Economia

La strategia del M5S su referendum sull'euro e fiscal compact (è incomprensibile)

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2017-07-04

I grillini vogliono un ricorso a Strasburgo anti-fiscal compact, anzi no: Minenna, che lo propone, «parla a titolo personale». Poi vogliono il referendum per uscire dall’euro, anzi no: «Il tema va deideologizzato: facciamo un po’ di deficit per fare investimenti». La strategia è chiarissima: dire tutto e il contrario di tutto, tanto le parole se le porta via il vento

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Ieri alla Camera si è svolto un convegno su debito pubblico e fiscal compact organizzato dal MoVimento 5 Stelle coordinato da Marcello Minenna e Alberto Bagnai alla presenza di Beppe Grillo e Davide Casaleggio. Per i grillini è stata l’occasione per ricucire i rapporti con Wolfgang Münchau, il giornalista del Financial Times che li aveva definiti “ciarlatani” insieme a Marine Le Pen per l’assurda proposta di referendum sull’euro che, come è stato spiegato un po’ da tutti, porterebbe al panico sui mercati finanziari.

La strategia del M5S su euro e fiscal compact

Münchau stesso, in un’intervista a Repubblica, è tornato oggi a spiegare l’ovvio, ovvero che «Se indici un referendum, in un minuto crei il panico nei mercati finanziari. Quando si decide una cosa del genere, bisogna avere chiara la strategia e farlo senza dirlo prima. Nel momento in cui le persone scoprono che quella è la strada, devi agire, non puoi aspettare. È come una guerra: non dici che vuoi invadere un altro Paese sei mesi prima». E l’invito forse è una riparazione dopo il «Münchau chi?» che il blog di Beppe Grillo gli dedicò come risposta.

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Cosa prevede il fiscal compact (Il Messaggero)


Il problema del giorno però è il fiscal compact. Sulla base del trattato ogni Paese ha l’obbligo di perseguire l’obiettivo del pareggio di bilancio e della riduzione del rapporto tra debito pubblico e Pil. Il Fiscal Compact, già approvato dal parlamento italiano, deve essere internalizzato nei trattati europei. L’accordo deve essere ratificato in autunno e già Matteo Renzi qualche tempo fa disse che l’Italia era pronta a mettere il veto. A quanto pare sarà questa anche la battaglia d’autunno del Movimento: chiedere che il Fiscal compact non venga ratificato e che si possano prevedere investimenti extra deficit. E portare un accordo considerato insano, e a tratti illegale, davanti alla Corte di Giustizia europea.

Il fiscal compact è illegale?

Anzi, no. «Bisognerà fare ricorso alla Corte di Giustizia europea. E poi no, non bisogna ratificarlo», ha detto ieri Marcello Minenna: «Si può chiedere un’interpretazione autentica alla Corte di giustizia europea sul Fiscal compact, che va ratificato a fine anno. A mio avviso si possono trovare profili di irregolarità formale, contrari ai principi europei». Ma Luca De Carolis sul Fatto Quotidiano dice che una fonte di peso del M5S sostiene che “su questo Minenna ha parlato a titolo personale”.

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Il principio generale del Fiscal Compact (ANSA-Centimetri)


E allora di cosa parliamo? Jochen Andritzky, segretario generale del Consiglio di esperti economici del governo Merkel, invitato al dibattito, con il Messaggero ha bocciato l’idea di salutare il fiscal compact: «Le regole possono solo rinforzare la credibilità della finanza pubblica italiana e la fiducia degli investitori. Dove tracciate la linea di demarcazione sugli investimenti da escludere dal fiscal compact? È molto difficile discriminare cosa è investimento da cosa non lo è». E sulla moneta fiscale: «È un’idea di ingegneria economica, ma è difficile che funzioni. Purtroppo non esistono soluzioni semplicistiche».

Il referendum sull’euro è passato di moda

Insomma il M5S vuole che non si ratifichi il fiscal compact, ma come sappiamo la maggioranza in parlamento attualmente non è grillina. Ci vorrà quindi un accordo con il Partito Democratico per rendere fattibile la strategia. E il referendum sull’euro? Luigi Di Maio dice che non è quello il punto: «Oggi la discussione non è euro sì o euro no, il tema va deideologizzato: io dico facciamo un po’ di deficit per fare investimenti ma intanto facciamoci anche rispettare nelle sedi europee: cominciamo dai migranti». E se non si riesce a vincere la battaglia a Bruxelles,recita il libretto di sala «la discussione andrà portata sul tavolo dei partner continentali».

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Marcello Minenna con Virginia Raggi


Insomma, un po’ come Giorgetti che corregge la linea della Lega Nord, anche qui comincia a registrarsi un’inversione di rotta sui temi più deflagranti a livello europeo. Una ritirata organizzata. Sempre Münchau, racconta Stefania Piras sul Messaggero, si dice scettico sulla «serietà» della proposta di un’Italexit: «Sarebbe una questione enorme, ci sarebbe da cambiare tutto il sistema bancario ed economico,c’è da essere preparati». Già, preparati.

Perché il fiscal compact è un problema

A scanso di equivoci bisogna dire che il fiscal compact è davvero un problema. Questo perché impone di ridurre il deficit strutturale dello 0,5% l’anno. Il pareggio di bilancio strutturale, calcolato al netto del ciclo e delle una tantum, era previsto in origine nel 2014 ma è slittato al 2019. All’Italia il Fiscal Compact fa paura perché chiede che venga ridotta di un ventesimo la parte del rapporto debito pubblico/Pil che supera il 60%. Il che si traduce (a parametri di debito, Pil e inflazione invariati) in manovre da oltre 50 miliardi di euro l’anno.
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Keynesblog ha calcolato qualche tempo fa l’ammontare del fiscal compact negli anni a venire secondo quanto ci siamo impegnati a fare. «Su questa base, piuttosto ottimista, abbiamo calcolato a quanto dovrebbe ammontare l’avanzo primario nei conti pubblici per poter arrivare, nel 2035, all’obiettivo di rapporto debito / Pil pari al 60%. Come si vede dalla tabella, l’ammontare assoluto del debito continuerebbe a crescere fino al 2021 per calare soltanto in seguito. Ma, soprattutto, per portare nell’arco del periodo esaminato l’incidenza del debito pubblico al 60% del Pil, occorrerebbe realizzare (e mantenere per quasi vent’anni) un avanzo primario non inferiore al 4,5% del prodotto (comunque supposto in crescita in termini monetari). E tale risultato dovrebbe essere ottenuto mediante un maggior prelievo fiscale ed una minore spesa pubblica con ricadute devastanti sulla dinamica del PIL, che ben difficilmente potrebbe mantenersi sul ritmo di crescita ipotizzato dell’1,6%». Ecco perché la battaglia per il fiscal compact è giusta, e non a caso unisce Renzi e il M5S. Ma a tutti e due andrebbe chiesto: come intendono ottenere quello che vogliono senza rompere con il resto dell’Europa? È questa la risposta che manca. E minacciare un referendum se dicono di no non è la risposta esatta.
Foto copertina da Il Fatto Quotidiano

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