Lo sconto di quattro miliardi che Di Maio e Salvini hanno fatto all’Europa

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2018-12-17

Il dinamico due si rimangia due miliardi per il reddito di cittadinanza e due miliardi per Quota 100 sulle pensioni. La battaglia della vita si è giocata sulla soglia psicologica del 2% e non sarà facile per Di Maio e Salvini convincere i rispettivi elettorati che il salto all’indietro al 2,04% è solo una questione di «zero virgola»

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Non è questione di decimali, dicevano in coro Luigi Di Maio e Matteo Salvini fino a poco tempo fa, e dicevano il vero: si tratta di centesimi, per ora. D’altro canto in tempi non sospetti il leader della Lega aveva detto che era pronto a rispettare i vincoli di Bruxelles e oggi spiega al popolo esterrefatto – per i suoi trascorsi – che lui vuole cambiare l’Europa dal di dentro, esattamente come sostenevano gli euristi che fino a ieri per i leghisti noeuro erano traditori della Patria.

Lo sconto di quattro miliardi su pensioni e reddito

Le tante supercazzole raccontate ai noeuro leghisti per spiegare la raffinata strategia del Capitano, che negherebbe di voler uscire dall’Europa per essere più pronto a farlo, adesso però si trovano davanti alla realtà dei fatti. Ovvero ai quattro miliardi di euro, due ciascuno, che alleggeriranno il peso delle due misure-simbolo della Manovra del Popolo: il reddito di cittadinanza e quota 100 per le pensioni. Ieri Di Maio in tv con un coraggio da leone ha sostenuto che quei soldi erano “in più” e sono stati tolti per decisione del governo visto che non servivano. La realtà è diversa: il 2,4% del rapporto deficit/Pil, sbandierato da Di Maio dal balcone di Palazzo Chigi,è ormai un ricordo da ritaglio di giornale. La battaglia della vita si è giocata sulla soglia psicologica del 2% e non sarà facile per Di Maio e Salvini convincere i rispettivi elettorati che il salto all’indietro al 2,04% è solo una questione di «zero virgola».  Ma di una vera e propria Manovra-Bis, come spiega Roberto Petrini su Repubblica:

Il primo cambiamento rilevante, vero nodo del negoziato, è stato quello delle tre variabili macroeconomiche cruciali. La prima è il rapporto tra deficit e Pil che la vecchia legge di Bilancio e il Documento programmatico di bilancio avevano fissato al 2,4 per cento e che ora scende al 2,04 per cento. In realtà se si va a guardare l’ultima versione del Dpb consegnato dall’Italia a Bruxelles le tabelle cifrano un deficit-Pil superiore, arrotondato per eccesso al 2,5 per cento: dunque lo sforzo di riduzione del disavanzo – come è stato sottolineato dai negoziatori italiani – arriva di fatto quasi a mezzo punto.

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I saldi attuali della Manovra del Popolo (Corriere della Sera, 17 dicembre 2018)

L’altro elemento fondamentale è l’intervento sul debito: già annunciato da Tria nei giorni scorsi il piano di privatizzazioni sale da 0,3 ad 1 punto di Pil rimodulando il profilo del rapporto debito-Pil che fin dal prossimo anno scenderà dal previsto 130, pre-negoziato, al 129,2 per cento.

Il terzo aspetto è la stima di crescita del Pil: fissata all’1,5 per cento la previsione è ormai obsoleta per via della guerra dei dazi e del rallentamento dell’economia europea, Germania compresa. Con ogni probabilità la previsione sarà fissata all’1 per cento: in questo modo la componente congiunturale delle coperture dovuta sostanzialmente alle nuove entrate viene meno a favore della componente strutturale venendo incontro alle richieste di Bruxelles.

Il regalo di Salvini e Di Maio all’Europa

E così dai 16 miliardi del balcone di Palazzo Chigi il fondo dedicato a finanziare le due “bandiere” gialloverdi diminuirà di quasi 5 miliardi grazie a rinvio dell’attivazione delle misure e all’effetto-rinuncia.

Quota 100, leghista, perderà 2,7 miliardi, scendendo dai 6,7 miliardi previsti a 4 miliardi grazie a vari paletti (mancato guadagno, cumulo, finestre di uscita dilazionate con partenza ad aprile) che provocheranno un effetto-rinuncia di circa il 15 per cento. Il reddito di cittadinanza, grillino – questa è la novità di ieri – scende sostanzialmente nel 2019 da 9 a 6,1 miliardi, più del miliardo e mezzo di cui si era parlato: in pratica 2,9 miliardi in meno come conseguenza dell’avvio a marzo (9 mesi invece di 12) e, anche in questo caso, dell’effetto-rinuncia che viene valutato al 10 per cento.

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Manovra del Popolo, stime a confronto (La Repubblica, 28 novembre 2018)

Complessivamente se ai 6,1 miliardi si aggiunge la spesa per i centri dell’impiego per 1 miliardo il costo sarà di 7,1 miliardi, cifra destinata a scendere, dopo l’avvio, a 300 milioni nel biennio 2020-2021 e a salire per l’impatto su tutti i 12 mesi fino a 8,1 miliardi.

“Soli contro tutta l’Europa”

Ieri quindi è arrivato l’accordo nel vertice con Giuseppe Conte che ora dovrà andare a Bruxelles per farsi dire di sì ed evitare la procedura d’infrazione. Sulla quale, e non è una sorpresa, concordavano tutti i paesi, anche quei leader che avevano dimostrato (a parole) grande amicizia e vicinanza con Salvini (vedi Orban). I gialloverdi si sono resi conto di essere isolati e la procedura d’infrazione sarebbe arrivata in ogni caso molto prima delle elezioni europee e senza che un rimpasto possa togliere gli attuali Dombrovskis e Moscovici dai posti che attualmente occupano, visto che la Commissione “scade” a novembre 2019.

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Quota 100: la riforma delle pensioni della Lega (Corriere della Sera, 15 dicembre 2018)

L’Italia era sola contro tutta l’Europa e questo gli strateghi del nuovo vittimismo politico non mancheranno di farlo notare per spiegare le loro scelte. Il problema è che fino a ieri avevano sostenuto che non avrebbero ceduto ai ricatti: ora dovranno spiegare perché lo hanno fatto. Ma la tendenza alla supercazzola non manca in seno alla maggioranza. Il punto è fino a quando gli elettori crederanno alle barzellette invece che alla verità.

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