L’offertona del governo Lega-M5S all’Europa

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2018-11-24

Conte e Tria vogliono spostare fondi da reddito e quota 100 per gli incentivi alle imprese e abbassare il deficit/PIL di 0,2. Ma Salvini e Di Maio non hanno intenzione di cedere. E allora che si cena a fare con Juncker?

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C’è una proposta di cambiare la Manovra del Popolo che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il ministro dell’Economia Giovanni Tria sono pronti a eseguire attraverso un emendamento che tocca i saldi della nuova legge di bilancio. E sposta risorse da Quota 100 e dal Reddito di Cittadinanza per far crescere di più il PIL.

L’offertona del governo Lega-M5S all’Europa

Conte e Tria vogliono gettare l’emendamento sul tavolo della trattativa con Jean Claude Juncker stasera. Sperano così di poter convincere il presidente della Commissione sulla procedura d’infrazione e hanno anche un’ultima carta da giocarsi sul tavolo: quella dell’abbassamento del deficit/PIL rispetto alla soglia del 2,4% comunicata in precedenza. Ma proprio qui c’è un ostacolo che il dinamico duo deve saltare e risponde al nome di Salvimaio. Spiega oggi Repubblica che l’emendamento in questione parte dal problema della bassa crescita, che invita a cambiare la manovra spostando fondi su risorse ad alto moltiplicatore rispetto al reddito di cittadinanza e a quota 100. I cui fondi verrebbero dimezzati (per partire più in là nel 2019?) per finire in sconti fiscali alle imprese e nel rafforzamento di Industria 4.0.

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I conti della manovra (Il Sole 24 Ore, 17 ottobre 2018)

La scelta di spostare fondi, politicamente, avrebbe un prezzo pesante per MoVimento 5 Stelle e Lega, soprattutto perché ridurrebbe la platea di beneficiari o aumenterebbe i tempi per il varo di provvedimenti-simbolo come il reddito di cittadinanza, per il quale proprio ieri Di Maio favoleggiava di sei milioni di tessere già date alle stampe per suo ordine. Ma non finisce qui, spiega il quotidiano:

L’altro punto, indispensabile per Bruxelles, è relativo alle quantità: il target programmatico del deficit-Pil dovrà scendere dal 2,4 verso il 2 per cento. Tenendo con
to che l’1,2 è il livello del deficit tendenziale, cioè in assenza di qualsiasi politica economica, per il 2019 e che per impedire l’aumento dell’Iva serve uno 0,7 di Pil si arriverebbe ad un livello di 1,9 per cento.

Si potrebbe salire al 2-2,1 per cento con la maggiore crescita dovuta ad un mix di interventi più efficace sul Pil e agli investimenti con la cabina di regia di Palazzo Chigi, ad una piccola manovra correttiva con rafforzamento delle coperture e ad un po’ di deficit concesso eventualmente da Bruxelles visto il nuovo quadro virtuoso. La tempistica, oltre alla quantità e alla qualità, sarebbe l’altro elemento chiave: si frenerebbe prima di sbattere al muro.

La linea del Piave: il deficit/PIL al 2,4%

Secondo questo schema nelle prossime settimane, durante il Comitato Economico Finanziario del 5 dicembre, la riunione della Commissione del 19 e l’Ecofin del 22 gennaio, il governo comunicherebbe le modifiche progressive alla Manovra del Popolo, rispondendo così alla procedura per debito punto per punto e smontando e rimontando il provvedimento in ogni suo ganglio vitale. E chiudendo così – o ridimensionando platealmente – la querelle con l’Unione Europea in attesa delle elezioni e dell’auspicato cambio di peso politico all’interno della Commissione. Un calcolo politico che però potrebbe finire a carte 48 perché se davvero i sovranisti europei dovessero vincere le elezioni ed entrare nella maggioranza che regge l’Europa il peso politico di Austria, Ungheria e anche della AFD tedesca verrebbe utilizzato contro la spesa in deficit dell’Italia e non a favore.

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Le previsioni su saldi e crescita nei programmi di bilancio dei 19 Paesi dell’Eurozona (Il Sole 24 Ore, 7 novembre 2018)

Cosa può andare storto? Molto, a prima vista. Perché non si capisce se Conte e Tria siano davvero nella posizione di poter fare promesse così impegnative, pur essendo il presidente del consiglio e il ministro dell’economia: Matteo Salvini, secondo i retroscena, non ha alcuna intenzione di mollare sul 2,4% di deficit/PIL e Luigi Di Maio pure: per entrambi il computo totale dello spostamento di risorse non deve superare i tre miliardi di euro. Il vicepremier leghista, spiegano Tommaso Ciriaco e Alberto D’Argenio, accetta di concedere uno o due dei sette miliardi previsti per la Fornero e spostarli su investimenti per la crescita. Un gioco contabile a costo zero, visto che al Tesoro si sono accorti che le risorse per il provvedimento – finanziato per 12 mesi, ma che partirà solo il 14 febbraio – sono state sovrastimate. Di Maio, invece, è pronto a rinunciare solo a 500 milioni del reddito di cittadinanza. Altri soldi, almeno mezzo miliardo di euro, saranno rintracciati nelle pieghe del bilancio. In tutto, tre o quattro miliardi (pari allo 0,2% del deficit) che però non potranno essere utilizzati per abbattere il 2,4% scritto in manovra. E allora dalle parti di Bruxelles cominciano a interrogarsi: ma che ceniamo a fare?

 

foto di copertina da Hipster democratici

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