Sì a Conte ma Di Maio fuori dal governo

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2019-08-26

Dietro lo stallo certificato ieri da Nicola Zingaretti sul nome del presidente del Consiglio, si apre uno spiraglio che prevede il sacrificio del Capo Politico del MoVimento 5 Stelle. A secco di posti anche Di Battista, il quale tanto dirà che non li voleva mica

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Ok al Conte Bis in cambio di un passo indietro di Di Maio. Dietro lo stallo certificato ieri da Nicola Zingaretti sul nome del presidente del Consiglio, si apre uno spiraglio che prevede il sacrificio del Capo Politico del MoVimento 5 Stelle. Il segretario del Partito Democratico toglierebbe così il veto sull’ex presidente del Consiglio che ha indicato subito come responsabile insieme a Salvini dei disastri del governo gialloverde e che ha mollato soltanto nel discorso in Senato dopo averlo coperto per 14 mesi.

Sì a Conte ma Di Maio fuori dal governo

Carlo Bertini su La Stampa spiega che  tra oggi e domani potrebbe produrre – obbligo di condizionale – un placet del Pd ad un governo «Conte due». Ma solo a stringenti condizioni, che Zingaretti però aspetta di sentir pronunciare dalla bocca di Luigi Di Maio. La prima: dentro Conte e fuori Di Maio stesso dal governo, come promesso dagli emissari grillini. E poi ministeri di fascia A, quelli di spesa più significativi, per il Pd. Interni (dove andrebbe Minniti), Esteri (a Gentiloni, se dicesse sì), Economia (Roberto Gualtieri), Sviluppo Economico (Paola De Micheli), Infrastrutture (Delrio), Giustizia (Orlando). La parola chiave è quella pronunciata da Zingaretti in conferenza stampa al Nazareno: no al rimpastone.

«L’Italia non capirebbe un rimpastone del governo caduto. Continuo a pensare che in un governo di svolta la discontinuità vada garantita anche da un cambio di persone». Ma è l’appello ad aprire un tavolo comune sui contenuti, con i Cinque stelle e la sinistra, che suona come una richiesta di prendere fiato in attesa di ingurgitare l’amaro calice.

E dunque se su Conte «ci sono opinioni differenti sono convinto che si troverà una soluzione, in un confronto reciproco per capire come garantire questi elementi. Ma prima apriamo il cantiere delle idee e dei contenuti». Con una chiosa che altro non è se non un richiamo alla correttezza indirizzato a Renzi, che preme per il Conte bis.

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Di Maio a Palinuro. Foto da: Giente Honesta su FB

E la logica è che se non cambia il nome del presidente del Consiglio allora bisogna cambiare buona parte dei ministri.  La trattativa con i Cinque stelle è avviata e Zingaretti vuole prima vedere se davvero ci sono sul piatto i ministeri di peso e quali. Dalle parti di Renzi scommettono che entro stamani arriverà un ok per sbloccare la situazione e dare il là al Colle.

Ministri chiave per il PD in nome della discontinuità

L’addio di Di Maio al governo darebbe il via a un maxirimpasto dove tutte le anime del Partito Democratico sarebbero rappresentate. Racconta Goffredo De Marchis su Repubblica:

Il Nazareno, in ogni caso, si avvia a schierare una squadra che rappresenta in pieno il nuovo establishment del partito ma anche l’anima renziana. Fra i papabili il senatore Antonio Misiani, responsabile del settore economia del partito, nel ruolo di successore di Giovanni Tria. E nel governo potrebbero trovare spazio i due vice di Zingaretti, Paola De Micheli (si parla di Sviluppo Economico), e un nome di peso come quello di Andrea Orlando, che a sorpresa potrebbe reindossare i panni del Guardasigilli. Ma per la Giustizia c’è anche la suggestione Pietro Grasso (Leu).

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Il totoministri: conferme e cambi (Corriere della Sera, 25 agosto 2019)

Un’altra figura di spicco del Pd, l’ex premier Paolo Gentiloni, potrebbe tornare agli Esteri, anche se per la Farnesina restano alte le quotazioni di Enzo Moavero Milanesi, personalità non sgradita al Nazareno. Resta il nodo del Viminale, dove un esponente dem dovrà raccogliere la pesante eredità di Matteo Salvini: non ha mai smesso di circolare il nome di Marco Minniti, anche se è nota la predilezione di Matteo Renzi per il capo della polizia Franco Gabrielli.

Escluso che Renzi o i suoi più stretti fedelissimi (Boschi, Lotti) possano entrare in un esecutivo coi 5 Stelle, maggiori sono invece le chance di renziani come Ettore Rosato, o dei due capigruppo Andrea Marcucci o Graziano Delrio, che oggi ha una posizione più autonoma rispetto al senatore fiorentino. Mentre per le Politiche Giovanili si fa il mone di Francesco Scoppola, responsabile degli Agesci nel Lazio.

In questa ottica alcuni ministri uscenti vengono dati per confermati: da Elisabetta Trenta (Difesa) ad Alberto Bonisoli (Beni culturali), il cui lavoro ieri è stato promosso ieri sul web da Beppe Grillo. Non ci sarà sicuramente Danilo Toninelli, pronto a essere sostituito alle Infrastrutture dal capogruppo grillino al Senato, Stefano Patuanelli. In ascesa sono invece le quotazioni di Lorenzo Fioramonti, vice ministro dell’Istruzione, e soprattutto di Vincenzo Spadafora, sottosegretario alla presidenza del Consiglio del governo gialloverde, l’ex Margherita nella cui abitazione romana si sono incontrati venerdì sera Di Maio e Zingaretti. Di Battista invece niente, così impara a tenere aperto il forno con Salvini.

Leggi anche: Quei curiosi commenti per Conte premier sulla pagina FB di Zingaretti

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