FAQ
Cosa succede se si ritorna al voto (spoiler: niente)
Alessandro D'Amato 18/04/2018
Le previsioni di D’Alimonte: maggioranza lontana anche con le nuove urne e rischio di stallo pure dopo il prossimo voto. L’unica strada è cambiare la legge elettorale
Luigi Di Maio non ha paura delle elezioni anticipate. Matteo Salvini non ha paura delle elezioni anticipate. Persino il Partito Democratico non ha paura delle elezioni anticipate. A parole, nessuno degli schieramenti esclude la possibilità che lo stallo alla messicana porti di nuovo il paese alle urne in tempi brevi, magari con la stessa legge elettorale (che non è responsabile dei risultati, a differenza di quello che cercano di far credere alcuni). Il professor Roberto D’Alimonte sul Sole 24 Ore spiega che le nuove elezioni riconsegnerebbero il paese alla fase di stallo odierna.
Prima delle elezioni l’opinione corrente era che sarebbe bastato il 40% dei voti perché una forza politica potesse ottenere la maggioranza assoluta dei seggi. Salvini e altri forse lo pensano ancora. In fondo il centro-destra il 4 marzo è arrivato al 37%. Un altro piccolo sforzo e sarebbe fatta. Ma non è così. È più complicato. Con il 37% dei voti alla Camera il centro-destra ha ottenuto il 42,1 % dei seggi totali. Da qui al 50% più uno ce ne corre.
Se non cambia la distribuzione delle preferenze partitiche degli italiani non basta ottenere un 3% di voti in più per arrivare alla meta. La formula per riuscirci resta la stessa di quando ne abbiamo parlato tempo fa sulle pagine di questo giornale: occorre mettere insieme il 40% dei seggi proporzionali e il 70% dei seggi maggioritari oppure il 45% dei primi e il 60% dei secondi. E anche così si arriverebbe a maggioranze risicate: 322 seggi nel primo caso e 318 nel secondo. Solo con la formula 45-65 si otterrebbe una maggioranza più solida.
Per riuscire a ottenere una maggioranza solida il centrodestra dovrebbe cercare di vincere nelle regioni del Sud dove il MoVimento 5 Stelle ha fatto il pieno o quasi. Al contrario il MoVimento 5 Stelle per arrivare a una maggioranza autonoma dovrebbe vincere i collegi delle regioni del Nord, dove è andato male il 4 marzo. Tutte e due le ipotesi ad oggi sembrano alquanto improbabili. E rischiamo di trovarci dopo un nuovo voto nelle stesse condizioni di prima e con gli stessi veti di partenza (quello della Lega sul PD nel centrodestra e quello del M5S su Berlusconi). Per D’Alimonte l’unica strada è quella di cambiare il sistema elettorale.
E allora, vale la pena di correre il rischio di un nuovo stallo dopo nuove elezioni? In Spagna tra il 2015 e il 2016 si è votato due volte. Il risultato è stato più o meno lo stesso e dopo la seconda votazione si è fatto il governo. Lì è successo che il maggior partito di opposizione ha consentito la nascita di un governo senza maggioranza guidato dal partito che aveva preso più voti. Così è nato il governo Rajoy. Il resto lo ha fatto il meccanismo della sfiducia costruttiva che noi non abbiamo.
In parole chiare, ammesso che il centro-destra risulti di nuovo come il 4 marzo lo schieramento con più voti, Pd e/o M5s sarebbero disposti a far decollare un governo Salvini o chi per lui? Chissà. A noi sembra cosa molto complicata e poco probabile. Per questo c’è da chiedersi – a malincuore – se la soluzione meno peggio non sia un nuovo sistema elettorale che metta nelle mani degli italiani la scelta del governo, visto che i partiti non riescono a mettersi d’accordo. Non un sistema qualunque però, ma uno che consenta agli elettori di esprimere non solo le loro prime preferenze ma anche le seconde.
Ovvero, un sistema con un ballottaggio. Come l’Italicum.
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