Fact checking
Il PD e la paura dei sondaggi
di Alessandro D'Amato
Pubblicato il 2017-12-10
Nel partito comincia a farsi strada un sacro terrore dopo le rilevazioni che danno in crescita il MoVimento 5 Stelle e i Dem sotto la “quota Bersani”. Renzi continua a spargere ottimismo. Ma quali basi per una rimonta?
«Un leader non si fa impaurire dai sondaggi, ma li cambia facendo una battaglia aperta, casa per casa»: Matteo Renzi è battagliero come al solito e sprizza ottimismo da tutti i pori come d’abitudine anche di fronte alle rilevazioni di questi giorni che danno il Partito Democratico in trend negativo e il MoVimento 5 Stelle sempre più primo partito.
Il PD e la paura dei sondaggi
L’ex premier non accetta De profundis anticipati e non ha alcuna intenzione di vivere una campagna elettorale da comprimario o, peggio, da agnello sacrificale di voti in uscita verso grillini e centrodestra. Eppure i due sondaggi pubblicati ieri da Repubblica e dal Corriere della Sera suonano invece come un campanello d’allarme nella minoranza del partito, che ritiene che la strategia del leader stia portando il partito a sbattere contro una delusione che nessuno avrebbe immaginato qualche tempo fa: prendere meno voti del 2013. «Prima di Natale bisogna convocare una direzione sulle alleanze», avverte Cesare Damiano. A tirar su il morale dei renziani, che lamentano di avere contro anche i grandi gruppi editoriali, è l’idea che presto Grasso «non sarà più percepito come uomo delle istituzioni, ma come leader di parte e perderà appeal».
Sarà, ma intanto non si capisce come una difficoltà di Liberi e Uguali possa portare voti al PD, visto che l’elettorato di sinistra interpreta in maniera piuttosto estensiva il concetto di voto utile e ad Ostia ha deciso di premiare il M5S come baluardo all’avanzata del centrodestra. Dall’altra parte non sembra ci siano speranze per ricucire con Giuliano Pisapia, come propone oggi Ettore Rosato, padre di quel sistema elettorale che oggi potrebbe portare a un’ampia vittoria il centrodestra e il M5S a recitare il ruolo di primo partito.
L’ottimismo di Renzi
Nell’intervista rilasciata oggi a Repubblica, Matteo Renzi ha aggiunto un elemento ulteriore di riflessione: quello dei collegi uninominali e delle sfide a tre (o a quattro) che aspettano il Partito Democratico. Con buone chanches di vincere se si azzeccheranno candidati legati al territorio e capaci di farsi scegliere e apprezzare al posto di quelli catapultati o sconosciuti. Questo è vero in teoria, difficile nella pratica di un partito che insieme a qualche campione di preferenze che potrebbe tornare a portare voti importanti al partito soffre proprio di una mancata selezione di classe dirigente, come dimostrano le tantissime polemiche in cui si sono infilati i membri della direzione renziana nel loro esordio.
«Abbiamo una base di volontari unica: una rete di 61.597 responsabili di seggio. Metteremo candidati credibili e radicati. Per rispetto alla nostra gente esigo solo una cosa: che il gruppo dirigente del Pd abbia voglia di vincere. Non di partecipare», ha aggiunto Renzi. “Mi stupisce, invece, che faccia discutere” la percentuale del Pd perchè “da tempo il Pd è sotto la ‘soglia Bersani’, sono 3 anni che il Pd perde tutti appuntamenti elettorali. Ben vagano i sondaggi se si può discutere del fatto che nel centrosinistra c’è un problema non da oggi”, ha invece infilato il coltello nella piaga ieri Pierluigi Bersani.
Alleanze e desistenze
Nessuno però sembra avere voglia di andarsi a infilare in una nuova trattativa per alleanze che la sinistra non ha intenzione di fare, se non altro per difendere quel 7-8% che potrebbe portare andando da sola secondo i sondaggi. D’altro canto una sinistra ha senso soltanto se alternativa a Renzi in funzione elettorale, mentre una volta andati a votare le carte potrebbero rimescolarsi da tutti i punti di vista. Stesera Pietro Grasso farà il suo esordio in tv da leader di ‘Liberi e Uguali’ e in trasmissione da Fabio Fazio, a quanto si apprende, dovrebbe presentare il simbolo della lista unitaria di sinistra per le elezioni. Oggi diversi sondaggisti danno LeU vicino al 7 per cento. “Stiamo ingranando”, commenta soddisfatto Nico Stumpo. Di contro, Ipsos di Nando Pagnoncelli, assegna al Pd di Matteo Renzi il record negativo assoluto nei consensi: poco più del 24%. Un risultato inferiore a quello di Pier Luigi Bersani nel 2013, sebbene quest’ultimo non avesse subito la scissione che il Pd renziano pare stia iniziando a soffrire in termini percentuali. Una situazione da allarme rosso, secondo la minoranza dem. Senza alleanze o desistenze il futuro è grigio.