Quando Di Maio fregò i rider

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2019-04-27

Era il 4 giugno 2018, all’indomani del giuramento del governo Conte, quando il ministro dello Sviluppo e del Lavoro nonché vicepremier apriva il tavolo con i rappresentanti sindacali dei fattorini delle consegne a domicilio. Da allora…

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Due settimane fa sulla pagina Facebook «Deliverance projet» qualcuno scriveva: «Da Atene a Torino bloccare tutto non è impossibile». Oggi i « glovers», ovvero i rider torinesi di Glovo si fermano per una sera. Niente corse, zero consegne. Un passo più incisivo della lista dei vip che non danno le mance, ma giova ricordare che i rider, così come i lavoratori della Pernigotti, della Piaggio e i volontari dell’ILVA, fanno parte delle tante categorie di fregati da Luigi Di Maio.

Quando Di Maio fregò i rider

Era il 4 giugno 2018, all’indomani del giuramento del governo Conte, quando il ministro dello Sviluppo e del Lavoro nonché vicepremier apriva il tavolo con i rappresentanti sindacali dei fattorini delle consegne a domicilio:  «Il simbolo – disse – di una generazione abbandonata che non ha tutele e, a volte, nemmeno un contratto». Poi è stato il momento di passare ai fatti, e qui il piatto ha cominciato a piangere. Prima con il decreto dignità (giugno 2018), quando ha cercato di inserire una «clausola rider» per far rientrare i fattorini tra i lavoratori subordinati con contratto a chiamata.

Una clausola ritirata, anche per far fronte alle minacce delle aziende attive nel mercato, tra queste Foodora, di andarsene dall’Italia. Alla fine il ministro ha deciso di trattare. «Faremo un contratto innovativo, il primo di questo tipo in Europa», dichiarava fiducioso Di Maio lo scorso 3 luglio dopo il primo tavolo della vertenza tra rider e operatori. Poi altri due incontri, uno a settembre e un altro a novembre.

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I rider in fondo non chiedono molto di più di quello che Di Maio aveva promesso loro: il riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato laddove si manifestino le condizioni di “presunzione di subordinazione”, tutele piene e pieni diritti. Per il ministro che voleva smantellare il Job Act restituendo dignità ai lavoratori dovrebbe essere un gioco da ragazzi.

La bozza di accordo

Ma la bozza di accordo collettivo per definire i perimetri del contratto dei lavoratori della Gig Economy elaborata dal governo va nella direzione opposta. Perché nella proposta elaborata dal Ministero non è contenuto l’obbligo da parte delle aziende di assumere i rider. Anzi: viene specificato che quel genere di contratti si applica a chi lavora con “rapporti di lavoro non subordinato”. L’esatto contrario di quanto richiesto dai rider che invece chiedono di essere riconosciuti come lavoratori dipendenti e non come free-lance o lavoratori a cottimo. La bozza del governo però per il momento è stata presentata solo ai lavoratori e non ad Assodelivery, l’associazione di categoria delle “piattaforme” che gestiscono le consegne.

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Dalla proposta di legge dei rider

Il governo accoglie solo una parte delle richieste. Quelle che riguardano il salario minimo orario con divieto di paga a cottimo (come invece avviene ora), l’estensione ai lavoratori della copertura Inps e Inail e l’obbligo per il datore di lavoro di pagare la manutenzione dei mezzi e un numero massimo di consegne da effettuare durante l’orario di lavoro.

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Ma al tempo stesso però il governo non indica l’ammontare della paga minima oraria. E i rider di Deliverance Milano ieri ricordavano che in questi giorni Deliveroo «sta togliendo la paga con il fisso orario di 5,60 € più incentivo alla consegna e si appresta a cancellare il minimo garantito di 7,50 € all’ora, a favore di una formula di pagamento dinamica, che prevede un cottimo misto che corrisponde una porzione fissa di 3 € a consegna e una variabile dinamica non quantificabile».  Il problema vero è che al momento il Ministero non ha elaborato una vera e propria bozza formalizzata da far sottoscrivere alle aziende ma ha solo presentato alcuni “punti generici” sui quali i lavoratori e le aziende non hanno trovato un accordo. Il punto più spinoso è proprio la natura del rapporto di lavoro. Per le aziende è autonomo, per i rider è dipendente. Per il ministro Luigi Di Maio non è dato di sapere cosa sia.

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