la nascita di due commissioni di inchiesta e sule quali è aperto un fascicolo in procura che è nelle mani del pm Tiziana Siciliano che si occupa dei reati relativi alla salute pubblica.

giulio gallera pio albergo trivulzio dato confortante

 

Gli errori della Regione Lombardia sul Coronavirus

Il 26 marzo il Fatto Quotidiano già riepilogava in un articolo a firma di Davide Milosa e Maddalena Oliva i dieci errori della Regione Lombardia sul Coronavirus SARS-COV-2 e su COVID-19, con la la pletora di “sottovalutazioni del rischio e incapacità organizzativa” di Attilio Fontana e Giulio Gallera:

1. Gli incontri a Roma. L’Unità di crisi di Regione Lombardia si è addirittura riunita il 9 gennaio perla prima volta. Cosa si decide? Fino al 20 febbraio ben poco.

2. Prevenzione inesistente. Manca un piano pandemico regionale: sul sito,l’ultimo disponibile è quello contro il virus N1H1. Data: 2009.

3. Ospedalizzazione di massa. Quando scoppia il “caso Mattia”, la battaglia è già impari. Il virus è ovunque in Lombardia. Le terapie intensive vengono invase e, nonostante se ne fosse parlato a livello centrale già tre settimane prima, la Regione punta sugli ospedali. “È stato un disperato inseguimento all’ospedalizzazione, ma le epidemie non si vincono negli ospedali:quando arrivano lì sono già perse”, spiega una fonte molto qualificata. Con la logica dei più ricoveri possibili, dimenticando la medicina sul territorio, gli ospedali sono andati in collasso.

4. Ospedali veicoli di contagio “accidentale”.La scelta della Regione ha trasformato i presidi sanitari in vettori per la diffusione del virus anche tra gli operatori. Tanto che la percentuale degli infetti tra i medici in Lombardia è la più alta (13%, a livello nazionale è il 9%). I casi degli ospedali di Codogno e di Alzano Lombardo (Bergamo) –chiuso dopo i primi casi e poi inspiegabilmente riaperto –hanno dimostrato che, nonostante le buone prassi di medici e infermieri, il virus ha viaggiato dal pronto soccorso ai reparti.

5. Mancate zone rosse. Nei primi giorni di crisi il Basso Lodigiano diventa zona rossa. Il “modello Codogno” funziona. La Regione però tergiversa sul focolaio della bassa Valseriana, dove i casi sono ormai esplosi. “È evidente –spiega il professor Massimo Galli d e l l’ospedale Sacco –che la chiusura di Nembro e Alzano avrebbe ridotto la diffusione”.

6. I medici inascoltati. Un medico di Bergamo –lo ha raccontato il Wall Street Journal– il 22 febbraio ha provato a farsi ascoltare, mandando una lettera in Regione per consigliare la costituzione di strutture Covid dedicate. La Regione rispedirà al mittente la proposta, salvo ripensarci giorni dopo. Un gruppo di medici sempre di Bergamo scrive al New England Journal of Medicine: “Questo disastro poteva essere evitato con un massiccio spiegamento di servizi alla comunità, sul territorio”.

7. Nessuna sorveglianza epidemiologica. Non c’è stata, fino a ora, nessuna mappatura epidemiologica, attraverso la ricostruzione dei contatti dei positivi.

8. Tamponi ai sanitari.Tra i target sfuggiti c’è la categoria più esposta: il personale sanitario. Spiega Stefano Magnone, medico a Bergamo e segretario regionale dell’Anaao : “All’inizio i tamponi venivano fatti anche al personale asintomatico. Molti erano negativi e il problema è stato sottovalutato. Adesso si mandano al lavoro medici con febbre non superiore a 37,5 e senza nemmeno fare loro il tampone. Forse perché si teme che i positivi siano così tanti, da sguarnire ulteriormente di personale i presidi ospedalieri”.

9. Personale non sufficiente. Dicono i medici in trincea: se tu Regione mi fai aumentare i posti letti in terapia intensiva, ma il personale resta sempre lo stesso, allora mi uccidi. Se non di virus, di fatica.

10. La vocazione al privato. Il “peccato originale”de l modello Lombardia. Una galassia, quella del privato accreditato che, tranne alcune eccezioni, non sembra aver risposto a questa emergenza.

Il disastro coronavirus era già scritto in un audit del 2010 mai applicato, come spiega sempre Andrea Sparaciari su Business Insider in un articolo del 6 aprile.

https://www.nextquotidiano.it/fontana-senza-medici-ospedale-alla-fiera-di-milano/

La delibera è del 22 dicembre 2010 e ha per oggetto “Conclusione fase 6 pandemia influenzale da virus A/H1N1: valutazione e indicazioni operative”, Presidente della Giunta era Roberto Formigoni, suo vice il leghista Andrea Gibelli (in seguito diventerà presidente della holding regionale Ferrovie Nord Milano) con Luciano Bresciani assessore alla Sanità -, in cui attraverso un audit vengono evidenziate le lacune del Piano Pandemico Regionale messo in atto nel 2010, per contrastare l’influenza suina.

Nella delibera approvata, in calce all’audit, si indica “una attenta riflessione ed analisi per procedere ad una eventuale “manutenzione” del Piano Pandemico Regionale, affinché si faccia tesoro delle criticità insorte e delle soluzioni individuate nel corso d’opera e ritenute più adeguate all’evento rispetto a quelle programmate nel piano”.

Scorrendo l’audit allegato alla delibera è impressionate come le criticità evidenziate corrispondano a quelle indicate dalla cronaca di questi giorni e soprattutto dalle accuse mosse a Regione da medici e direttori Rsa.

L’analisi del Piano Pandemico di Regione Lombardia evidenziava la necessità di creare un sistema di rilevazione accurata degli accessi ai pronto soccorso, di ricoveri e mortalità su tutto il territorio, anche con campioni di popolazione. Cosa che non è avvenuta.

Altre due criticità evidenziate dall’analisi del Piano pandemico, la necessità di avviare un incremento dell’assistenza domiciliare (pag. 9) e di definire un accordo quadro con i gestori delle Rsa per un aumento dell’assistenza medica e infermieristica.

Infine il tema dei presidi sanitari mancanti,. La delibera, a pag. 10, alla voce Misure generali, individuava nelle Asl il soggetto deputato, tra le altre cose, all’approvvigionamento, stoccaggio e distribuzione di mascherine, camici, guanti e quant’altro. Ma le “Asl nel 2015 sono sparite – scrive Sparaciari , divenendo Ats (Agenzie di tutela della salute), si sono cioè trasformate da braccio attivo della politica sanitaria ad agenzie di mero controllo burocratico e amministrativo (da qui il temine “agenzia”) sull’attività degli ospedali. Il loro ruolo è stato trasferito ai nosocomi (divenuti contemporaneamente ASST, Aziende socio sanitarie territoriali), senza che però fossero passati loro tutti quei compiti operativi originariamente in capo alle Asl”.

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La delibera della Regione Lombardia

La Regione Lombardia non ha mai dato seguito all’audit che aveva commissionato. I risultati oggi sono sotto gli occhi di tutti, tranne di chi non vuol vedere. Come Salvini.

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