Perché non è stato il coraggio ma la paura a cacciare Casapound dal Salone del Libro

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2019-05-09

Con le migliaia di motivazioni (politiche) che avevano per rifiutare di concedere lo spazio prima o per prendere posizione dopo le prime uscite, “la paura di finire sui giornali” è quella più squallida

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Comunicato del Salone del Libro, due giorni fa: “Materia della magistratura, quindi, è giudicare se un individuo o un’organizzazione persegua finalità antidemocratiche. È pertanto indiscutibile il diritto per chiunque non sia stato condannato per questi reati di acquistare uno spazio al Salone e di esporvi i propri libri”.

Comunicato del Salone del Libro, ieri: “Il Salone rende esecutiva la richiesta” di Chiara Appendino e Sergio Chiamparino.

In mezzo c’è un’istituzione per la quale vale la battuta che è buona per i politici: ha delle idee, ma se non vi piacciono ne ha delle altre.

Perché non è stato il coraggio ma la paura a cacciare Casapound dal Salone del Libro

Non è stato infatti il coraggio, ma è stata la paura a cacciare l’editrice Altaforte, vicina a Casapound, dal Salone del Libro di Torino. Chiamparino e Appendino hanno infatti motivato la decisione così:

Inizialmente abbiamo fatto prevalere le ragioni della contrattualistica privata, ma a fronte di un crescendo di esternazioni fatte dagli animatori della casa editrice Altaforte, alcuni dei quali si definiscono militanti di Casa Pound, esternazioni che hanno turbato e offeso ancora di più i valori intorno a cui si riconosce la comunità del Salone del Libro, abbiamo presentato un esposto alla Procura della Repubblica. A fronte dell’esposto sono arrivate dichiarazioni ancora più provocatorie da parte degli animatori della casa editrice Altaforte.

In seguito a tutto questo Halina Birenbaum, testimone attiva dell’Olocausto, invitata dal comitato editoriale a tenere una lezione agli studenti inserita nel programma del Salone, quest’oggi ha dichiarato che non avrebbe fatto ingresso al Lingotto se la casa editrice Altaforte avesse avuto uno stand al Salone del Libro, e avrebbe tenuto la sua lezione fuori dal Salone, recando tra l’altro al Salone del Libro e alla città di Torino un grave danno d’immagine. Tra le ragioni di una testimone attiva dell’Olocausto e quelle di Altaforte, facciamo prevalere le prime, ricordando che Torino è insignita della medaglia d’Oro al valor Militare per la Resistenza contro il nazifascismo.

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L’esposto di Chiamparino e Appendino

Ma l’esposto non bastava per muoversi e questo i protagonisti della vicenda lo sapevano benissimo. Perché, come raccontano i retroscena delle cronache torinesi, da due giorni Chiamparino e Appendino erano alla ricerca di una motivazione valida per cancellare il contratto con Altaforte, non l’hanno trovata e alla fine hanno agito lo stesso. Scrive Repubblica in un articolo di Ottavia Giustetti:

L’iscrizione di Polacchi nel registro degli indagati non è sufficiente per rescindere il contratto con Altaforte. Il Comitato tenta allora la carta del prefetto Claudio Palomba, che il giorno prima ha deciso il via libera al trasloco della casa editrice dall’Oval e dalla zona della Sala Oro al Padiglione 3. Biino e Rebola lasciano la Regione per andare alle Officine Caos all’evento inaugurale, curato dal consulente di Lagioia che sabato ha dato il via al can can, dimettendosi: Christian Raimo.

Chiamparino, Appendino, Lagioia e Viale attraversano piazza Castello e raggiungono la Prefettura per un ultimo confronto. Ma dopo un’altra ora arriva il responso: non ci sono ragioni di ordine pubblico e non saranno né lui né il questore Giuseppe Dematteis a togliere le castagne dal fuoco al Salone. Il gabinetto di guerra torna e si rassegna alla soluzione politica: le istituzioni chiedono lo scioglimento del contratto alla luce della situazione che si è venuta a creare, che rende impossibile lo svolgimento della prevista lezione agli studenti di Halina Birenbaum, sopravvissuta ai campi di concentramento.

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Ma c’è di più. Perché il Corriere della Sera Torino va ancora più a fondo e spiega che a spingere i responsabili a muoversi è stata la paura di finire sui giornali dopo l’aut aut del Museo di Auschwitz:

È cominciata così «la giornata più lunga della mia vita» di Nicola Lagioia, direttore della kermesse. Con l’immagine di Halina Birenbaum,sopravvissuta ai campi di sterminio di Auschwitz- Birkernau, stampata in prima pagina sui giornali internazionali: The New York Times, The Guardian, Le Monde. Lei, la deportata numero 48.698, fuori dal Salone. Invece dentro ci sarà Altaforte, la casa editrice vicina a CasaPound, il cui capo, Francesco Polacchi, già sotto processo per violenze e ora indagato anche per apologia del fascismo.

Un’immagine dolorosa che ha gettato nel panico Nicola Lagioia e il suo staff. «O noi o loro», ribadiscono i direttori del Museo di Auschwitz Piotr Cywinski e il presidente del Treno della Memoria Paolo Paticchio, i cui appelli sembrano però cadere nel vuoto.

Ecco quindi che abbiamo chiara la situazione. «Se non cacciate i fascisti significa che siete complici» aveva detto al Corriere Torino Halina Birenbaum. Hanno cacciato i fascisti e non sono complici, ma con le migliaia di motivazioni (politiche) che avevano per rifiutare di concedere lo spazio prima o per prendere posizione dopo le prime uscite, “la paura di finire sui giornali” è quella più squallida. E intanto Polacchi, l’editore di Altaforte, annuncia che oggi si presenterà comunque: “Alle 10 sarò al Salone del Libro di Torino per ribadire che la logica di Altaforte non si piega al pensiero unico. “Se avete a cuore la libertà d’espressione vi aspetto. I libri non devono conoscere censura”

 

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Leggi anche: Quando Casapound esultava perché andava al Salone del Libro

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