Cosa rischia Pallotta con l’addio di De Rossi

di Mario Neri

Pubblicato il 2019-05-14

L’annuncio dell’addio del Capitano a fine stagione costituisce un errore sportivo e “politico” per la società giallorossa. Il risultato finale è la chiara saldatura tra i due fronti di tifosi… contro Pallotta. Che forse vuole vendere. E ha trovato il modo migliore per non farsi rimpiangere

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Secondo James Pallotta i tifosi della Roma dovrebbero scendere in piazza per lo Stadio. Dev’essere per invogliarli che oggi il CEO dei giallorossi Guido Fienga si è presentato in conferenza stampa con Daniele De Rossi per annunciare che la società ha deciso di non rinnovare il contratto al capitano della squadra.

L’addio della Roma a De Rossi

Nel giro di due anni gli americani si sono così “liberati” sia di Totti che di De Rossi, il quale ha confermato anche oggi che continuerà a giocare, declinando l’invito a entrare nell’organigramma societario.  Non solo: Capitan Futuro ha anche detto in conferenza stampa che si aspettava la decisione perché la società non lo ha contattato in questo ultimo anno in cui il suo contratto arrivava a scadenza, ma soltanto ieri pomeriggio gli ha comunicato la decisione.

In programma per De Rossi c’è un’altra festa come quella che salutò Totti dopo quel Roma-Genoa, ma stavolta sarà il Parma lo sparring partner dell’ultima di campionato. Sarà difficile però che la Roma nell’occasione conquisti anche la qualificazione in Champions League, come era accaduto all’epoca, vista la situazione di classifica dei giallorossi che oggi sono al sesto posto (ai preliminari di Europa League) e hanno davanti l’Atalanta e il Milan.

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Ma il punto è più che altro cosa significa questa decisione nella storia finora poco gloriosa della Roma americana. Non è un mistero infatti che attualmente la tifoseria sia divisa in due tra chi è a favore e chi è contro la proprietà. Si è visto all’epoca dei contrasti tra Totti e Spalletti e in tante altre occasioni, nelle quali lo stesso De Rossi si è schierato chiaramente in tempi non sospetti (parlando di “maiali con il microfono” e riferendosi a uno dei tanti conduttori di trasmissioni radiofoniche che quotidianamente criticano – e ok – ma inventano anche improbabili complotti sulla società).

Proprio a causa di queste uscite lo stesso De Rossi è stato oggetto di una macchina del fango strisciante in questi anni, tra chi gli dava dell’ubriacone (“Capitan Ceres“) e chi parlava dei suoi problemi familiari in maniera diffamatoria. Ma con questo addio, repentino quanto inaspettato sia per i tempi che per i modi che per le tante analogie con il caso di Totti, rischia di costituire una pietra tombale sull’intera gestione Pallotta.

Pallotta, De Rossi e lo Stadio della Roma

Perché non è un segreto che la proprietà abbia scommesso sullo Stadio della Roma a Tor di Valle per proiettare la società nell’alveo delle grandi d’Europa. Così come non è un segreto che la decisione di accettare il compromesso al ribasso con la Giunta Raggi per arrivare alla definizione di un accordo digeribile anche per i grillini, con il senno di poi (ma anche con quello di prima, per chi conosceva i suoi polli) non è stata una grande idea.

Subito dopo l’apertura delle inchieste sul sistema Parnasi infatti, e in spregio alle dichiarazioni tranquillizzanti della procura, l’iter autorizzativo si è impantanato in un rivolo di controlli e ricontrolli che non promette nulla di buono per il progetto. E Pallotta in questi anni di attesa ha reagito con dichiarazioni pubbliche sempre più nervose nei confronti della controparte, indubbiamente colpevole di allontanare i tempi di un investimento miliardario che ridarebbe vita a un quadrante della città morto.

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Non solo: dopo aver portato la Roma a risultati sportivi dignitosi, con l’ingresso in Champions League per un quinquennio e la ciliegina sulla torta della semifinale di Champions League due anni fa, la società ha clamorosamente fallito le scelte dei dirigenti sportivi (come Ramon Monchi) e degli allenatori, oltre che quelle nel calciomercato (anzi, l’errore nella scelta dei dirigenti ha causato l’errore nella scelta dei giocatori).

E alla fine il campo ha presentato il conto visto che quest’anno sarà molto difficile per la squadra riuscire a qualificarsi per l’unica competizione che rappresenta un guadagno sportivo (la Champions), con il risultato di dover tornare all’Anno Zero con una probabile rivoluzione nella rosa e un cammino in salita sia per la squadra che per i conti economici.

Un requiem per Pallotta

In questo quadro non idilliaco si inserisce la querelle De Rossi, che rischia di rappresentare il requiem per la gestione Pallotta. Alla Roma forse non se ne sono accorti, ma è stato dopo il lancio dell’hashtag #famostostadio che la vicenda Stadio ha avuto un’accelerazione decisiva. Perché il riversarsi di migliaia di tifosi sulle pagine facebook della sindaca e degli altri componenti della Giunta ha definitivamente convinto i grillini che era il caso di trovare un accordo con i giallorossi, se non altro per continuare ad attraversare le strade della Capitale senza rischiare di essere investiti da qualche tifoso imbizzarrito (si scherza, eh?).

All’epoca però a lanciare la campagna (orchestrata dalla società) furono non a caso Totti e Spalletti, ovvero i due volti più popolari della squadra. E non a caso all’epoca la squadra era lanciata alla conquista del posto in Champions League e, anche senza scalfire il dominio della Juventus, continuava ad avere risultati apprezzabili sul campo. Oggi invece l’addio di De Rossi arriva con una squadra in posizione di classifica traballante, con prospettive economiche (e quindi sportive) non esattamente ideali e dopo che si sono visti gli effetti della monetizzazione (affrettata, in molti casi) dei cartellini: Alisson e Salah, ex Roma, sono oggi in finale di Champions League con un’altra squadra (il Liverpool), Nainggolan è all’Inter che in tre stagioni ha recuperato un gap di decine di punti con i giallorossi e li ha sorpassati, altri calciatori si trovano nelle migliori squadre d’Italia (Pjanic) o d’Europa (Rudiger).

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Alla Roma invece il deserto lasciato dalla gestione criminale di Monchi ha portato la gran parte della tifoseria a rivoltarsi contro la società. Giustamente, perché da che mondo e mondo il pesce puzza dalla testa e sono i dirigenti deputati alla gestione sportiva i colpevoli dell’attuale disastro. In questo quadro l’addio di De Rossi, che ha portato a criticare apertamente la società anche chi fino a ieri la difendeva con audacia e grande sprezzo del ridicolo.

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E questo non può che costituire un campanello d’allarme per Jim l’americano, che vuole che i tifosi si mobilitino per lo stadio mentre vedono Salah vincere la scarpa d’oro con un’altra maglia e il Capitano (l’ennesimo) trattato come l’ultimo dei giocatori in rosa. Il risultato finale di tutto ciò è la chiara saldatura tra i due fronti di tifosi… contro Pallotta. Il quale ha evidentemente dimostrato di non riuscire a comprendere che le società vengono sì acquistate da chi ne diventa il proprietario, ma senza i tifosi i pacchetti azionari delle squadre di calcio valgono molto meno, se non nulla. A meno che il presidente, come alcuni sospettano, non stia preparando il terreno per la vendita. Nel qual caso, ha trovato il modo migliore per non farsi rimpiangere.

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