Fact checking
La disfida dei decimali tra governo e UE
di Alessandro D'Amato
Pubblicato il 2018-11-27
Nell’esecutivo c’è chi non vuole cambiare la Manovra ma soltanto spostare soldi da una parte all’altra. E a Bruxelles c’è chi dice che non basterà in ogni caso
Nessuno si attacca ai decimali, per carità. Dev’essere per questo che dopo l’annuncio di ieri che ha frenato lo spread il governo Lega-M5S ha frenato sulla questione del deficit/PIL da far scendere al 2,2% per rendere digeribile la Manovra del Popolo a Bruxelles. E adesso s’avanzano due ipotesi diverse su come verrà impostata la trattativa con Bruxelles.
La disfida dei decimali tra governo e UE
La prima è quella che già circolava ieri e riguardava i risparmi da ottenere posticipando la realizzazione delle misure più costose, ovvero Quota 100 e Reddito di Cittadinanza. Varandole più in là rispetto all’inizio dell’anno si ottengono circa 3,4 miliardi di “risparmi” che andrebbero a ridurre il deficit/PIL di un paio di decimali. La seconda è quella che si è materializzata in serata: ok ai 3,4 miliardi in meno per le due misure, ma i soldi verranno spesi lo stesso trasferendoli agli investimenti e/o al taglio delle tasse. In questo modo il numero finale (il 2,4%) rimarrebbe lo stesso e M5S e Lega potrebbero sostenere di non aver obbedito a nessuno ma soltanto rimodulato gli squilibri contenuti nella Manovra del Popolo.
Ma un problema politico si aprirebbe comunque: per il reddito di cittadinanza già oggi le risorse stanziate dicono che c’è un’enorme differenza tra quanto promesso dal M5S in campagna elettorale e la realtà. E anche per Quota 100 i paletti che la maggioranza vuole alzare ridurranno la platea dei beneficiari. Il rischio è che i provvedimenti che dovevano costituire un volano per le elezioni europee e per il futuro del governo Lega-M5S finiscano sotto accusa quando la gente si sarà fatta perbene i conti.
Lo spread e il governo
Il governo si è comunque accorto del fatto che soltanto ventilare un accordo con l’Unione Europea ha fatto scendere lo spread e calare la pressione sulle banche. Ma sa anche che la situazione potrebbe precipitare nel fronte interno per fare pace con quello estero. Per questo ieri la riunione ristretta tra Conte, Tria e i leader non ha prodotto un annuncio preciso: l’idea è quella di prendere tempo, concedersi altra “melina” prima di abbassare realmente il rapporto deficit/Pil sotto l’attuale previsione del 2,4 per cento. Tanto più che il Tesoro deve ancora mettere a punto le tabelle su reddito di cittadinanza, pensioni e su tutte le altre misure eventualmente da rimodulare per accontentare l’Europa.
Secondo il Corriere della Sera invece dei 3/3,5 miliardi di risorse da ridistribuire tra i capitoli del bilancio un terzo dovrebbe essere destinato a investimenti e due terzi a interventi scomputabili ai fini del deficit. E così, con ogni probabilità saranno ascoltate le segnalazioni di criticità provenienti dai Comuni riguardo a ponti, strade, infrastrutture sensibili: dopo la tragedia di Genova le denunce di problemi si sono moltiplicate esponenzialmente. Una tranche servirà alla sospensione delle tasse per gli alluvionati. E poi, piani per la scuola: potenziare il tempo pieno nelle regioni del Sud.
Ma all’Europa basterà?
Tutt’altra questione è però sapere se tutto questo servirà a cancellare la procedura d’infrazione o no. E qui bisogna affidarsi ai retroscena: secondo Marco Bresolin sulla Stampa al di là della terminologia, resta la sostanza: la Commissione non vuole trovarsi invischiata in un mercanteggiamento sui decimali di deficit.
Dombrovskis e Moscovici sono stati chiari: il problema non è tanto il livello del deficit nominale, ma piuttosto il percorso di quello strutturale (calcolato al netto del ciclo economico e delle una tantum). Secondo le stime della Commissione, considerati tutti i possibili margini di flessibilità e di interpretazione delle regole, la manovra porta a uno sforamento superiore all’1,2% del Pil (21 miliardi).
E anche volendo utilizzare le stime del governo, il «deterioramento» da sanare vale lo 0,8% (14 miliardi). Ecco perché il passo da fare per evitare la procedura è «ben più ampio» di quello immaginato dal governo.
Il rischio è che il governo cambi o annunci il cambiamento della Manovra per poi trovarsi lo stesso a dover fronteggiare una procedura d’infrazione (che è sul debito e non sul deficit). Ma almeno a quel punto Roma potrebbe dare la colpa a Bruxelles della rottura.