Salvini e la crisi di governo sulla TAV

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2019-03-08

Il leader della Lega punta dritto alla crisi di governo sull’Alta Velocità. Il MoVimento 5 Stelle tiene duro. Conte gironzola facendo il vago in attesa che passi la tempesta. L’ultimo disperato tentativo di rinvio

article-post

«Matteo Salvini è un irresponsabile, punta alla crisi»: nelle parole di Luigi Di Maio c’è tutto lo sgomento per la conclusione provvisoria ma significativa della trattativa sulla TAV, che ieri è fallita miseramente tra interventi di Giuseppe Conte e liti tra esperti, e apre, in assenza di accordi da trovare in extremis entro oggi, alla crisi di governo.

Salvini e la crisi di governo sulla TAV

Una crisi che però per Salvini si è fatta irrinunciabile in questi ultimi giorni, visto che la disputa sull’Alta Velocità serve a giocarsi il consenso del Nord e il leader leghista non può rinunciarvi facilmente. «Io vado fino in fondo su questa storia, perché l’Italia non può restare senza alta velocità. Nessun ministro della Lega firmerà per bloccare i lavori. Io ascolto tutti ma il Paese ha bisogno dell’alta velocità, di andare avanti. Rispetto la sensibilità di tutti mala Tav si farà. Si sono spesi già parecchi soldi degli italiani», ha detto il vicepremier ieri sera in tv su Rete4.

A sentire i ministri a lui vicini, tutto questo vuol dire che la Lega boicotterà qualsiasi Consiglio dei ministri convocato per formalizzare il no alla Tav, come pure il rinvio dei bandi al quale Conte starebbe già lavorando (ieri ha ricevuto il dg di Telt Mario Virano). Danilo Toninelli, invece, che è stato dato a più riprese sull’orlo delle dimissioni, mentre Conte si gioca la testa proprio mentre nella conferenza stampa di Palazzo Chigi torna a rassicurare sul destino del suo governo. Che appare saldo attualmente solo a lui.

Il rinvio come ultima speranza

Ieri intanto è andata in scenda l’assemblea dei parlamentari sulla TAV. E Di Maio non è parso per niente pronto a mostrare il bluff sul governo tentando invece di ricompattare gli eletti su una linea dura che porterà all’addio alla poltrona, per lui, con scarse, se non nulle, possibilità di rivincita elettorale. La sospensione dei bandi – e quindi dei lavori – è l’unica ipotesi praticabile dal punto di vista politico per rimandare il problema e far continuare l’esperienza di governo.

L’argomento che viene utilizzato è quello della Francia, che ha congelato fino al 2038 (le calende francesi) l’impegno a eseguire i lavori sulla sua tratta nazionale del Tav. Scrive oggi Gianni Barbacetto sul Fatto:

LO HA STABILITO il 1° febbraio 2018 il Coi (Conseil d’orientations des infrastructures), che ha escluso la tratta nazionale francese della Torino-Lione dai progetti infrastrutturali programmati fino al 2038: “Non è stata dimostrata l’urgenza di intraprendere questi interventi, le cui caratteristiche socioeconomiche appaiono chiaramente sfavorevoli in questa fase. Sembra improbabile che prima di dieci anni non vi sia alcun motivo per continuare gli studi relativi a questi lavori che, nel migliore dei casi, saranno intrapresi dopo il 2038”.

Il Coi conferma, del resto, il rapporto della Commissione “Mobilité 21”che già nel 2013 aveva affermato che le opere di accesso dalla Francia alla galleria transfrontaliera non erano giudicate prioritarie.  Ma questo non è un problema solo francese. Perché i 33 chilometri di linea per entrare nel supertunnel al di là delle Alpi, congelati “nel migliore dei casi”fino al 2038, comprendono anche i“tunnel a due canne di Belledonne e di Glandon”. Chiaramente citati nell’Ac cordo Italia-Francia che è il trattato bilaterale su cui si basa il Tav. Belledonne e Glandon sono 14 chilometri di galleria a doppia canna, tutti a carico del governo di Parigi. Sono le opere che giustificano il fatto che l’Italia paga di più la galleria di base: il 58 per cento della spesa totale (che è di 9,6 miliardi), benché il tratto italiano sia solo il 21 per cento del tunnel (12,5 chilometri), che al 79 per cento (45 chilometri) è in territorio francese.

In queste condizioni, conclude il Fatto, l’Accordo – articoli 4 e 18 –è di fatto violato. Chissà se Salvini ci cascherà.

Leggi anche: Il doppio standard di Marco Travaglio sui professoroni e gli scienziati

Potrebbe interessarti anche