No, Vasco #iononcicasco: la strategia del vittimismo M5S contro la stampa cattiva

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2018-11-30

No, Vasco, No Vasco, #iononcicasco: in un tripudio di jovanottismo prima maniera il MoVimento 5 Stelle ha preparato e messo in atto una strategia del vittimismo per parare i colpi delle notizie che in questi giorni stanno movimentando l’attualità politica e mettono nel mirino Luigi Di Maio. E così un post non firmato sul Blog …

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No, Vasco, No Vasco, #iononcicasco: in un tripudio di jovanottismo prima maniera il MoVimento 5 Stelle ha preparato e messo in atto una strategia del vittimismo per parare i colpi delle notizie che in questi giorni stanno movimentando l’attualità politica e mettono nel mirino Luigi Di Maio. E così un post non firmato sul Blog delle Stelle mira a sollevare il popolo per mezzo dell’hashtag contro la stampa cattiva pagata dai Poteri Forti utilizzando le armi preferite e meglio conosciute dal MoVimento 5 Stelle: l’infantilismo politico, il vittimismo congenito e la macchina del fango. Il post comincia con una curiosa ricostruzione degli anni successivi al 2013, ovvero all’entrata in Parlamento del MoVimento 5 Stelle:

Hanno iniziato a farci le pulci come mai avevano fatto con nessuno prima, ma rimanendo sempre ossequiosi con i partiti di governo, praticamente tutti gli altri. Ovviamente non hanno mai trovato nulla, se non massima trasparenza, massima correttezza e massimo rigore nel punire chi sbaglia.

Questo tentativo piuttosto scoperto di invenzione del passato risponde alla logica tutta grillina della circonvenzione di incapace che non ricorda quanto è successo: basterebbe segnalare che le consulenze ASL di Virginia Raggi e la storia di Quarto sono state raccontate dal Fatto Quotidiano, giornale che non è stato ossequioso con “i partiti di governo” nella legislatura precedente. Oppure bisognerebbe ricordare le “sfortunate” vicende della giunta grillina a Roma, che hanno costretto Grillo e Di Maio a intervenire per allontanare (da cariche e competenze) grillini come Daniele Frongia mentre il Campidoglio esplodeva perché uno dei quattro amici al bar è stato arrestato per corruzione. Quel giorno la Raggi con una faccia di palta che rimarrà negli annali del giornalismo italiano se ne uscì sostenendo che il tipo con il quale si mandava messaggi su Whatsapp in cui lo rimproverava per non avergli detto dell’aumento di stipendio del fratello (Ah, lo spoyls system! Ah, la capacità di scegliere la classe dirigente nel M5S!) era solo uno dei tantissimi dipendenti del Campidoglio. Questo sempre riguardo la massima trasparenza, la massima correttezza e il massimo rigore nel punire chi viene beccato da altri a sbagliare perché i grillini hanno le fette di prosciutto sugli occhi e non si accorgono nemmeno che uno sta aumentando lo stipendio al fratello.

#iononcicasco

Ma la combinazione faccia di palta / fette di prosciutto negli occhi raggiunge l’apoteosi nel paragrafo successivo:

Il problema della stampa è che non sta facendo libera informazione disinteressata, ma sta compiendo un’opera di delegittimazione nei confronti di una forza politica per venire incontro agli interessi affaristici e politici dei loro editori. Il quarto potere è l’ultimo su cui possono contare i veri sconfitti alle elezioni. E lo esercitano in modo brutale, per il loro interesse esclusivo e a danno della qualità dell’informazione e dei cittadini.

La delegittimazione del MoVimento 5 Stelle da parte del quarto potere colpisce a tutti i livelli. Colpisce i nostri sindaci: due anni di fango contro Virginia Raggi. Colpisce i nostri parlamentari: ultimo arriva l’articolo sessista sull’Espresso contro Lucia Azzolina. Colpisce i nostri ministri e sottosegretari: video tagliati ad hoc, foto rubate, piccole gaffe o lapsus ingigantiti ad arte e sbattuti in prima pagina.

Qui il M5S accusa la stampa di essere al soldo dell’editore. Non capendo, oppure fingendo di non capire che da quando la terra gira intorno al sole le informazioni escono perché qualcuno ha interesse a farle uscire e che già Abbott Joseph Liebling negli anni Sessanta era arrivato alla (corretta) conclusione che la libertà di stampa appartiene al padrone della tipografia. Ciò detto e considerato, rimane il punto: appurato che un’informazione esce perché qualcuno ha interesse a farla uscire, l’informazione è vera o falsa? Patetica poi la lamentela sui video tagliati, sulle foto rubate o sulle piccole gaffe dei PòreStelle: è esattamente quello di cui si è cibato per secoli il blog di Beppe Grillo prima e il MoVimento 5 Stelle poi: prima erano loro a chiedere di far girare i video come quello di Djsselbloem (quello sì, tagliato ad arte) con le figuracce vere o presunte degli avversari. Adesso che tocca a loro è la macchina del fango, mammina, nascondimi sotto le tue gonne perché sono in pericolo. E nel non plus ultra della faccia di palta ecco la frase successiva:

Colpiscono anche Luigi Di Maio in questi giorni, essendo immacolato usano i parenti sbattendo in prima pagina suo padre per storie di 10 anni fa. E attenzione non è che Luigi sia sotto accusa per aver aiutato il babbo mentre era ministro, come è stato per Renzi (il cui babbo aveva incontrato mezza Consip mentre lui era premier) e Boschi (perché non querela De Bortoli che ha raccontato del suo incontro con l’ad di Unicredit per conto del padre?), ma per un vincolo di sangue.

Certo, la cosa che salta subito all’occhio è che il M5S stia chiedendo a Boschi una cosa che ha già fatto (e ha annunciato nel dicembre scorso, anche se, come del resto Silvia Virgulti, l’ex ministra ha scelto la via, più semplice e remunerativa in caso di vittoria, del tribunale civile). Ma non bisognerebbe dimenticare che il M5S nelle tre righe sta diffamando anche Matteo Renzi perché sostiene che l’allora premier fosse a conoscenza dei presunti (c’è una richiesta di archiviazione in ballo) tentativi di “fare rete” di babbo Tiziano quando non solo non c’è uno straccio di prova che Renzi sapesse, ma lui stesso nell’intercettazione pubblicata dal Fatto dopo la notizia dell’indagine non sembra essere molto d’accordo (eufemismo…) con l’attivismo “romano” del padre e anzi lo invita a più riprese a smetterla per non danneggiarlo. E così via, fino all’appello finale: «Per questo vi chiediamo un gesto simbolico, da fare sui social. Un post su Facebook, Twitter o Instagram con l’hashtag #IoNonCiCasco. Devono capire che gli italiani non si fanno più prendere per il culo. La nostra battaglia continua. E per la libertà di stampa interverremo con la legge contro il conflitto di interessi degli editori e garantendo l’equo compenso a tutti i giornalisti». Che lascia tutti un po’ stupiti: ma se la stampa non conta niente e ci sono i social network per ribadire la verità (ad esempio sull’ordine di stampare cinque o sei milioni di tessere per il reddito di cittadinanza…) allora cosa ve ne frega di ribattere? Non sarebbe meglio invece utilizzare il tempo per illustrare gli straordinari risultati ottenuti da questo governo finora? Ah, su quelli invece c’è poco da dire e prossimamente andrà peggio? Allora mi sa che abbiamo capito il perché di tutta questa strategia del vittimismo.

Leggi sull’argomento: La vera storia delle tessere di Poste per il reddito di cittadinanza

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